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Finanza comportamentale

La finanza comportamentale applica la psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche e studia i loro riflessi sui prezzi di mercato e sull’allocazione delle risorse.

L’economia tradizionale ha sempre visto l’investitore come un essere razionale avente l’unico fine di massimizzare i propri utili. Questa visione è molto ottimistica e ha prodotto descrizioni di scenari puramente teorici.

Nella realtà l’investitore è un soggetto emotivamente coinvolto nelle decisioni che prende, spesso irrazionale e comunque orientato solo in teoria alla massimizzazione del profitto. In pratica, alle scelte di carattere economico si affiancano spesso scelte esistenziali che hanno la priorità, di fatto negando ogni logica economica: “devo comprarmi quella macchina; disinvesto tutto e la compro!”.

Molte volte, più che un essere razionale, l’investitore somiglia a un essere totalmente stupido che agisce in balia di forze solo minimamente razionali.

Negli ultimi anni, la finanza comportamentale ha acquisito sempre più importanza perché è apparso chiaro che non si poteva prescindere dallo studio delle dinamiche emotive che sono alla base delle scelte dell’investitore.

In questo articolo vedremo alcuni capisaldi della finanza comportamentale, lasciando ad altra sede le critiche a una disciplina che, di fatto, non ha ancora saputo fare l’ultimo passo perché ancora tradizionalmente legata a una visione troppo classica del concetto di investimento.

Esamineremo alcuni concetti classici di finanza comportamentale, ricordando che spesso non sono che distorsioni della sfera emozionale o della sfera razionale dell’individuo; distorsioni che gli economisti comportamentisti hanno evidenziato interessare una larga parte della popolazione.

I concetti più importanti della finanza comportamentale

Poiché la finanza comportamentale studia la mancanza di razionalità da parte degli agenti economici, alcuni bias cognitivi (quelli nell’elenco che segue) sono più generali, non solo economici. Per questo vengono trattati in articoli separati, con la parte che riguarda la finanza in un sottocapitolo dedicato. Ancoraggio, Eccesso di ottimismo, Bias della disponibilità sono trattati nell’articolo sui bias cognitivi (sottocapitolo Bias congnitivi nella finanza)

  • Aspettativa
  • Comportamento del gregge (conformismo)
  • Falsa cultura (apprendimento approssimativo)
  • Percezione selettiva
  • Rifiuto dell’incertezza
  • Sicumera
  • Timore reverenziale
  • Utilità attesa

Di seguito descriviamo alcuni bias cognitivi che sono tipici della finanza.

Avversione agli estremi

L’avversione agli estremi è un bias cognitivo che ha un substrato psicologico, essendo più comune in quelle persone che hanno la tendenza a stare al centro delle situazioni perché ritenute più sicure. Quante volte ci è capitato di applicare senza una ragione evidente il principio “in medio stat virtus“? Per esempio scegliendo il modello centrale di tre che ci sono stati offerti dal venditore (che conoscendo il meccanismo di avversione agli estremi aveva scontato di meno il modello centrale!).

L’avversione agli estremi è tipica anche dei voti scolastici di una classe. Quanto più il professore è sensibile all’avversione agli estremi, sceglierà di distribuire i voti attorno al valore medio e si asterrà dal dare voti molto bassi o molto alti.

In presenza di dati raccolti, chi è sensibile all’avversione agli estremi riterrà ininfluenti i dati che più si scostano dai valori medi, portato a credere che si tratti di “disturbi”.

Avversione alle perdite

L’avversione alle perdite si basa sul fatto che gli investitori hanno più paura di perdere che piacere nel guadagnare. Consideriamo l’esperimento classico di scelta, a seguito dell’investimento di 1.000 euro:

  1. Ho una probabilità del 50% di guadagnare 200 euro e una probabilità del 50% di perdere 100 euro.
  2. Ho una probabilità del 100% di guadagnare 50 euro.

In entrambi i casi il rendimento atteso è di 50 euro, ma la maggior parte delle persone si orienterà verso B. Si noti che anche diminuendo la somma di guadagno del caso B, molti continueranno a preferirlo ad A, a prescindere dal fatto che il rendimento atteso sia inferiore!

Se combiniamo gli effetti della percezione selettiva e dell’avversione alle perdite, la finanza comportamentale spiega facilmente perché molti investimenti vengono mantenuti troppo a lungo mentre quelli in attivo vengo dismessi troppo prematuramente.

Paradossalmente, di fronte a una perdita, l’avversione è così forte che l’investitore tende ad assumere un rischio maggiore pur di compensarla. Tale comportamento è molto simile a chi nel gioco d’azzardo perde somme ingenti perché “non sa smettere in perdita e vuole rifarsi”.

La sindrome del giocatore d’azzardo può essere evitata con due mosse: si decide quanto si vuole dedicare agli investimenti più rischiosi e lo si comunica a un controllore esterno (coniuge, consulente finanziario, amico) che abbia l’autorità morale di imporre la disciplina e il rispetto del piano. Per quanto riguarda il ridimensionamento della propensione al rischio dopo episodi sfortunati è necessario ricordare che, contrariamente a quanto la nostra natura ci suggerisce, i mercati sono tanto meno rischiosi quanto peggiore è stato il loro rendimento recente e che non ha senso comprare una copertura assicurativa (leggi prodotti finanziari a capitale protetto e garantito) dopo che il danno è avvenuto.

Protezione dell’autostima

Ognuno di noi tende a evitare situazioni in cui la propria autostima decade. La percezione selettiva può essere vista come uno di quegli strumenti con cui manteniamo il livello della nostra autostima. La usiamo per avere una memoria selettiva: ricordiamo i successi e dimentichiamo i fallimenti, proprio come “vogliamo vedere ciò che desideriamo”.

Un’altra arma per conservare l’autostima è il senno di poi. Non a caso

gli analisti sono bravissimi a spiegare cosa è successo, salvo poi… non azzeccare mai cosa accadrà.

Il senno di poi è cioè la versione peggiore dell’esperienza, quella che non solo non aiuta, ma distorce il passato impedendoci di comprendere il futuro. Un esempio di questo rischio è evidenziato dal noto studio del Cleveland Metropolitan General Hospital condotto su 160 soggetti. Il primo gruppo doveva individuare le probabilità delle diagnosi associate a un quadro clinico. Un secondo gruppo aveva lo stesso compito, ma lo svolgeva conoscendo la diagnosi corretta. Nel primo caso la diagnosi esatta era stata ritenuta la più probabile in relazione al quadro clinico dal 30% dei soggetti mentre nel secondo dal 50%. Questa situazione spiega perché persone che di fatto possono utilizzare informazioni di colleghi più bravi di loro tendono a sopravvalutarsi.

Il terzo strumento per conservare la propria autostima è la risposta sbagliata alla dissonanza cognitiva. Secondo lo psicologo statunitense Festinger un soggetto che vive due idee o comportamenti coerenti si trova in una situazione emotiva soddisfacente (consonanza), mentre se essi sono in conflitto (incoerenza) si troverà a disagio (dissonanza). In teoria, la dissonanza potrebbe essere risolta modificando l’ambiente o modificando sé stessi, sia a livello di comportamento sia a livello di valutazione cognitiva.

In realtà, spesso la dissonanza viene:

  • ignorata
  • minimizzata
  • risolta parzialmente.

In campo finanziario la dissonanza cognitiva ci porta a inventare modelli interpretativi fantasiosi e illogici pur di giustificare investimenti dettati dall’avidità, dall’ignoranza o da altri fattori negativi.

Limiti della finanza comportamentale

La finanza comportamentale può dare la sensazione che, applicando una visione più psicologica dell’economia e del singolo investitore, sia possibile superare i limiti della visione classica, pervenendo a nuove positive strategie d’investimento.

In realtà, ci sono due difficoltà che ancora non sono state superate: l’interpretazione univoca degli esperimenti e la parzialità della disciplina.

Il primo punto riguarda il fatto che ogni esperimento può essere letto in modo molto diverso perché di fatto si tratta di motivare un certo comportamento su base psicologica: basta avere come riferimento una personalità differente e cambia l’interpretazione. Gli psicologi fanno riferimento a personalità “medie” con il risultato che spesso ragionano per senso comune piuttosto che per buon senso.

Il secondo punto deriva direttamente dal fatto che la finanza comportamentale è nata comunque in ambienti che volevano spingere l’investitore verso il mercato, a prescindere dalle situazioni in cui ciò non è affatto conveniente semplicemente perché ogni previsione è molto azzardata.

Un’altra critica (per esempio sostenuta da Eugene Fama) è che la finanza comportamentale è più un insieme di anomalie che una vera branca della finanza. Se questo può essere vero per il professionista, è pur vero che sempre più persone utilizzano strumenti finanziari per la gestione del proprio risparmio e la finanza comportamentale diventa preziosissima per evidenziare i loro errori.

Un euro non è un euro?

Il primo punto possiamo ritrovarlo nel clamore eccessivo suscitato dagli esperimenti di Richard Thaler e dalla loro più usuale interpretazione. Secondo la teoria classica, 100 euro sono sempre tali, a prescindere dal fatto che li si riceva come stipendio, che li si spenda per un paio di scarpe oppure che li si vinca a poker. Secondo Thaler non è così.

Supponiamo che debba comprare un modello di scarpe da running. Sono davanti alla vetrina del negozio X e le vedo esposte a 100 euro; sfoglio una rivista che avevo portato con me e scopro che in un negozio Y vengono vendute a 90 euro. Poiché Y è a un quarto d’ora di strada che faccio? Vado da Y e risparmio 10 euro?

Ora invece sono in compagnia di un amico davanti a un negozio X dove in vetrina c’è il televisore dei miei sogni a 1.099 euro. L’amico mi informa che presso il negozio Y lo stesso televisore è venduto a 1.089 euro. Poiché Y è a un quarto d’ora di strada che faccio? Vado da Y e risparmio 10 euro?

La maggior parte delle persone (ma non tutte!) sottoposte all’esperimento andrebbe nel negozio Y nel primo caso, ma non nel secondo.

Alcuni autori (Motterlini) sostengono che saremmo caduti in una trappola mentale che provoca un’incoerenza nel nostro comportamento. In realtà non c’è nessuna trappola mentale e non è affatto vero che gli esperimenti di Thaler dimostrano che consideriamo gli euro in maniera differente. È invece vero che, pur considerando gli euro dello stesso valore, altri fattori ci fanno decidere in modo diverso. È banale osservare che non sono solo i 10 euro che ci fanno decidere (quindi capire se valga la pena di spendere 15′ del proprio tempo per risparmiarli), ma anche e soprattutto il fatto che possono evidenziare una differenza nei negozi.

Nel primo caso 10 euro su 100 (10%) possono significare che Y è un negozio molto più a buon mercato, dove posso fare buoni affari e che quindi vale la pena conoscere. Nel secondo caso, percentualmente parlando, la differenza è talmente minima che non ritengo differenti i due negozi e quindi scatta la domanda se convenga o meno dare 15′ del mio tempo per 10 euro. Dopo queste premesse, è ovvio che nel secondo caso la percentuale di coloro che vanno in Y sia minore.

Vediamo un altro esperimento citato da Motterlini.

Siamo davanti allo stadio e ci accorgiamo di aver perso il biglietto della tribuna che ci era costato 100 euro. Che facciamo? Lo ricompriamo?

Secondo scenario. Siamo davanti allo stadio, non abbiamo ancora acquistato il biglietto, ci accorgiamo di aver perso una banconota da 100 euro che tenevamo in tasca pronti all’acquisto. Che facciamo? Compriamo lo stesso il biglietto?

La maggior parte delle persone (ma non tutte!) sottoposte all’esperimento non ricomprerebbe il biglietto nel primo caso, ma lo acquisterebbe nel secondo.

Questo esempio sembra più convincente, ma in realtà non tiene conto del fatto che l’acquisto viene fatto in due momenti diversi. Si sa che una certa percentuale di decisioni di acquisto verrebbe modificata nel tempo (sono gli acquisti fatti per impulso): nel primo caso dello scenario, è ovvio che gli impulsivi non confermerebbero la loro decisione.

Questi esperimenti dimostrano che una valutazione psicologica degli esperimenti della finanza comportamentale non è affatto univoca e che, entro certi limiti, si possano forzare le conclusioni.

 

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