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Onomatopea

L’onomatopea è una figura retorica con la quale, attraverso il suono di una parola, si descrive o comunque si suggeriscono acusticamente determinati oggetti e azioni.

Il significato di onomatopea è, sostanzialmente, “creazione di parole”; il termine è di origine greca; deriva infatti dal latino tardo “onomatopeia” che a sua volta deriva dal greco onomatopoiìa, termine composto da onomato- (da onoma, nome) e dal tema verbale di poièo (il cui significato è io faccio).

L’onomatopea è una figura di uso comunissimo; la ritroviamo nel parlare quotidiano, in pubblicità (si pensi al celeberrimo spot che recitva Brrr… Brancamenta), nei fumetti (anche ricorrendo a termini onomatopeici stranieri come gasp, gulp, bang, boom ecc.), in letteratura (come vedremo più avanti, molti grandi autori italiani hanno fatto ricorso all’onomatopea nelle loro opere), nei testi musicali ecc.

L’onomatopea è usata non soltanto con parole esistenti, ma anche con quelle create dall’autore.

Onomatopee primarie e secondarie

Relativamente alla figura retorica in questione si è soliti fare la seguente distinzione:

  • onomatopee primarie
  • onomatopee secondarie

Quella primaria è l’onomatopea vera e propria; si tratta di un termine o di un’espressione che in sé e per sé non sono portatori di significato; la sua funzione è quella di evocare un determinato suono; i classici esempi sono espressioni come miao miao (che imita il verso del gatto), il bau bau (che evoca l’abbaiare del cane) o etciù (che imita lo starnuto); dall’onomatopea primaria deriva, tramite un processo onomatopeico, quella secondaria; si tratta di termini che sono portatori di significato; in genere si tratta di verbi (esempi tipici sono miagolare, frusciare, ronzare),  sostantivi (miagolio, fruscio, ronzio) o aggettivi (miagolante, frusciante, ronzante). L’onomatopea secondaria è anche detta artificiale.

Onomatopea - Significato - Esempi

L’onomatopea è una figura retorica di utilizzo comune nel linguaggio fumettistico

Onomatopea – Esempi di utilizzo

Come accennato nella parte iniziale dell’articolo, molti grandi letterati italiani hanno fatto ricorso all’onomatopea nelle loro opere; fra questi ricordiamo Giovanni Pascoli; ecco alcuni esempi:

“Un bubbolio lontano” (Temporale);

“sciabordare delle lavandare” (Lavandare);

“c’è un breve gre gre di ranelle” (La mia sera);

“veniva una voce dai campi: chiù” (L’assiuolo);

“che un giorno ho da fare tra stanco don don di campane…” (Nebbia).

Altri esempi di onomatopea sono i termini crosciare e croscio usati da Gabriele d’Annunzio nella sua celebre poesia La pioggia nel pineto:

Or s’ode su tutta la fronda

crosciare

l’argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia                                 

secondo la fronda

più folta, men folta.

I due termini richiamano, nell’intenzione dell’autore, il rumore fatto dalla pioggia che cade sulle fronde degli alberi.

Sempre in D’Annunzio si trovano esempi di onomatopea; questi versi sono tratti dalla sua poesia L’onda:

Sciacqua, sciaborda,

scroscia, schiocca, schianta,

romba, ride, canta,

accorda, discorda…

Anche Eugenio Montale ha fatto ricorso all’onomatopea nella sua poesia Non ho mai capito se io fossi:

Non ho mai capito se io fossi

il tuo cane fedele e incimurrito

o tu lo fossi per me.

Per gli altri no, eri un insetto miope

smarrito nel blabla

dell’alta società….

In questo caso, il termine blabla sta per chiacchiericcio, parlottio molesto.

Una poesia in cui si ha notevole utilizzo dell’onomatopea è La fontana malata di Aldo Palazzeschi (vale la pena ricordare che qui l’autore parodizza l’abuso che alcuni poeti fanno di tale figura retorica); il testo inizia così:

Clof, clop, cloch,

cloffete,

cloppete,

clocchete,

chchch…

È giù,

nel cortile,

la povera

fontana

malata…

I primi cinque versi torneranno ancora due volte nella poesia; se nella lirica di D’Annunzio, la pioggia trasformava i protagonisti, attraverso un procedimento panico e armonico, in parte della natura circostante, in Palazzeschi l’acqua esce a stento (il poeta riproduce attraverso parole onomatopeiche il getto – anche in questo caso parodizzando l’uso del fonosimbolismo pascoliano e dannunziano) e provoca il lamento angoscioso e tormentato della fontana.

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