L’apocope è una figura retorica utilizzata molto comunemente; la ritroviamo sia nel linguaggio comune che in quello scritto, molto spesso in quello poetico. Il termine è di derivazione greca (apocopḗ, taglio, amputazione).
L’apocope, nota anche come troncamento, è il fenomeno per il quale si ha la caduta della sillaba e della vocale finale di una parola all’interno della frase; non deve essere confusa con l’elisione; l’apocope, infatti, a differenza dell’elisione non è rappresentata da alcun segno nella scrittura.
Da un punto di vista logico si dovrebbero comunque differenziare i casi in cui si ha la caduta di una sola vocale e quelli in cui, invece, cade un’intera sillaba. I casi in cui si ha la caduta di una sola vocale sono più complessi perché diventa piuttosto facile confondersi con il fenomeno dell’elisione. Il classico esempio che in molti ingenera tanti dubbi è quello di qual è: si deve considerare apocope (e allora non ci va l’apostrofo) oppure elisione?
Apocope o elisione? Una regola pratica
Come capire se trattasi di apocope oppure di elisione?
Una regola pratica ci dice che dobbiamo chiederci se potremmo usare la forma anche davanti a una parola che inizia per consonante. Per esempio, si può dire qual buon vento ti porta, quindi qual è un troncamento e scriveremo perciò qual è anche quando è seguito da vocale.
Comprendere la differenza fra apocope ed elisione ci consente di spiegare il motivo per cui si usa l’apostrofo con l’articolo indeterminativo davanti a un nome femminile. Infatti, procediamo applicando la regola pratica precedente. Davanti a un nome o a un aggettivo si deve usare il raffronto fra parole dello stesso genere. Nessuno si tronca davanti a un nome maschile perché si può dire nessun personaggio quindi si scriverà nessun albero (senza apostrofo, è un apocope!), ma si scriverà nessun’amica (è un’elisione!) perché non si può dire nessun sedia!
Esempi di apocope – Quando è obbligatoria e quando è facoltativa
L’apocope è obbligatoria con gli aggettivi maschili bello, buono, santo riferiti a nomi che iniziano per consonante e introdotti dagli articoli il e un (un bel cane, il San Raffaele, un buon partito ecc.), con gli articoli indeterminativi e gli indefiniti derivati da -uno davanti al maschile (alcuno, ciascuno, nessuno; per esempio nessun uomo), con alcuni nomi come frate e suora (fra Cristoforo, suor Vincenza), con i toponimi costruiti con valle, torre, colle, piano, casa e simili (Pian dell’Armà), coi sostantivi usati come titoli, seguiti da nome proprio (il professor Rossi).
In particolare, l’apocope si può attuare se davanti alla vocale finale che si vuole eliminare c’è una delle seguenti consonanti: “l” “m”, “n”, “r”.
L’apocope è possibile, ma non è obbligatoria in altri casi (si può dire una gran occasione, ma anche una grande occasione).
Il troncamento non andrebbe mai segnalato con l’apostrofo, ma è corretto indicare come apocope (e l’apostrofo ci vuole) anche le forme po’ (cade la sillaba-co), di’ (cade la sillaba -ci), mo’ (cade la sillaba -do di modo).

L’apocope è una figura retorica utilizzata molto comunemente; la ritroviamo sia nel linguaggio comune che in quello scritto, molto spesso in quello poetico.
Nell’enigmistica
Il termine apocope era utilizzato anche nell’ambito dell’enigmistica come nome alternativo a uno dei tipi di scarto (uno schema che lega tra loro due parole in modo da far sì che la seconda si ricavi togliendo una lettera oppure una sillaba dalla prima); in particolare con apocope si faceva riferimento allo “scarto finale”.