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Guida al lavoro

Questa guida al lavoro è un vero e proprio corso verso una scelta ottimale e consapevole. Come tale, occorre non solo leggerla, ma rifletterci sopra e studiarla per adattarla al meglio al proprio caso particolare. Come sempre, il consiglio più utile è di insistere sui fattori dove siete più deboli.

Guida al lavoro – La preparazione

Nessuno può mettere in dubbio che è necessaria una buona preparazione per ottenere grandi risultati nel proprio lavoro. Il difficile sta nel definire esattamente cosa si intende con preparazione.

Limitarsi, per esempio, al titolo di studio o alla votazione scolastica è molto riduttivo e non dà alcuna garanzia. Del resto, per molti lavori i risultati scolastici non dicono granché sulla preparazione del soggetto. Pensiamo a un venditore di auto: le capacità commerciali sono decisamente più importanti che una seppur pregevole conoscenza teorica del prodotto che vende.

A posteriori, la preparazione può essere misurata dalla percentuale di successo. Un buon medico avrà un’ottima percentuale di successo nella sua specializzazione (nota: le percentuali di successo nei campi della medicina sono fortemente dipendenti dalla branca medica analizzata); ciò genererà un passaparola che porterà nuovi clienti e le cose andranno a gonfie vele.

Purtroppo la percentuale di successo è un parametro difficilmente valutabile perché non sempre i dati sono del tutto noti. Se un paziente non ritorna più dal medico sarà guarito oppure, semplicemente, non avendo avuto risultati, si sarà rivolto ad altri? Nel caso di un venditore di auto, la statistica dovrebbe tener conto di chi effettivamente compra poi un’auto e non dei curiosi che entrano nel salone solo per chiedere qualche informazione.

La percentuale di successo è quindi un indicatore che si dovrebbe tenere in grande considerazione, ma vale soprattutto per chi ha già un lavoro ben avviato e può stimarla in modo sufficientemente esatto.

Per chi vuole iniziare una nuova attività, cosa vuol dire “essere preparato“?

Vuol dire

essere in grado di competere con chi nella zona geografica di competenza è al top della propria categoria.

In altri termini, non si può fare un discorso del tipo: mi butto, poi imparo e avrò successo. Per capirci, sarebbe come se un neolaureato in medicina aprisse uno studio di oftalmologia sperando di attrarre a sé tanti clienti. Perché dovrebbero andare da lui che sicuramente offre meno garanzie (in termini di esperienza) di un affermato professionista?

Confrontarsi con i leader della zona in cui si vuole operare smonterà tanti sogni, ma sicuramente permetterà di indirizzare correttamente le scelte.

La definizione soprariportata di preparazione spiega perché in qualunque lavoro è necessaria (e utile) una certa gavetta: serve per diventare competitivi. Il tempo richiesto ovviamente dipende dal lavoro scelto: possono bastare poche settimane o possono volerci anni.

Si noti come la preparazione sia un concetto dinamico: essere preparati ieri non dà nessuna garanzia di esserlo oggi o domani. Non si tratta solo del necessario aggiornamento professionale (si veda più avanti la staticità), ma anche delle mutate condizioni al contorno.

Quando nel 2000 ho aperto il mio sito web, la concorrenza era poca, la mia preparazione (informatica, nei contenuti ed editoriale) era più che sufficiente per partire dal nulla. Oggi partire da zero sarebbe molto più difficile.

Morale: non illudetevi che la valutazione della preparazione sia indipendente da ciò che vi circonda.

Questa conclusione può portare a ridisegnare il proprio lavoro, magari specializzandolo in quei campi dove si è più preparati, a patto che la specializzazione non sia troppo penalizzante sulle quantità in gioco: essere molto competitivi in qualcosa richiesto da pochi non è il massimo.

Guida al lavoro – Il mercato

Nella ricerca/ottimizzazione del lavoro, con mercato si intende l’oggetto dell’azione lavorativa.

In prima approssimazione, il mercato è costituito dal target, cioè dai potenziali clienti che possiamo raggiungere. Questa prima definizione è quella che porta molti all’errore.

Supponiamo che si decida di aprire un bar: zona centrale e molto frequentata sia nei giorni lavorativi, sia nel week-end. Cosa c’è di sbagliato, visto che il target è enorme?

Il concetto di target è solo potenziale ed è necessario concretizzarlo con un approccio sul campo.

I fattori che abbattono il numero dei potenziali clienti sono sostanzialmente due: la concorrenza e la specializzazione.

La concorrenza – Nell’esempio del bar è ovvio che se in loco ce ne sono già troppi e bene avviati è ottimistico sperare che il mercato sia costituito dal target potenziale. Occorre stimare un trend di crescita che parta naturalmente da zero e cresca in un tempo ragionevole fino a un livello che ci possa garantire almeno la sopravvivenza dell’attività. Tale stima deve tener conto di una politica di appropriazione della clientela altrui basata sulle deficienze della concorrenza e sui plus della nostra proposta. Il grave è che molti “si buttano” senza un’analisi:

  1. della concorrenza (analisi semplicemente quantitativa)
  2. dei punti di forza/debolezza della concorrenza (analisi qualitativa)
  3. dei punti di forza/debolezza della nostra proposta.

Tipicamente i tre punti dovrebbero essere sequenziali. Se quantitativamente la concorrenza è eccessiva, è meglio rivolgersi ad altro perché probabilmente, anche in presenza di una nostra ottima proposta, ci vorrà troppo tempo per imporsi e, più sono i concorrenti, più è probabile che la reazione al nostro ingresso sia pesante.

La specializzazione – Un modo molto semplice di implementare vantaggiosamente la terza analisi precedente è di “specializzarsi”. Se, per esempio, il mio bar è l’unico a offrire un certo servizio, posso ottenere un plus rispetto ai concorrenti. Bisogna però stare molto attenti che questa considerazione non si trasformi in un boomerang.

Infatti, un errore comune è quello di non considerare che una nostra eventuale specializzazione riduce considerevolmente il mercato. Per quanto questa considerazione sia banale, viene spesso “dimenticata” e ottimisticamente si pensa che tutti si interessino a ciò che facciamo.

Se si apre un ristorante etnico è ottimistico sperare che tutti gli abitanti della zona che riteniamo di nostra competenza siano potenziali clienti perché sicuramente c’è una percentuale di essi che non gradisce il nostro tipo di cucina. Analogamente, se si apre una gioielleria e si decide di offrire pezzi di un certo pregio, non si può pensare che tutti siano disposti a spendere anche solo 300-400 euro per un anello.

Al termine di queste considerazioni dobbiamo arrivare a una curva di crescita (il numero dei clienti nell’unità di tempo), scopo della quale è di chiarire se l’attività possa o no essere vantaggiosa.

Guida al lavoro – La domanda

Stabilire se c’è domanda per ciò che facciamo potrebbe sembrare molto simile alla stima del mercato reale della nostra attività, ma le cose sono un po’ più complesse.

Si supponga che nella zona di competenza (per esempio un quartiere) il nostro bar sia il solo e che siamo in grado di offrire servizi molto buoni; abbiamo stabilito che il 30% della popolazione del quartiere è interessato alla nostra attività. Ma quanto è interessato? Quanto è forte la domanda?

Per capire la differenza fra mercato e domanda, si pensi a uno studio dentistico. In un’area geografica in cui la popolazione è poco attenta alla salute, probabilmente si andrà dal dentista solo quando si avranno problemi: si ha una domanda debole. In un’area molto salutistica, la domanda può essere molto forte con visite di controllo, interventi estetici ecc.

A parità di mercato è cioè importante stimare la forza della domanda.

Per un lavoratore dipendente che cerca lavoro è importante, per esempio, capire quanto la sua figura professionale sia richiesta. Se la domanda è molto debole, solo in circostanze eccezionali potrà trovare lavoro, anche se potenzialmente il mercato è molto vasto.

Il concetto di domanda spiega perché le varie lauree non sono equivalenti. In teoria, un dottore in Scienze politiche può occupare molti ruoli, ma praticamente la domanda per un tale tipo di laureato (cercasi neolaureato in Scienze Politiche) è molto debole, preferendosi di solito chiedere qualcosa di molto più specifico di una tale laurea. Diverso è il caso di un laureato in Chimica, caso per il quale la laurea risponde già alle esigenze di molte domande.

In sintesi, più la domanda è forte e più il nostro lavoro diventa stabile.

Guida al lavoro – La staticità

In campo lavorativo, la staticità può dipendere da una personalità statica o da una mancanza di coraggio.

Aggiornamento – Lo statico è colui che ritiene poco importante o inutile l’aggiornamento. Ovviamente, l’handicap della staticità è tanto maggiore quanto più il campo d’azione muta velocemente; è proprio l’errata percezione del mutamento che rende un soggetto statico.

In genere, tutti sono d’accordo sul fatto che, se non ci si aggiorna, più passa il tempo, più diventa difficile essere competitivi nel proprio lavoro, ma molte persone “non vedono” la loro obsolescenza e continuano a pensare che il loro lavoro sia vincente. Può essere per pigrizia (studiare e aggiornarsi costa fatica) o per vecchiaia (“ai miei tempi le cose andavano meglio e quindi perché cambiare anche nel lavoro?”), ma si crede fermamente che “cambiare non serva a molto”.

Chi non percepisce i cambiamenti che ci sono nella propria attività lavorativa può incorrere in uno dei seguenti errori:

  • continuare nel proprio lavoro anche quando il settore sta contraendosi sempre di più. Soluzione: cambiare lavoro in tempo!
  • usare mezzi ormai superati. Soluzione: aggiornarsi!

Se il secondo punto è ovvio, ma legato al lavoro specifico, il primo è molto più generale e attuale. Con la globalizzazione e i progressi tecnologici è spesso impensabile di poter fare lo stesso lavoro per tutta la vita. Si pensi al mondo dell’editoria: enciclopedie e mappe stradali sono ormai state sostituite da nuovi strumenti che di cartaceo hanno ben poco; gli stessi libri cartacei incominciano a subire qualche colpo dagli e-book, anche se nel nostro Paese il sorpasso sembra ancora lontano.

Chi non è abbastanza flessibile e non salta giù dalla nave che affonda, in tempo per prenderne una più sicura, è probabilmente destinato a soffrire la propria situazione lavorativa. Lo stesso discorso vale anche per chi entra nel mondo del lavoro: a prescindere dagli studi fatti o dalle competenze acquisite, è importante chiedersi se non si è superati dal tempo. Se sì, non c’è che un modo di sopravvivere (prima di tornare a vivere alla grande): ricominciare da un altro punto di vista.

Coraggio – Il lavoro è strettamente collegato alla qualità della vita; purtroppo molte persone mancano del coraggio necessario a migliorare il proprio lavoro e, di conseguenza, la propria qualità della vita. Se vogliamo, la mancanza di coraggio è il difetto opposto all’investimento avventato. Come riconoscere un atteggiamento troppo rinunciatario ai miglioramenti lavorativi?

In genere, il lavoratore si “accontenta” del posto che ha, ne vede i difetti, ma li minimizza, “tanto ci è abituato”. Così il pendolare fa il pendolare tutta la vita e il Fantozzi di turno muore alla sua scrivania, anche se per decenni si è lamentato dell’ambiente di lavoro, dei colleghi ecc.

Chiedersi “cosa mi piacerebbe cambiare nel mio lavoro?” è il primo passo di una strategia coraggiosa; il secondo è spulciare l’elenco e, senza condizionamenti o pregiudizi, rimuovere ciò che è concretamente rimovibile.

Se si scopre che si passano troppe ore in auto, forse è il caso di rivedere la geografia del proprio lavoro. Se un ramo della nostra attività ci procura troppi problemi, forse è il caso di tagliarlo, potenziandone altri. Se si perde tempo in troppi inutili appuntamenti, forse è il caso di pensare a un filtro sugli stessi. Ecc.

Guida al lavoro – Lo stato psico-fisico

Vivere di sogni porta spesso al disastro (spero conosciate la differenza fra sogni e obiettivi); così molte persone pensano di essere adatte a un lavoro senza considerare che tale lavoro richiede comunque un fisico adeguato, cioè uno stato psico-fisico ottimo.

Chi non sa reggere lo stress non è adatto a fare l’uomo d’affari, come chi ha una salute cagionevole è meglio non apra un’attività in proprio da solo, senza qualcuno che lo sostituisca quando la salute vacilla.

Sono esempi ovvi: nessuno si candiderebbe a fare il traslocatore se non sa sollevare una sedia! Purtroppo, però spesso accade, soprattutto a chi cerca un’occupazione, di sopravvalutarsi non considerando che ogni lavoro ha una soglia minima di stress psico-fisico e che, se non si arriva alla soglia, si otterranno ben scarsi risultati. Se vi pesa dannatamente alzarvi al mattino, se ogni mezz’ora avete bisogno di una pausa caffè (o peggio, di una sigaretta), se troppe telefonate vi mandano KO, difficilmente riuscirete a essere brillanti sul lavoro.

Se cercate lavoro, fate dunque capire che per voi non è un problema reggerlo; se volete avviare un’attività, verificate di saperla reggere!

Guida al lavoro

Appena prima dello scoppio della pandemia (fine 2019) in Italia c’erano 5 milioni di lavoratori indipendenti, ma uno su tre sognava ancora il posto fisso

Guida al lavoro – La flessibilità

Riferiamoci a un articolo teorico per capire questi tre concetti: efficacia, efficienza, concretezza. Riportiamo comunque le definizioni:

  • efficacia: capacità di svolgere un lavoro
  • efficienza: capacità di svolgere un lavoro con un’allocazione minima di risorse (di solito tempo e/o denaro)
  • flessibilità: capacità di essere efficienti quali che siano gli obiettivi proposti.

Vediamo un esempio scolastico.

Efficace, ma non efficiente, è uno studente che si laurea studiando 10 ore al giorno. Efficiente quello che si laurea studiando 4 ore al giorno. Efficiente, ma non flessibile quello che si laurea velocemente, ma solo in determinate facoltà. Flessibile quello che si laurea studiando 4 ore al giorno in qualunque materia, a prescindere dal fatto che la materia gli piaccia o no.

Quello che ognuno dovrebbe fare è valutare il proprio grado di efficacia e di efficienza. In molti lavori occorre però essere anche flessibili. Infatti, quando si parla di efficienza si dà per scontato che l’obiettivo sia chiaro, ci piaccia, si sia motivati a perseguirlo ecc. e che la persona si focalizzi su di esso: se è efficiente con una piccola allocazione di risorse sa raggiungerlo.

Purtroppo nel mondo del lavoro non sempre l’obiettivo è definito o è quello verso cui vorremmo orientarci, anzi, a volte è proprio la scelta degli obiettivi corretti che porta a essere vincenti.

In altri termini:

  • una persona efficace, ma non efficiente, dovrebbe svolgere solo mansioni subordinate, dove il tempo non è un parametro fondamentale;
  • una persona efficiente, ma non concreta, dovrebbe svolgere solo mansioni che rientrano nell’ambito della sua efficienza, poco variabili;
  • una persona flessibile può svolgere mansioni diversificate.

Quando a un colloquio l’aspirante lavoratore si dice disposto a fare “qualunque lavoro” mostra una certa immaturità se non aggiunge la frase “io so essere una persona flessibile e mi adatto a ogni circostanza con la massima efficienza”.

Dovrebbe essere ormai chiaro che la flessibilità è un parametro fondamentale per reggere in tutti quei contesti dove i parametri del lavoro sono variabili; ciò spiega perché persone molto efficienti cadano in crisi al mutare degli scenari: non sono persone flessibili (o per lo meno hanno tempi troppo lunghi per tornare a essere efficienti nel nuovo scenario).

In particolare, in quei lavori dove l’autonomia è fondamentale, si devono prendere decisioni su problemi e scenari mutevoli, è necessario che il lavoratore sia flessibile.

Guida al lavoro – Il posto fisso

La propensione ad avere un posto fisso è alla base della strategia dello statale, ma è opportuno rilevare che molte persone vedono nella stabilità del lavoro il parametro più importante.

Oggi ciò è attualmente molto limitante. Innanzitutto perché, di fatto, sminuisce il lavoratore nelle sue ambizioni: chi è cosciente delle sue capacità sa benissimo che, se perde un lavoro, non avrà difficoltà a trovarne un altro! Anche ammessa una disoccupazione del 50%, vedendo il bicchiere mezzo pieno, se sono bravo, sarò nel 50% di chi un lavoro lo troverà.

In secondo luogo, non esistono veramente che pochissimi lavori che non siano a rischio: le grandi aziende chiudono o si delocalizzano, molti lavori diventano obsoleti nel giro di pochi anni, cambiano le esigenze della società ecc.

Focalizzarsi nella ricerca del posto fisso, rivela quindi una certa miopia dell’attuale mercato del lavoro oltre che una scarsa fiducia nei propri mezzi.

Imparate a scegliere il lavoro in base anche ad altri parametri (retribuzione, tempo libero, mansioni ecc.), senza mettere in prima posizione la stabilità.

Guida al lavoro – Gli investimenti

Chi decide di iniziare un’attività deve fare un investimento iniziale. In questa sede è abbastanza poco importante che il capitale sia proprio o finanziato da altri: quello che conta è che l’investimento non sia fallimentare, cioè che il ritorno sia in tempi tali da non metterci in crisi.

Fondamentale è quindi sapersi rispondere alla domanda: “in quanto recupererò i soldi investiti? Lavorerò per me o per la banca che mi ha concesso il prestito?”.

Se il capitale è prestato da una banca, basta sottrarre agli utili lordi il costo del prestito per trovare l’utile netto dell’esercizio. Se da un lato, tale pratica è corretta, spesso si dimentica il grado di schiavitù: se guadagno 50.000 euro lordi, ma ne devo 30.000 alla banca, il mio grado di schiavitù è del 60%! Spesso si scopre che avrei molto più interesse a fare il lavoratore dipendente; anche se a fine prestito mi resta un capitale immobile (per esempio il prestito è servito per la costruzione di un residence), devo sempre valutare se ne è valsa la pena (cioè se dirottando i miei sforzi in altri campi non avrei guadagnato di più).

È anche importantissimo valutare se il mercato reggerà il tempo necessario perché possa rientrare dai miei investimenti: se investo in un’attività che promette bene, ma ha anche il rischio di diventare velocemente obsoleta, non posso scegliere piani d’azione che prevedano il recupero dei soldi investiti in tempi lunghi.

L’errore più comune che si commette a proposito di investimenti è di ragionare ottimisticamente: una posizione realistica e un rientro a breve-medio termine fanno sicuramente parte della miglior strategia.

 

Indice materie – Economia

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