L’eufemismo è una delle figure retoriche più comunemente utilizzate, sia nel linguaggio scritto che in quello parlato e la cui definizione è “processo espressivo che consiste nella sostituzione di determinate parole o espressioni con altre che hanno un tono più attenuato”; per estensione, è un eufemismo il termine utilizzato con tale scopo. Deriva dal verbo greco euphemèo il cui significato è “pronunciare parole di buon augurio”. L’utilizzo di un eufemismo è pratica comune in diverse situazioni; tipicamente vi si ricorre quando si trattano argomenti che potrebbero risultare osceni, di cattivo gusto, di cattivo augurio, particolarmente offensivi o fuori luogo. Sinonimi di eufemismo sono termini o espressioni quali attenuazione, circonlocuzione, perifrasi, giro di parole.
Eufemismo – Esempi di utilizzo
Un classico esempio di utilizzo di eufemismi sono i giri di parole che si utilizzano per riferirsi a una prostituta (termine del quale esistono sinonimi decisamente volgari); si usano infatti termini o circonlocuzioni quali “donna di facili costumi”, “bella di notte”, “donnina allegra”, “lucciola”, “passeggiatrice”, “donna di vita”.
Il ricorso alla figura retorica dell’eufemismo è decisamente comune anche nel campo della medicina e della morte; è infatti ricorrente la pratica di ricorrere a espressioni che vogliono rendere meno pesanti determinate situazioni; ecco quindi che invece di utilizzare l’espressione “è morto” si usano giri di parole eufemistici come “se n’è andato”; “è passato a miglior vita”, “è volato in cielo”; “si è addormentato per sempre”; “ha finito di soffrire” ecc. Altro classico caso di eufemismo è il termine caduti invece di morti (“Federico è caduto in battaglia”).
Classico il ricorso a eufemismi anche nel caso di malattie particolarmente gravi o mortali; il termine cancro, per esempio, è spesso sostituito da espressioni quali “un brutto male”, “un male che non perdona”, “un male incurabile” ecc.
La pratica dell’eufemismo è tipica del cosiddetto “politicamente corretto”; ecco quindi che si ricercano locuzioni alternative per indicare alcuni mestieri o condizioni la cui denominazione è dai più ritenuta squalificante se non addirittura offensiva; classici esempi sono locuzioni quali operatore culinario invece di sguattero, operatore ecologico in luogo di spazzino, collaboratore scolastico anziché bidello, diversamente abile invece di handicappato, non udente al posto di sordo e non vedente invece di cieco.
Gli eufemismi sono frequentemente utilizzati per mitigare insulti o giudizi poco lusinghieri; si usa quindi come eufemismo il termine alienato per non dire matto oppure pazzo; si usa un eufemismo anche quando diciamo “poco lucido” per non dire “è ubriaco”.
Eufemisticamente usiamo l’espressione “lasciare a desiderare” per non dire “fare schifo” (“L’ultimo film di Tarantino ha lasciato a desiderare”).
Si può avere eufemismo anche sotto forma di litote (figura retorica riassumibile come “negazione del contrario”); classici esempi sono i seguenti:
- non è un’aquila (è stupido)
- non è un cuor di leone (è vigliacco)
- non è bellissimo (è bruttino)
- non è spigliato (è imbranato)
- non è raffinato (è rozzo).

L’eufemismo è una delle figure retoriche più comunemente utilizzate, sia nel linguaggio scritto che in quello parlato e la cui definizione è “processo espressivo che consiste nella sostituzione di determinate parole o espressioni con altre che hanno un tono più attenuato”
La figura retorica opposta all’eufemismo è il disfemismo.
L’eufemismo nella letteratura colta – Esempi
L’eufemismo è spesso presente anche nella letteratura colta; questo passo è tratto dall’Inferno di Dante Alighieri:
- …Quando rispuosi, cominciai: – Oh lasso,
- quanti dolci pensier, quanto disio
- menò costoro al doloroso passo! …
In questo caso il doloroso passo sta per “adulterio”.
Un altro esempio lo troviamo in Petrarca (Levommi il mio penser in parte ov’era)
- i’ so’ colei che ti die’ tanta guerra,
- et compie’ mia giornata inanzi sera
dove il secondo verso significa “morii in modo prematuro”
Infine, un esempio tratto da Traversando la Maremma toscana (G. Carducci):
- Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
- E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
- E dimani cadrò. Ma di lontano…
In questo caso, “cadrò” sta per “morirò”.