La religione è il complesso dei culti e delle credenze che esprimono il legame tra l’uomo e la divinità.
Solo nell’era moderna le due dimensioni di essa (privata e pubblica) si sono ben differenziate; precedentemente, il cittadino difficilmente poteva sfuggire alla dimensione pubblica e ciò causava pesanti condizionamenti dai quali nemmeno il filosofo riusciva a essere immune se non passando per eretico, spesso a costo della vita.
Molte teorie filosofiche scontano la necessità di adeguarsi alla religione corrente, con il risultato di apparire datate all’analisi attuale. In altri termini, la fede del filosofo incanala il suo pensiero verso questa o quella direzione. Abbiamo pertanto il riconoscimento del valore assoluto della religione rivelata (Hegel, Schleiermacher, Bergson); a esso si oppone la negazione di qualsiasi valore intrinseco della religione, elaborata dall’uomo per appagare o bisogni di conoscenza (epicurei) o necessità pratiche, come quella di sconfiggere il dolore e la morte (Hobbes, Hume, Voltaire, Dewey, Otto, Freud e gli antropologi Robertson Smith, Frazer, Malinowski; l’uomo crea Dio di Albanesi). Infine, c’è l’origine politica della religione creata come mezzo di controllo politico sulle classi più deboli (Crizia nell’antichità, alcune tendenze del libertinismo e dell’illuminismo nel XVIII sec., marxismo e Nietzsche nel XIX sec.).
Alcuni filosofi, come Durkheim, le attribuiscono una funzione sociale, altri una funzione di ricerca della verità ponendosi sopra (Hamann, Jacobi) o sotto (Hegel, Gentile), altri infine una funzione morale.

Celebre è la definizione di Marx della religione come “oppio dei popoli”
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