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Debito pubblico

Il debito pubblico è il debito che lo Stato contrae nei confronti di attori a esso esterni. Il debito pubblico non include forme di debiti come quelli verso i fornitori, ma i titoli a breve, medio e lungo termine.

Lo scopo dell’emissione di titoli serve a finanziare il deficit pubblico, cioè il divario fra spesa pubblica ed entrate.

Le teorie economiche

Quando si parla di politica o di economia è utile usare la strategia dell’understatement (cioè ci si finge ignoranti) per capire quanto l’altro sia convinto della propria idea. In genere, a meno che non si tratti di un vero esperto e/o di un addetto ai lavori, chi si mostra iperconvinto è solo qualcuno che vende idee altrui, idee che per la loro verosimiglianza l’hanno affascinato. In realtà, in politica e in economia non esistono “certezze” e la realtà è come un’anguilla che, se si afferra da una parte, sfugge dall’altra. Non a caso si parla di teorie economiche (si noti il plurale) che spiegano il funzionamento dell’economia. Questa teorie hanno sempre visto gli attori dell’economia come marionette mosse da fili (lavoro, risorse ecc.) interni all’economia stessa. Attualmente ciò non è più vero, poiché molti fili provengono da considerazioni sociologiche riguardanti la qualità della vita (“ma mi conviene proprio diventare così ricco?”, “ma mi conviene proprio lavorare così tanto?” fino al margine sociale di chi si chiede “ma mi conviene proprio un lavoro sottopagato?”). In sostanza, gli attori si sono in parte ribellati alle “leggi” economiche rendendo molte teorie pure astrazioni incapaci di prevedere (se non con il senno del poi) quello che accade. Si veda per esempio il concetto di PIL per descrivere il benessere di una nazione.

Il concetto di debito pubblico può essere utile per spiegare questa “relatività” dell’economia, relatività che può essere negata solo con modelli astratti che non tengano conto di altre dimensioni come quella politica, sociologica e, infine, etica.

Il debito pubblico: lo stato di sofferenza di una nazione

Se dividiamo il debito pubblico dello Stato per il numero dei suoi cittadini otteniamo il debito procapite; per esempio per gli USA è di circa 50.000 euro, mentre per l’Italia è di circa 45.000 euro. Se consideriamo che la ricchezza media del cittadino statunitense è decisamente superiore a quella del cittadino italiano, possiamo dire che gli americani stanno decisamente meglio degli italiani, anche se il debito complessivo degli USA è un numero che fa paura (18 trilioni di dollari).

In sostanza non è il debito pubblico procapite in sé che dà la sofferenza di una nazione, ma la percentuale che esso rappresenta rispetto alla ricchezza media dei suoi cittadini.

Secondo molti economisti questo approccio è sbagliato perché il debito pubblico non rifletterebbe uno stato di sofferenza della nazione in quanto l’emissione di titoli non aumenta l’indebitamento della nazione perché tali titoli sono acquistati dai suoi stessi cittadini.

Debito pubblico

A inizio 2022 il debito pubblico italiano era attorno ai 2.700 miliardi

Lasciando perdere la teoria, vediamo cosa accade nella pratica, quando lo Stato decide di emettere titoli per autofinanziarsi. Per semplicità consideriamo attori che usino la stessa valuta (l’euro) e che l’inflazione sia nulla (o che comunque l’interesse sia scorporato dell’inflazione):

  • lo Stato emette titoli per 100 con un interesse dell’x%.
  • tali titoli vengono acquistati in parte (y%) da attori interni e in parte (z%) da attori esteri.

Il punto spesso sottovalutato da chi ritiene che il debito pubblico non sia un problema è rappresentato dall’interesse x. Occorre considerare che pochi sono coloro che acquistano titoli di Stato per scopo patriottico, l’acquisto, infatti, viene sempre visto come opportunità; in altri termini, se i titoli non sono convenienti (per diversi aspetti) non vengono acquistati. Un modo per farli diventare appetibili è proprio il tasso d’interesse x. Non a caso, i “titoli spazzatura” hanno interessi molto alti perché questo è l’unico modo di attrarre investitori che rischiano sfidando la scarsa affidabilità dell’emittente. Se non ci fossero interessi, la tesi di coloro che ritengono che il debito pubblico non sia un problema sarebbe esatta, ma la realtà ben diversa e un incremento del debito pubblico genera due problemi non da poco all’economia di una nazione.

Primo scenario – I titoli sono acquistati da attori interni. Se fossero tutti acquistati da attori interni, si potrebbe dire che il debito pubblico è un debito di una parte della collettività verso la restante parte (quella che ha acquistato i titoli); nell’analogia della famiglia, suonerebbe come il debito di un componente della famiglia verso un altro componente. Per esempio, nel caso del Giappone il 90% del debito è finanziato da giapponesi, per cui il Giappone può permettersi un debito enorme senza che si possa parlare di “famiglia indebitata”. I problemi sono altri e non da poco.

Il primo è la contrazione dei consumi. Semplificando, per il settore privato i titoli del debito pubblico da esso posseduti formano parte della sua ricchezza. La ricchezza può essere vista come capitale reale (beni immobili e mobili come attrezzature produttive, azioni ecc.) + titoli del debito pubblico + liquidità.

Quando il debito sale oltre misura, sale la percentuale di ricchezza individuale media attribuibile a esso. Ciò ovviamente va a scapito delle altre due variabili, il capitale reale e la liquidità. Premesso che non sarebbe opportuno investire in titoli di Stato a scapito della propria attività produttiva, se i cittadini fossero così virtuosi da investire tutta la loro liquidità in titoli di Stato ecco che la liquidità si ridurrebbe con evidente contrazione dei consumi. In sostanza lo Stato invitando i cittadini a investire in titoli (con interessi decenti, altrimenti i cittadini non lo fanno), pone un freno ai consumi e quindi a meccanismi di ripresa economica.

Il secondo problema è rappresentato dall’aumento delle disparità sociali. Appare evidente che chi investe in titoli lo fa a fronte di un interesse x che verrà pagato da tutti (cioè dallo Stato) alla scadenza del titolo. Ciò configura l’investimento in titoli di Stato come un arricchimento di un componente della famiglia a scapito degli altri: lui ha prestato soldi e li riceve a scadenza con tanto di interessi; non si capisce perché le banche che concedono mutui guadagnandoci sopra vengano definite “usuraie” mentre non lo sono i cittadini che succhiano interessi (attraverso i titoli di Stato) ad altri cittadini. Ovviamente gli interessi dei titoli di Stato non sono da usura, ma il fenomeno esiste. Non a caso, Paesi fortemente indebitati sono quelli a maggiore disuguaglianza sociale con indici di Gini superiori a 0,30.

Secondo scenario – Non tutti i Paesi sono come il Giappone; per molti gli attori esteri la fanno da padrone arrivando a detenere quote di titoli pubblici oltre il 50% del totale. Anche in questo caso, se non ci fossero interessi, non ci sarebbero problemi perché entrerebbe nel Paese una quantità di valuta paragonabile ai titoli emessi, ma per gli attori esteri è ancor più vero il concetto di appetibilità: se un attore interno può acquistare titoli pubblici per patriottismo (in fondo, “si resta in famiglia”) o per sicurezza circolare (“se fallisce l’Italia, andiamo a tutti a carte quarantotto, inutile considerare questo scenario apocalittico”), l’attore estero acquista titoli solo se sono convenienti. Se uno Stato emette titoli per 100 a un interesse del 5%, quando saranno a scadenza dovrà rendere 105 e quei 5 punti saranno tolti dalla ricchezza interna e usciranno all’estero. In questo senso appare irrealistico parlare di debito pubblico ininfluente sulla ricchezza del Paese.

Negli anni il Paese si depaupererà mentre altri si arricchiranno, di fatto aumentando la forbice fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Quello che sta succedendo (ovviamente anche per altri motivi) all’Italia attuale.

 

Indice materie – Economia Debito pubblico

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