Il ruolo dell’inflazione in Italia è spesso mal compreso dai non addetti ai lavori.
Un esempio lampante è quello degli immobili. Una casa acquistata per 10.000 euro (allora circa 20 milioni di lire) nel 1967, dopo oltre 40 anni può valerne tranquillamente 250.000. Il grande fattore di rivalutazione (25) può far pensare a grandi affari nel mercato immobiliare. In realtà, a prescindere dalle tasse che si devono pagare sulla plusvalenza, il dato è enormemente gonfiato dall’inflazione che negli anni ’70 era arrivata anche al 25% annuo!
Diventa pertanto importante imparare a scorporare gli effetti dell’inflazione dai nostri conti, per arrivare a profitti o perdite reali.
Da notare che, anche in questi anni nei quali l’inflazione è tutto sommato bassa, è fondamentale considerarla. Se l’inflazione è al 2%, un investimento che al netto di spese varie rende solo l’1,5%, è di fatto in rosso.
L’inflazione è quindi il primo benchmark, ovvero il primo punto di riferimento, per la valutazione dei nostri investimenti.
Nella tabella che segue vengono riportati i valori dell’inflazione in Italia a partire dal 1990 (da dic. a dic.; fonte: rivaluta.it). Le tre colonne sono rispettivamente l’anno, l’inflazione media annua e il coefficiente di attualizzazione.
2021 | 1,900% | 2,01 |
2020 | -0,100% | 1,98 |
2019 | 0,600% | 1,98 |
2018 | 1,100% | 1,97 |
2017 | 1,200% | 1,95 |
2016 | -0,100% | 1,92 |
2015 | 0,000% | 1,92 |
2014 | 0,200% | 1,92 |
2013 | 1,200% | 1,92 |
2012 | 3,000% | 1,90 |
2011 | 2,800% | 1,84 |
2010 | 1,500% | 1,79 |
2009 | 0,800% | 1,77 |
2008 | 3,300% | 1,75 |
2007 | 1,800% | 1,70 |
2006 | 2,100% | 1,67 |
2005 | 2,000% | 1,63 |
2004 | 2,200% | 1,60 |
2003 | 2,700% | 1,57 |
2002 | 2,500% | 1,52 |
2001 | 2,800% | 1,49 |
2000 | 2,500% | 1,45 |
1999 | 1,700% | 1,41 |
1998 | 2,000% | 1,39 |
1997 | 2,000% | 1,36 |
1996 | 4,000% | 1,33 |
1995 | 5,200% | 1,28 |
1994 | 4,100% | 1,22 |
1993 | 4,600% | 1,17 |
1992 | 5,300% | 1,12 |
1991 | 6,300% | 1,06 |
Inflazione in Italia: il mattone conviene?
Un esempio teorico. Si consideri l’acquisto di una casa fatto il 31 dicembre 1990. Da allora, considerando ogni forma di spesa (spesa iniziale, tradotta in euro, 150.000 euro, tasse, manutenzione), abbiamo investito 180.000 euro (nota: anche le tasse e i costi di manutenzione sono stati rapportati al 1990).
Il 31 dicembre 2007 (prima della crisi) rivendiamo l’immobile a 280.000 euro. Qual è l’interesse annuo del nostro investimento? Andiamo sulla tabella e verifichiamo che 1 unità al 31 dicembre 1990 vale 1,70 unità al 31 dicembre 2007. I nostri 280.000 euro valgono pertanto, rapportati al 1990, (280.000 euro/1,68)=164.706 euro.
Ci abbiamo perso 15.284 euro, altro che mettere i soldi nel mattone! Supponiamo ora che la casa venga venduta il 31 dicembre 2019 dopo che la crisi immobiliare ne ha tagliato il prezzo di ben il 30% e la casa si è ulteriormente svalutata per vetustà. Viene venduta a 200.000 euro. Il valore rapportato al 1990 (senza tener conto delle tasse pagate fra il 2007 e il 2019) vale 101.010 euro, una perdita di 98.990 euro, un colossale bagno di sangue.

L’inflazione deprime il potere di acquisto della moneta
Ovviamente, trattandosi della casa in cui si vive, l’alternativa era l’affitto di un’abitazione equivalente; nelle città italiane ci vogliono circa 14 anni di annualità d’affitto per eguagliare il valore della casa (cioè l’affitto costa circa il 7% del valore, circa 12.500 euro per una casa del valore di 180.000 euro; in zone meno appetibili l’affitto può scendere a costare fino al 4%). Se si vuole stabilire se sia meglio acquistare una casa o affittarla occorre tenere presente:
- La perdita del valore dell’immobile negli anni (nel nostro esempio, come abbiamo visto in 27 anni circa 81.000 euro); tale perdita è un affitto “virtuale”.
- La rivalutazione al netto del capitale iniziale se investito direttamente in caso di affitto della casa; per esempio i 180.000 euro investiti a rendimento nullo rispetto all’inflazione il 31 dicembre 2019 varrebbero 363.600 euro)
Se a livello annuo 1+2 coprono l’affitto conviene affittare, altrimenti no. Con una rivalutazione a rendimento nullo rispetto all’inflazione 1+2 non coprono le spese d’affitto, ma con una rivalutazione sopra l’inflazione del 5% le cose cambierebbero. Dipende quindi da come si è bravi a far fruttare i propri soldi (oltre da altri parametri, come per esempio l’eventualità di scaricare fiscalmente l’affitto nel caso in cui la casa sia anche la sede della propria attività). Se poi si paga anche un mutuo, occorrerebbe inserire anche gli interessi del mutuo come altro affitto “virtuale”.
Va da sé che acquistare una casa dove non si vive non è un buon affare (a meno di casi in cui per qualche motivo la casa si rivaluta molto, molto più del mercato). L’esempio dimostra come l’ottimismo di chi investe in immobili deriva spesso dalla mancata considerazione dell’inflazione, delle tasse e dei costi di manutenzione sull’immobile. Considerando che in passato il mattone era una delle scelte privilegiate dagli italiani per investire i risparmi si può capire una delle cause della mancata crescita del Paese rispetto ad altre nazioni dove gli investimenti si sono rivolti a scelte più performanti.
Quindi:
ogni investimento va valutato al netto dell’inflazione (rendimento reale).
Il mattone sbriciolato
Forse non è a tutti chiaro quale sia uno dei motivi del grande flop dell’Italia negli ultimi 10 anni e del perché il nostro Paese non corra come gli altri, ora che c’è una timida ripresa. Ripeto, di motivi ce ne sono tanti, ma uno è piuttosto subdolo, quasi invisibile: le ricchezze degli italiani sono ben minori di quelle di 15-20 anni fa. In un Paese dove ognuno di noi ha sulle spalle un debito di 35.000 euro (questo dato è per difetto, ormai ho perso il conto esatto) è evidente che se la ricchezza individuale evapora, la situazione diventa più critica, per lo Stato e per i singoli.
Qual è la causa principale dell’evaporazione? Il mattone. Purtroppo la scarsa coscienza economica degli italiani ha fatto sì che questi puntassero sempre sul mattone come risorsa principale dei propri risparmi. Quando il mattone è crollato, molte famiglie hanno perso in modo silenzioso dal 30 al 50% delle loro ricchezze. Infatti, molti sono ancora convinti di possederle e l’amara verità viene a galla solo quando tentano di vendere gli immobili. Risparmi di una vita dimezzati, un flop che non ha coinvolto solo risparmiatori sprovveduti che hanno voluto speculare con azioni rischiosissime, ma una marea di italiani che hanno semplicemente fatto scelte, un tempo facili e ottimistiche, ma oggi fallimentari.
C’è da notare che la spinta al mattone era stata data negli anni d’oro dall’inflazione galoppante che il povero risparmiatore non considerava quando si accingeva a investire. Nell’esempio riportato sopra c’è un esempio che mostra come, anche prima della crisi del 2008, il mattone non era certo un investimento d’oro, diventando dopo la crisi un boomerang pazzesco.
Certo, esistono anche casi particolarmente fortunati, sia prima sia dopo la crisi, ma la stragrande maggioranza degli italiani ci ha perso a solo vantaggio di quei palazzinari che, fra l’altro, hanno spesso avvelenato il clima politico locale e/o nazionale e hanno contributo a quegli scempi del territorio che oggi sono sotto accusa ogni volta che c’è un disastro.