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Il secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra si afferma in Francia lo strutturalismo come teoria e metodologia del conoscere nel campo delle scienze umane. Afferma che i fenomeni non devono essere considerati separati gli uni dagli altri, ma come elementi di una struttura, ossia nel loro funzionamento e nelle reciproche relazioni in un sistema di appartenenza. Tra i massimi esponenti, Gurvitch e Lévi-Strauss, fondatori rispettivamente della sociologia e dell’antropologia strutturale.

Il poststrutturalismo mette poi in crisi le basi del movimento; in particolare l’antropologo Foucault critica anche l’idea stessa di struttura e confuta tutte le teorie umanistiche dell’uomo e della storia; basa il suo studio sul diverso, l’irrazionale e il deviante, nascosti dalla concezione lineare della storia, cui contrappone un metodo detto archeologia del sapere, capace di spiegare la rete concettuale alla base della produzione intellettuale di un’epoca.

L’epistemologia contemporanea parte soprattutto dal falsificazionismo di Popper, oppositore dei concetti neopositivistici proposti sia dal circolo di Vienna sia dalla scuola di Francoforte. Popper afferma che la conoscenza scientifica è provvisoria; in questo senso elabora il principio della falsificabilità, secondo cui si può affermare la scientificità di una teoria solo quando questa ha la possibilità di essere ritenuta falsa e un’ipotesi sarà tanto più valida quanto più essa resisterà alle verifiche (le teorie scientifiche devono essere rifiutate se non concordano con i fatti noti). Servendosi di questi concetti definisce metafisica, e non scientifica, la teoria storica marxista.

Feyerabend, dapprima influenzato da Popper, lo critica approdando all’anarchismo metodologico, secondo il quale nessuna teoria può essere in accordo con i fattori noti del suo campo; infatti, la pratica sperimentale dimostrerebbe che tutte le norme possono essere violate se le circostanze lo richiedono.

Nel secondo dopoguerra, Gadamer ridà importanza all’ermeneutica, interessandosi di filosofia dell’esistenza. L’ermeneutica è la teoria e la tecnica dell’interpretazione dei testi, in particolare antichi. L’esegesi è l’applicazione delle regole dell’ermeneutica. Dopo Schleiermacher e Dilthey, era stato con Heidegger che l’ermeneutica aveva acquistato importanza (in Essere e tempo Heidegger accetta il cosiddetto circolo ermeneutico che parte sempre da una precomprensione della cosa da interpretare e che rende possibile la conoscenza).

Per l’ontologia ermeneutica di Gadamer non è invece possibile tornare indietro rivivendo il passato in modo oggettivo; quando si emette un giudizio si è influenzati dalla propria visione del mondo. Il pregiudizio non va però eliminato, ma gestito con una certa saggezza: nel circolo ermeneutico ogni interpretazione è influenzata dai nostri pregiudizi storici; con la fusione degli orizzonti il fruitore del testo entra all’interno del circolo ermeneutico, in cui si fondono due orizzonti: quello dell’interprete, formatosi entro la tradizione e la precomprensione del presente, e quello del testo, che porta con sé l’insieme di tutte le interpretazioni e tradizioni che ha vissuto.

Il secondo dopoguerra

Lo strutturalismo del secondo dopo guerra ha trovato un’importante applicazione nella critica letteraria, generando una narratologia specifica

La razionalizzazione dell’età moderna ha in parte attenuato l’importanza dei grandi temi della filosofia che negli ultimi decenni del XX sec. preferisce dedicarsi a temi circoscritti come l’etica del discorso (Apel e Habermas) e l’etica della responsabilità (Jonas), anche se con Lévinas, Derrida e Deleuze c’è il tentativo di elaborare una filosofia postmetafisica.

 

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