La letteratura francese del ‘900 si ispira ai grandi mutamenti storici, sociali e culturali, per la Francia come per il resto d’Europa, che derivano innanzitutto dalla crisi di certezze che dagli ambiti filosofico e scientifico, con la fine del positivismo, va a investire la cultura umana nel suo complesso.
In letteratura questo implica soprattutto la necessità di esprimersi secondo modalità nuove.
In poesia, in particolare, inizia a spegnersi e a trasformarsi l’esperienza simbolista, perché il poeta non può più sentirsi un “veggente” alla scoperta del mistero delle cose, di fronte a una complessità del reale del tutto nuova che disorienta. La ricerca di forme inedite per esprimere questa novità è l’obiettivo del lavoro sulla parola poetica compiuto da Guillaume Apollinaire, pseudonimo del poeta di origini italo-polacche, naturalizzato francese, Wilhelm Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowicki.
Più definita è la scelta poetica di quello che è stato considerato il maggiore poeta francese del Novecento, Paul Valéry, che dopo un esordio simbolista, intraprende la ricerca di un linguaggio puro e razionale con cui dominare la conoscenza assoluta, slegata dal mondo dell’esperienza, considerando la scrittura come un lavoro di rigore intellettuale per purificare e affinare la propria intelligenza (Charmes).
Nell’ambito del romanzo, invece, l’inizio del Novecento è un momento di incertezza in cui, dopo la crisi del naturalismo, non si riesce ad affermare nessuna tendenza tra le diverse vie sperimentali che confusamente vengono tentate.
La rinascita del romanzo avviene con Marcel Proust, autore di un unico libro che abbraccia un’intera esistenza (Alla ricerca del tempo perduto), e con André Gide, premio Nobel per la letteratura e interprete del relativismo culturale del tempo, soprattutto con il romanzo I falsari, complessa riflessione sulla moralità individuale e convenzionale e sulla costruzione della personalità.
Al di là di queste figure isolate, nella prima metà del Novecento e soprattutto dopo la Prima guerra mondiale si sviluppano due veri e propri movimenti artistici di avanguardia che esprimono il rifiuto della cultura razionalista e positivista, rivelatasi un’illusione, e la necessità di libertà espressiva: il dadaismo e il surrealismo.
La parola “dada” viene scelta a caso dai fondatori del movimento (in particolare Tristan Tzara) in un dizionario francese, per manifestare provocatoriamente il rifiuto della cultura borghese, logica, razionale, madre della guerra, a favore di un’anarchia nichilista che si traduce in letteratura nell’eliminazione di tutti gli schemi e le regole, nella deformazione delle strutture e nell’adozione del principio del caso e del nonsense alla base della creazione artistica. L’estrema libertà professata da ciascuno dei dadaisti fa sì che il movimento, pur partendo da presupposti condivisi, non riesca a definire un solido progetto culturale alternativo e finisca per disgregarsi.
L’eredità dadaista viene raccolta dal surrealismo, in cui confluiscono molti autori dadaisti, per dare un più preciso indirizzo teorico alla crisi di valori del dopoguerra. Il Primo manifesto del surrealismo, scritto da André Breton, individua come obiettivo della poesia e dell’arte in generale la liberazione dell’inconscio dagli schemi razionali, per una conoscenza più profonda e autentica dell’uomo, che può avvenire soltanto dando libero sfogo all’immaginazione attraverso una scrittura automatica, istintiva, non soggetta all’analisi della ragione. Questa liberazione della personalità presuppone come strumento la liberazione del linguaggio da ogni regola formale, e rivela chiaramente l’influenza di Freud sugli artisti surrealisti.
Esponente molto importante del surrealismo è Jacques Prévert (la cui opera più nota è Parole), la cui poesia nasce sotto l’influenza del surrealismo, ma a poco a poco si modifica in una varietà che fonde sensibilità, ironia e semplicità di espressione.
Il surrealismo produce i migliori risultati nelle arti figurative e diventa anche volontà di cambiamento sociale, ma proprio la difficoltà di conciliare libertà artistica e impegno politico da parte dei surrealisti che aderiscono al Partito comunista porta alla disgregazione del movimento.
Anche il romanzo, nel periodo fra le due guerre, vive un periodo di fioritura, perché con la sua multiformità si presa bene a dar voce al cambiamento e al dramma, senza confluire in una corrente artistica precisa, ma inserendosi piuttosto in produzioni eterogenee. Le esperienze più originali sono quelle dei romanzi ciclo, sviluppati intorno alla storia di una famiglia o di un gruppo sociale, dei romanzi dell’autrice Colette, animati da un grande entusiasmo per la vita e per l’amore e dall’interesse per la comunicazione fra uomo e donna, e dell’opera molto discussa di Céline, pseudonimo di Louis-Ferdinand Destouches. Quest’ultimo riversa l’esperienza della guerra e il senso oscuro di morte e disperazione che essa gli ha lasciato in romanzi originali e scandalosi per la crudezza e la violenta polemica con cui attaccano i miti illusori della guerra e del colonialismo, oltre che per la struttura innovativa che abbandona l’ordine cronologico per seguire il disordine della memoria e dell’immaginazione (Morte a credito). Ancora più controverse sono poi le opere in cui Céline manifesta apertamente il proprio antisemitismo e filonazismo, come La scuola dei cadaveri, senza che questi aspetti problematici modifichino l’importanza dell’innovatività dell’autore per lo sviluppo del romanzo moderno.
Céline non è l’unico a inserirsi attivamente nel nuovo clima politico: il clima incerto e angoscioso degli anni Trenta spinge molti scrittori verso l’impegno politico e sociale, sia a destra sia a sinistra. Fra questi, il noto Antoine de Saint-Exupéry, che dedica tutta la vita all’aviazione e muore proprio durante una missione di guerra nel secondo conflitto mondiale. L’eroismo, l’azione e il sacrificio sono per Saint-Exupéry ciò che dà senso alla vita, altrimenti esperienza di vuoto e solitudine, proprio come il volo. Durante la guerra questo autore scrive l’opera che lo ha reso celebre, Il piccolo principe, fiaba per bambini e per adulti di grande valore esistenziale.
Gli anni Trenta vedono anche la nascita e lo sviluppo della corrente filosofica dell’esistenzialismo che, a partire dal filosofo danese Kierkegaard, esprime la crisi sociale e individuale del periodo tra le due guerre e critica le filosofie totalizzanti che dimenticano la specificità e l’angosciosa problematicità dell’essere uomo. Dopo questo periodo di sconvolgimenti, l’uomo assume consapevolezza della propria solitudine e nullità, dei propri limiti inesorabili e del terribile peso della libertà.
L’esistenzialismo ha una grande influenza sulla letteratura francese, evidente soprattutto nell’opera di Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Quest’ultimo, premio Nobel per la letteratura, sviluppa in maniera originale il tema tipicamente esistenzialista della solitudine: sin dai primi e più noti romanzi, Lo straniero e La peste, Camus fa propria la consapevolezza dell’assurdo che domina la vita e il mondo e dell’insanabile frattura che isola ogni individuo dagli altri, ma cerca di conciliare questa consapevolezza con la ricerca di valori morali universali positivi, nella convinzione che la filosofia della negazione debba essere un punto di partenza per il superamento della solitudine, non un punto di arrivo inesorabile.

Francobollo francese commemorativo di Jaen Paul Sartre
Altre importanti figure femminili sono Marguerite Yourcenar e Marguerite Duras. Yourcenar è stata la prima donna eletta alla Académie française; nei suoi libri sono frequenti i temi esistenziali, in particolare quello della morte. La sua opera più nota è Memorie di Adriano, in cui la crisi personale di un imperatore illuminato, giunto alla fine della sua vita, si sovrappone al declino dell’impero ormai avviato verso la dissoluzione.
Duras è autrice di racconti brevi, film e romanzi, incluso il suo capolavoro, nonché opera autobiografica, L’amante.
Mentre la poesia si chiude sempre di più in sé stessa allontanandosi dal pubblico, il romanzo si sottopone con successo a un continuo rinnovamento per confrontarsi con i nuovi mezzi di comunicazione e intrattenimento culturale, come il cinema, la televisione, il giornalismo. Da questa sperimentazione nasce negli anni Cinquanta il nouveau roman, che sposta l’attenzione dall’uomo agli oggetti e soprattutto al linguaggio stesso, fino a interessanti esiti metaletterari. Particolarmente riuscita risulta questa scelta nella produzione di Raymond Queneau, che fa emergere dal gioco linguistico e dall’esplorazione formale di meccanismi narrativi bizzarri una traccia di narrazione integra in cui ironia e malinconia delineano individui soli e mediocri (La domenica della vita).
L’assurdità della condizione umana, la solitudine e l’incapacità di comunicare sono anche i temi che sostanziano la rinascita del teatro dopo la decadenza causata dalle due guerre: il “teatro dell’assurdo” non ha altra ambizione che rappresentare l’insensatezza del destino umano, perciò elimina ogni realismo, coerenza d’azione o analisi psicologica, come dimostrano le opere degli autori più originali, Samuel Beckett, che scrive in francese e in inglese (Aspettando Godot viene scritto in francese e solo successivamente tradotto in inglese), Jean Genet e Eugène Ionesco (romeno, ma francese d’adozione, la cui opera migliore può considerarsi La cantatrice calva).
La ricerca dell’identità femminile rende il Novecento ricco di voci di autrici, fra le quali spicca per esempio Simone de Beauvoir, intellettuale impegnata nella riflessione sulla condizione della donna (Il secondo sesso, Memorie di una ragazza perbene) e compagna di Sartre.
Negli ultimi decenni del Novecento torna, nel romanzo, il gusto per la narrazione, per le storie vere e proprie, con un grande successo del poliziesco come strumento di rappresentazione della realtà, spesso ispirato a essa (Georges Simenon, Daniel Pennac), e del romanzo di ispirazione storica o d’attualità (Patrick Modiano, premio Nobel 2014).
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