L’apostrofe è una figura retorica molto comune in poesia, consiste in un discorso fatto con toni accorati, di affetto o di rimprovero, a persone scomparse o assenti o a cose personificate (si veda a quest’ultimo proposito la scheda Personificazione e prosopopea). È sinonimo di invettiva quando il discorso è accompagnato da toni particolarmente violenti o sarcastici. Un famoso esempio di invettiva è il seguente (Dante, Purgatorio): («Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di provincie, ma bordello!».
Fuori dall’ambito poetico, nell’uso comune, il termine apostrofe ha sostanzialmente un duplice significato; in una prima accezione ha una connotazione negativa; è infatti sinonimo di rimprovero (apostrofare qualcuno significa rimproverarlo, redarguirlo), richiamo, reprimenda, invettiva; in una seconda accezione è sinonimo di invocazione.
Apostrofe e invettiva – Esempi
Nella nostra letteratura gli esempi di apostrofe e invettiva si sprecano. Di seguito riportiamo alcuni di quelli più noti.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io (l’incipit di uno dei più celebri sonetti di Dante Alighieri)
O Deo, che sembra quando li occhi gira! (da Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, famoso sonetto di Guido Cavalcanti).
San Lorenzo, io lo so perché tanto… (X agosto di Giovanni Pascoli si apre con questa apostrofe).
Garzoncello scherzoso […]; Godi, fanciullo mio […] (Il sabato del villaggio, Giacomo Leopardi).
O graziosa luna, io mi rammento (Alla luna, Giacomo Leopardi).
Sempre in Leopardi (A Silvia) l’apostrofe ricorre ben tre volte: v. 1, Silvia, rimembri ancora; v. 29, o Silvia mia!; v. 36, O natura, o natura).
Zacinto mia […]; o materna mia terra […] (A Zacinto, Ugo Foscolo).
[…] o fratel mio […] (In morte del fratello Giovanni, Ugo Foscolo).
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato (Non chiederci la parola, Eugenio Montale).
Di seguito, un celeberrimo esempio di invettiva tratta dall’Inferno di Dante Alighieri (canto XXXIII):
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!

In Uomo del mio tempo (Salvatore Quasimodo), la figura dell’apostrofe caratterizza quasi tutta la composizione (il poeta si rivolge direttamente e accoratamente all’uomo in seconda persona che, per sineddoche, rappresenta tutta l’umanità).