Quali sono le caratteristiche del lavoratore facilitanti una soddisfazione professionale? Quali sono le principali caratteristiche che dovrebbe avere un lavoratore ideale per avere la massima gratificazione personale e risultare contemporaneamente altamente performante? Sono quelle che permettono di gestire più facilmente i fattori principali che caratterizzano la soddisfazione professionale: qualità, denaro, tempo, controllo e stress (ved. Lavoro: le strategie).
Le sei caratteristiche che descriveremo sono da considerarsi indipendenti nel senso che le altre qualità di un lavoratore derivano da una o più di esse oppure sono richieste dal particolare tipo di lavoro svolto e non sono quindi generalizzabili. Ecco le sei caratteristiche che descriveremo nell’articolo:
- personalità
- capacità
- corretta autovalutazione
- concretezza
- coraggio
- flessibilità.
Si consiglia anche di consultare l’articolo Guida al lavoro.
Personalità
Se il soggetto non è equilibrato, potrà avere grandi problemi nel realizzarsi al meglio nel lavoro. Infatti, alcune personalità sono sicuramente penalizzanti in campo professionale.
Lo svogliato non riuscirà mai a sopperire completamente alla sua mancanza di forza di volontà anevrotica con quella nevrotica; nei momenti in cui questa viene meno, sopraffatta dalla fatica e dall’impegno lavorativi, avrà enormi e penalizzanti cali di rendimento.
Il debole sarà tagliato fuori da ogni soddisfazione professionale perché la sua strategia esistenziale (compromesso) di fatto gli assicura la mediocrità, ma non certo un voto oltre la sufficienza.
Poiché un minimo di efficienza fisica è fondamentale per dare e ottenere il massimo, il dissoluto potrà avere gravi problemi di continuità.
Il sopravvivente e l’insufficiente (quest’ultimo quando lavora e non si fa prendere in carico) non andranno mai oltre certi livelli operativi, anche se non è escluso che possano sentirsi soddisfatti.
Lo statico e il vecchio avranno problemi quando saranno superati dai tempi, risultando inadatti per tutti quei lavori che richiedono aggiornamenti frequenti.
Poiché nel lavoro è normale che qualche aspettativa fallisca, un insofferente avrà tanto maggiori problemi quanto più si metterà in gioco, rimanendo peraltro cronicamente frustrato se il lavoro svolto “non è quello che si aspettava”.
Per definizione, l’insoddisfatto vedrà sempre, del suo lavoro, la parte vuota del bicchiere.
Il romantico, se il lavoro non è la sua “idea romantica”, tenderà a vederlo solo come una noiosa necessità; se lo è, potrà incorrere nelle stesse sofferenze dell’insofferente se “la sua idea non lo corrisponde” (se cioè il lavoro non gli dà soddisfazioni).
Altre personalità possono essere meno coinvolte; per esempio, l’irrazionale potrà scegliere addirittura un lavoro in cui venderà la sua irrazionalità, il violento un lavoro in cui la competitività può in parte sopperire alla capacità, il fobico un lavoro al di fuori delle sue paure, un indeciso potrebbe essere soddisfattissimo in un lavoro che non sottolinei la sua indecisione, un patosensibile dovrà scegliere un lavoro dove non abbia contatti con il dolore altrui, il semplicistico un lavoro senza complessità, un contemplativo sceglierà un lavoro dove la cultura ha un’importanza fondamentale ecc. Per queste personalità non si può cioè capire se esiste una penalizzazione se non si entra nei dettagli del caso particolare.
La semplicità – Un caso a parte è quello dell’apparente, purtroppo una personalità che tende a coniugarsi con una possibile profonda insoddisfazione professionale.
Cosa resta critico? Il guadagno a fronte degli “sforzi” o presunti tali. Tutti pretendono di guadagnare dignitosamente.
Quel dignitosamente che ognuno interpreta a suo modo: tutti oggi vogliono tutto; non a caso mutui, prestiti, rate realizzano i sogni e fanno credere che ogni cosa ci sia dovuta. L’apparente rischia sostanzialmente di sovradimensionarsi, di scegliere lavori che lo stressano, gli portano via la libertà, lo rendono schiavo in cambio di un alto tenore di vita: la bella casa, l’auto di lusso, le vacanze da sogno, i vestiti firmati ecc.
Potrebbe trovarsi un lavoro più piacevole, magari part-time, ma non riuscirebbe a far quadrare i conti, a “permettersi” questo o quello.
Capacità
Molte persone si sopravvalutano; solo perché sono uscite con buoni voti dalla scuola o hanno fatto un po’ d’esperienza pensano di avere diritto al massimo. Ho conosciuto tante di queste persone e francamente non avrei mai dato loro un lavoro. Perché? Per due motivi: erano mediocri e/o non avevano voglia di lavorare.
Mediocri in senso letterale, nella media. Ci sono tante persone che hanno avuto buoni voti, ma se poi non concretizzi, se non sei fra i primi, sei un mediocre. Ovviamente il 90% della popolazione lo è, è nella logica delle cose. Non deve però sfuggire che quanto più si è leader (è questo il segreto, la versione moderna del famoso detto di Cesare, “meglio primo in un villaggio che secondo a Roma”) nel proprio lavoro tanto più è facile affermarsi. Se si è nel mucchio si arranca. Questo insegna che è forse meglio essere il più bravo giardiniere piuttosto che un qualunque fisico teorico.
Voglia di lavorare non significa svolgere il proprio lavoro, ma avere la forza e la capacità di dare il massimo, cioè di riuscire a lavorare intensamente. Il concetto di intensità non ha nulla di quantitativo e non deve essere confuso con l’atteggiamento del volenteroso che sta in ufficio dieci ore al giorno. Nell’unità di tempo (un’ora o una giornata, non importa) il soggetto deve riuscire a impegnarsi al massimo, valorizzando tutte le sue potenzialità. Questa è una prima grande differenza fra la scuola e la vita reale. Nella scuola il professore dà un voto senza sapere quanto lo studente ha dedicato alla preparazione; molti studenti passano ore sui libri senza una grande intensità “solo perché devono essere interrogati o perché devono passare l’esame”: una volta nel mondo del lavoro, la bassa intensità non permetterà loro di ottenere risultati pari ai loro voti scolastici semplicemente perché “non hanno tutto quel tempo a disposizione”.
Proiettata nella mia vita, la capacità è stata la molla che mi ha fatto decidere di fare per tre anni il pendolare, lavorando in un centro di ricerca di Milano per acquisire il massimo, poi di buttarmi nel boom dell’informatica senza nessuna passione, ma con la voglia di essere fra i primi e attuare la strategia del traguardo e chiudere a 40 anni. Ciò vuol dire che a 30 anni lavoravo 10-12 ore al giorno con una concentrazione che “monetizzava” anche la pausa caffè. E non si pensi che il week-end fosse libero… In fondo era comunque molto gratificante, un po’ come per un prigioniero scavare un tunnel per evadere e vedere a poco a poco che la distanza che lo separa dalla libertà diminuisce ogni giorno.
Autovalutazione
Per collocarsi correttamente nel mondo del lavoro è fondamentale autovalutarsi professionalmente in modo corretto. C’è chi tende a sottovalutarsi e chi invece tende a sopravvalutarsi: non è facile identificare le personalità coinvolte in questi errori di valutazione anche se non è difficile per esempio capire che un debole tenderà a sottovalutarsi e che un violento o un apparente saranno propensi a sopravvalutarsi. L’errore di valutazione nasce sempre dall’interazione della propria personalità con le condizioni in cui ci si viene a trovare: per esempio, un contemplativo tenderà a sovrastimare il peso della sua cultura e ciò può portare o meno a un grave errore di valutazione a seconda di quanto la cultura pesi oggettivamente nel lavoro svolto.
In linea generale, l’errore di valutazione scatta quando il soggetto non mette bene a fuoco le sue possibilità. Si noti il termine possibilità che è ben diverso dal termine capacità. Si può essere capaci, ma, se inseriti nel contesto sbagliato, tali capacità possono avere scarse possibilità di essere valorizzate.
Concretezza
La concretezza è una dote importantissima; poiché spesso è scambiata per efficacia o per efficienza, a essa è giusto dedicare un articolo a sé stante.
Coraggio
Per una piena realizzazione professionale ci vuole coraggio, senza il quale del resto non si compie nessuna grande impresa, soprattutto se si parte senza condizioni facilitanti. Il coraggio è ben distinto dalla temerarietà (che può funzionare solo se è presente anche la fortuna) e si può definire come la capacità di fermarsi un attimo prima di cadere nel baratro. Molti lavori richiedono decisioni che hanno fra le varie possibilità future anche scenari decisamente negativi. Chi ha coraggio sceglie sempre un margine di rischio gestibile. Per esempio, potrà fare dei debiti solo a ragion veduta, senza sperare che ottimisticamente “poi si vedrà”…
Flessibilità
Una qualunque strategia deve prevedere un “piano B”. Se l’insofferente è accecato dalla sua aspettativa ed è per natura poco propenso ad accettare piani alternativi, in campo professionale, anche molte persone che non sono insofferenti sono completamente prive di piano B. “Ho studiato lingue, devo fare l’interprete”; “sono quindici anni che sono precario, ora il posto fisso mi spetta di diritto”, “mio padre faceva il giardiniere, anch’io voglio fare il giardiniere” ecc. Sono tutti casi di persone a flessibilità nulla.
La flessibilità è la capacità di riciclarsi,
cioè di cambiare lavoro. Per il Personalismo chi sa fare un solo e unico lavoro è come chi ha un solo e unico oggetto d’amore e non ha la capacità d’amore sufficiente a sostituirlo nel caso lo perdesse.
La mancanza di flessibilità dipende spesso da carenze della personalità: il romantico non accetta di staccarsi dal lavoro che ama, l’insofferente e il violento pretendono che il mondo si adatti a loro, lo statico e il vecchio non sanno aggiornarsi, lo svogliato vede come troppo faticoso il doversi riciclare (magari apprendendo cose nuove), il contemplativo si trova spaesato in un ambiente poco “culturale” ecc.
Indice materie – Economia – Lavoro soddisfacente