L’omoteleuto è una figura retorica che consiste in due o più parole vicine o in posizioni simmetriche che terminano con lo stesso suono o con un suono simile; diversamente da una rima, questo fenomeno può verificarsi anche all’interno di un verso, non necessariamente alla fine. Rientra perciò nella categoria delle figure retoriche di suono.
Un omoteleuto può ripetere in due o più parole suoni identici oppure simili, per consonanza (uguali consonanti, diverse vocali) o assonanza (uguali vocali, diverse consonanti).
In poesia l’uso dell’omoteleuto è finalizzato a ottenere una certa musicalità o un certo ritmo senza ricorrere solo alle rime e a enfatizzare alcune parole. In prosa questa figura retorica non è molto usata, ma la ritroviamo a volte in proverbi e modi di dire: se ne fa un uso inconsapevole (es. “Chi si loda s’imbroda”). Può essere però un espediente usato nella narrativa per i dialoghi, per esprimere il tono di una conversazione o il rapporto tra due persone che usano parole simili (per esempio, può essere una presa in giro). Questa figura retorica è poi molto usata in pubblicità, perché rende le frasi molto orecchiabili e fa sì che si imprimano nella memoria.

Omoteleuto in greco significa “che ha la stessa desinenza”, cioè la stessa parte finale di parola
Omoteleuto – Esempi
Numerosissimi possono essere gli esempi di omoteleuto nella poesia italiana, anche se spesso saltano all’occhio difficilmente, perché sono meno evidenti delle rime. Eccone alcuni:
- “Ma sedendo e mirando, interminati / Spazi di là da quella” (Leopardi, L’infinito);
- “l’odore di fragole rosse” (Pascoli, Il gelsomino notturno; omoteleuto per assonanza);
- “Non sa ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare, ci sia qualch’altra felicità” (Pascoli, Oh Valentino).