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Pensione integrativa

La pensione integrativa è una soluzione parallela al reddito in vecchiaia che lo Stato offre al cittadino, utilizzando il denaro accantonato durante la sua vita lavorativa; si affianca cioè alla classica pensione statale (ricordiamo che, attualmente, il calcolo della pensione viene effettuato con modalità diverse a seconda della data di inizio della contribuzione INPS; i sistemi di calcolo sono tre: retributivo, contributivo e misto); si parla quindi di previdenza complementare.

Sono già diversi anni che si affronta il tema della pensione integrativa, ma negli ultimi anni è stato trattato con più attenzione; infatti, l’allungamento della vita lavorativa, il crescente tasso di disoccupazione, la riforma pensionistica e il perdurare della crisi economica sono tutte situazioni che hanno portato molti cittadini italiani a porre una maggiore attenzione al proprio futuro pensionistico.

Il fatto che ci si stia avviando verso un sistema pensionistico che nel giro di pochi anni sarà esclusivamente di tipo contributivo (si stima che l’entrata mensile sarà compresa fra il 50 e il 60% dello stipendio medio mensile percepito negli ultimi anni lavorativi; il gap previdenziale non è quindi minimale) ha fatto riflettere molti lavoratori sull’opportunità di integrare il reddito pensionistico statale.

Non è fra gli scopi di questo articolo acculturare su tutti gli aspetti della pensione integrativa e complementare, per questo esistono siti web appositi, professionisti e organizzazioni sicuramente più preparati e aggiornati.

In realtà, come spesso facciamo nel nostro sito, vogliamo mettere in guardia dalle facili illusioni che possono scaturire da una visione troppo ottimistica della materia.

Infatti, se è a tutti chiara la massima deducibilità fiscale che oggi è possibile avere grazie al versamento annuo a una forma pensionistica complementare (attualmente, 2017, tale deducibilità ammonta a 5.164,57 euro annui; attenzione: la deduzione non deve essere confusa con la detrazione; la prima comporta un abbattimento del reddito imponibile, mentre la detrazione comporta un abbattimento dell’imposta), a pochi è chiaro a quanto effettivamente ammonterà la rendita, una volta andati in pensione.

La risposta è: a molto poco. Tant’è che si parla di pensione integrativa, non di pensione sostitutiva. Se lo Stato non farà la sua parte o se il soggetto non avrà fondi propri, è illusorio sperare che con un versamento annuo di circa 5.000 euro si possa ottenere una buona pensione.

Gli strumenti tecnici che il legislatore ha individuato per garantire una pensione integrativa sono i cosiddetti fondi pensione. Sostanzialmente ne esistono di tre tipi: fondi pensione aperti, fondi pensione chiusi (detti anche fondi pensione negoziali) e PIP (acronimo che sta per Piani Individuali Pensionistici); i primi sono fondi gestiti da società private, istituti bancari, società di gestione del risparmio o compagnie assicurative e che sono destinati a tutti i lavoratori e a coloro che ancora non svolgono attività lavorative. L’adesione può essere collettiva o individuale; i secondi sono una tipologia di fondi che si basa su accordi fra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali e quindi legati a determinate categorie di lavoratori (sia dipendenti che autonomi); i PIP sono invece piani di previdenza individuali che sono strutturati sulla base di polizze assicurative sulla vita.

I gestori dei fondi pensione investono i capitali raccolti in strumenti finanziari di vario tipo (azioni, obbligazioni, titoli di Stato e via discorrendo); le strategie di investimento sono diverse e gli obiettivi che i gestori si pongono possono essere sommariamente descritti in termini di rendimento atteso (quanto i gestori si aspettano di ricavare dalla strategia intrapresa) e rischio (la possibilità di perdere in parte quanto investito); in genere, a guadagni maggiori corrispondono rischi maggiori; dal momento che l’obiettivo dei fondi pensioni è quello di assicurare un’integrazione alla pensione erogata dall’INPS (la cosiddetta pensione pubblica), solitamente i gestori dei fondi pensione seguono strategie piuttosto prudenti, ma questa non è una regola assoluta. È per questo motivo che, quando si sceglie un fondo pensione, è opportuno valutare con attenzione la strategia di investimento seguita dal gestore.

Una volta terminata l’attività lavorativa, ciò che è maturato sul fondo sarà trasformato in una rendita che integrerà la pensione statale; è anche possibile ritirare il 50% del capitale maturato e trasformare in rendita pensionistica ciò che rimane. Un’altra possibilità, nel caso in cui la rendita derivante dal capitale maturato sia inferiore al 50% della pensione sociale, è quella di ritirare l’intero controvalore.

Va precisato che ciò che è maturato con il tempo su un fondo pensione può essere riscattato in anticipo rispetto alla data del pensionamento:

  • in qualsiasi momento, per una quota che può arrivare anche al 100%, ma soltanto per motivi predeterminati contrattualmente (per esempio, disoccupazione, gravi problemi di salute, acquisto di una nuova casa ecc.
  • dopo 8 anni di versamento, fino al 30%, a prescindere dalla motivazione.

Come funziona la pensione integrativa

A grandi linee, la pensione integrativa funziona così.

1) Il soggetto versa in X anni un certo capitale Y.

2) Il soggetto percepirà una rendita vitalizia che è funzione di Y e di un coefficiente che dipende da quando inizia la rendita vitalizia e dal sesso del soggetto (le donne, avendo una vita media più lunga, percepiranno di meno, a parità delle altre condizioni). Per esempio, se inizia a 60 anni questo coefficiente può essere il 5%, cioè un ventesimo del capitale versato.

Ovvio che il coefficiente sarà tanto maggiore quanto più avanti negli anni inizierà l’erogazione della rendita.

Il punto critico della pensione integrativa è proprio il valore di tale coefficiente che smorza gran parte degli entusiasmi. Giocando su inflazioni presunte, rivalutazioni interessanti ecc. è abbastanza facile far comparire cifre interessanti, ma se si ragiona avendo presente solo i due punti sopraccitati, si può facilmente concludere che se in venti anni un quarantenne versa 100.000 euro, a partire dai sessant’anni questi avrà una rendita di circa 5.000 euro all’anno, cioè 400 euro al mese. Come detto, i conti sono solo approssimazioni, ma l’ordine di grandezza è questo.

La reversibilità – Un aspetto molto importante della previdenza integrativa è la caratteristica di essere reversibile, caratteristica che deve essere attentamente studiata. Infatti grazie alla reversibilità, il beneficiario della rendita, al termine del periodo di contribuzione, può optare per una rendita che nel caso di suo decesso continuerà a essere corrisposta a una persona da lui indicata (a prescindere dell’asse ereditario), ma la reversibilità viene gestita diversamente a seconda che l’aderente deceduto sia ancora nella fase di versamento dei contributi (in tal caso è previsto il solo caso del capitale ai beneficiari, esente da qualsiasi imposta) piuttosto che in quella di erogazione delle prestazioni.

Nel caso in cui il beneficiario del fondo pensione o della polizza decida per la reversibilità, poiché nessuno regala niente, si tratta di un’opzione addizionale da pagare. Occorre però fare attenzione alla differenza fra rendita e capitale: se si sceglie di avere una pensione, essa è legata alla vita del beneficiario ed eventualmente a quella dei suoi superstiti, ma non può ritrasformarsi in capitale alla morte. Chi decide per la reversibilità decide quindi di rinunciare al capitale. Esistono, naturalmente, combinazioni più sofisticate di prodotti che prevedono anche l’assicurazione di un capitale a favore di superstiti, ma in generale non è possibile avere la pensione per sé e poi il capitale a favore degli eredi superstiti.

Pensione integrativa

La pensione integrativa è una soluzione parallela al reddito in vecchiaia che lo Stato offre al cittadino

Pensione integrativa – Conviene?

Per chi non fosse convinto che in economia vale sempre la legge che nessuno regala niente, sono usciti interessanti prodotti che danno subito il quadro della situazione, le polizze di rendita immediata che consentono di disporre per sé o per i propri cari di un reddito certo, immediato e rivalutato nel tempo.

In genere la durata del contratto è legata alla vita dell’assicurato (o degli assicurati in caso di rendita reversibile) e la polizza prevede l’erogazione di una rendita vitalizia rivalutata annualmente in funzione del rendimento di un fondo associato alla polizza. Al momento della sottoscrizione è possibile optare per la reversibilità, in favore dei propri cari, delle somme percepite: ovviamente questa operazione costa.

Proviamo ad analizzare la polizza di una nota banca italiana con un versamento unico di 100.000 euro.

Primo caso: vera pensione – Beneficiari: Mario (53 anni), reversibilità piena (100%) a sua moglie (40 anni).

A parte i 4.000 euro di spese (comprese nei 100.000, quindi ne sono investiti solo 96.000), Mario scopre che la pensione sarà di 2.897 euro annui (nella tabella compare il solito trucco di mostrare gli anni a seguire con un’ipotesi di rivalutazione del 4%, puramente teorica e comprensiva di eventuale inflazione), cioè 241 euro al mese.

Secondo caso: pensione con reversibilità al 50% – Vediamo cosa cambia con una reversibilità dimezzata. La pensione sale a 3.342 euro, 278 euro al mese.

Terzo caso: pensione senza reversibilità – A Mario viene il dubbio che sua moglie sia troppo giovane e che il suo rischio demografico (cioè la possibilità che viva molto a lungo, negativo per l’ente erogante) penalizzi la rendita. Togliamo la reversibilità.

La pensione sale a 3.952 euro, ben 329 euro al mese.

Notiamo il primo grande abbaglio della previdenza integrativa: una reversibilità del 50% costa ben il 15,5% della pensione stessa!

L’evidenza della pochezza dei risultati è illustrata dall’amplificazione dell’esempio. Una persona di sesso maschile di 60 anni con una moglie di 50 anni (per la quale vuole una reversibilità del 50%) che versa in una botta sola un milione di euro riceve come rendita una somma annua di 39.150 euro, cioè 3.262 euro al mese. Come dire: per avere un’ottima pensione occorre essere già molto ricchi!

Conclusione

Sinceramente, mi sembra che la previdenza integrativa, così come è attuata ora, sia una trovata per bravi ragazzi che, sensibili al richiamo dello Stato, rispondono: “obbedisco!”.

 

Indice materie – Economia

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