Sempre più spesso si sente parlare di ridimensionamento nel lavoro. Vediamo di cosa si tratta e a cosa serve. La tecnica del ridimensionamento è utile in tutti quei casi di lavoro reale in cui il soggetto sente che la situazione gli sta sfuggendo di mano, che non lo soddisfa completamente.
Nell’articolo sul lavoro reale abbiamo visto che spesso, per arrivare a rendere soddisfacente un parametro (indice di qualità, denaro, tempo, controllo, stress), rendiamo insoddisfacenti gli altri. Il caso classico è quello di chi resta in ufficio fino alle otto di sera per garantirsi una carriera che gli dia “le soddisfazioni che merita”. Peccato che il lavoro che fa sia spesso noioso e ripetitivo, pieno di grane la cui soluzione dà sollievo, non gioia; che gli tolga il tempo per avere una vera vita extra-lavorativa; peccato poi che non abbia nessun controllo su questo lavoro che vive in balia dei suoi capi e del mercato; peccato infine che il livello di stress sia alto perché da lui si richiede sempre il massimo.
Cosa non ha capito? Che quello che gli succede è la naturale conseguenza del fatto che il lavoro lo trascende. Non è abbastanza bravo da fare tutto più in fretta (tempo), non è abbastanza bravo da poter chiedere un aumento (denaro), non è abbastanza bravo da controllare la situazione mettendo in crisi i capi se decidesse di andarsene (controllo), non è abbastanza sicuro da fare tutto con calma e serenità. In altri termini, lui vale x e fa un lavoro da x + un tot.
Da questo esempio dovrebbe essere chiaro che
una buona strategia per non finire stritolati dal proprio lavoro è ridimensionarsi.
Il termine ridimensionarsi deve essere compreso nel suo significato esteso: ridursi a giuste, idonee, opportune proporzioni, dove gli aggettivi vanno riferiti alla qualità della vita.
Sorpresi? Sì, l’esatto contrario di ciò a cui spinge la società: la voglia di carriera, di successo, di prestigio e di altre droghe simili.
Avete mai provato a correre con qualcuno atleticamente più forte di voi? Se quello spinge, sono dolori, la corsa diventa una sofferenza unica. Così accade per il lavoro, se è il massimo che riuscite a fare, avrete sì le massime gratificazioni, ma anche massimo stress e il minimo tempo libero (ricordate che per fare una cosa facile ci si mette di meno che per fare una cosa difficile: per esempio, un valente professore universitario, se facesse l’insegnante di fisica in un liceo non dovrebbe ripassare ogni volta la lezione, mentre se dovesse presentare un nuovo progetto ai capi della multinazionale dove lavora, un po’ di tempo per la “preparazione” dovrebbe spenderlo). Non è intelligente “sentirsi stressati dalle responsabilità del proprio lavoro”, vuol dire che si è fatto il passo più lungo della gamba… e si può sempre tornare indietro.
Ovviamente ridimensionarsi non significa accettare qualunque lavoro, ma solo evitare di correre sul filo del rasoio. Praticamente,
se valete 10 sceglietevi un lavoro da 9,5, se valete 7, un lavoro da 6,5 ecc.
In tal modo padroneggerete sempre il vostro lavoro. Questa non è che la versione moderna e pratica del famoso detto di Cesare: meglio primo in un villaggio che secondo a Roma.

Il termine downshifting è stato coniato nel 1994 dal Trends Research Institute (New York) come risposta al modello di società iperconsumista
Ridimensionamento e multinazionali
Come è possibile far passare il principio del ridimensionamento in una società che tende invece a spingere gli individui alla competizione, al massimo dei propri limiti? Innanzitutto capendo anche cosa il ridimensionamento non è.
Ridimensionarsi non significa lavorare poco e male. Il fannullone non fa altro che spendere inutilmente le ore passate sul lavoro perché, lavorando male, non ottiene il massimo dal suo tempo. Occorre capire che quando si lavora, si lavora, arrivando al meglio offerto dalle proprie capacità.
È un’amara consolazione lavorare poco e male solo perché il nostro indice di qualità è basso: il tempo che dedichiamo al lavoro se ne va lo stesso e noi sopravviviamo nel nostro ufficio o in fabbrica.
Ridimensionamento è l’esatto contrario di tutte quelle tecniche (tipo PNL) che vorrebbero cavar sangue dalle rape, facendo diventare tutti esperti venditori o manager rampanti, semplicemente infondendo fiducia, ma di fatto sottraendo tempo vitale (il soggetto acquista autostima, ma, poiché è modesto, per ottenere il lavoro X ci mette il doppio di un soggetto veramente dotato).
Ridimensionamento non vuol dire non dare mai il massimo o non andare mai al di là dei nostri limiti; vuol dire non farlo in modo continuativo con un dissanguamento della nostra vita.
Ridimensionarsi significa scegliere un lavoro che, nel tempo a disposizione e in base all’indice di qualità del lavoro considerato, permetta di ottenere risultati interessanti.
Le multinazionali hanno incominciato a occuparsi di fitness per i loro dipendenti. Alla base c’è il concetto che un dipendente che sta meglio è sicuramente più produttivo e più efficiente. La stessa cosa dovrebbe applicarsi anche in campo mentale.
Si consideri un soggetto A che vale 8 e che occupa un posto da 7,5. Il suo indice di qualità è molto buono (cioè il suo lavoro gli piace moltissimo) e non gli spiacerà lavorare 8-9 ore al giorno. In tale tempo svolgerà talmente bene il suo compito da non risultare stressato, da essere sempre reattivo, da non pensare nemmeno lontanamente a un cambio di lavoro. L’azienda otterrà il massimo.
Si consideri ora un soggetto B che vale 7 e che debba occupare il posto da 7,5: anche se il suo indice di qualità è altissimo, 8 ore non basteranno a realizzare gli obbiettivi che A realizzava facilmente; dovrà lavorare anche più di 10 ore, lo stress aumenterà, la qualità del lavoro diventerà a poco a poco approssimativa, affioreranno ogni tanto problemi, la sua qualità della vita degraderà (ha meno tempo per sé, per la sua famiglia ecc.) e vi sarà una retroazione negativa sul lavoro, tanto che il suo capo non sarà pienamente soddisfatto o B stesso deciderà di andarsene.
Come si vede è ragionevole pensare che, anche per le aziende e per la società in generale, il ridimensionamento possa sostituire il vecchio ricorso alla carriera e alla spremitura delle risorse umane.
Il downshifting
Negli ultimi anni sono saliti agli onori della cronaca diversi esempi di downshifting (letteralmente “scalare di marcia”), cioè cambiare lavoro, prendendosela con più calma, facendo ciò che piace, avendo più tempo libero ecc. Niente più stress, un po’ meno denaro, ma migliore qualità della vita: semplicità volontaria in campo lavorativo.
Sarebbe un grave errore confondere il downshifting con il ridimensionamento.
Fondamentalmente il downshifting è una versione “esagerata” della tecnica del ridimensionamento. Personalmente ritengo piuttosto falsi i molti esempi che la stampa ha portato sul downshifting perché trattasi di persone comunque affermate (non di operai o impiegati statali) che hanno cambiato completamente lavoro per riscoprire valori propri. Questi casi sono, come nel mio caso, semplici passaggi dalla strategia del traguardo a quella dell’artista.
La saggezza
Accanto alla modestia ci vuole la saggezza. Ovviamente per quanto si operi, il lavoro ci toglierà una parte della nostra vita. Ma non è il caso di farne un dramma. L’importante è conservare lo spazio sufficiente per coltivare i propri oggetti d’amore. Per spazio non si intende solo il tempo libero (per esempio, chi lavora otto ore ha comunque sufficiente tempo libero se, una volta che ha staccato, il lavoro non invade il resto delle sue giornate), ma anche le energie fisiche e mentali.
Il discorso sulla saggezza è fondamentale per capire che
avere grandi aspettative dal lavoro può rivelarsi un boomerang.
Più grandi sono le aspettative, più preciso deve essere il piano di riserva nel caso non si avverassero. Spesso è più saggio avere aspettative modeste dal lavoro, dai nostri colleghi e dai nostri capi. Le mazzate si prendono quando ci si aspetta troppo dal lavoro, dagli altri, da noi.
Ogni lavoro ha le sue regole, le regole ridimensionano di molto le aspettative del singolo e solo chi è poco saggio non tiene conto di questo. Se lavoro in una multinazionale è sciocco non considerare che il profitto è il massimo parametro con cui viene giudicato il mio operato; se lavoro in polizia è abbastanza ingenuo non tener conto del fatto che i gradi possono contare più dell’effettiva capacità del soggetto ecc. Quindi, cercate di capire le regole del vostro ambiente di lavoro e non opponetevi a esse a mo’ di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Se le regole non vi vanno bene, cambiate lavoro!
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