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Cattolicesimo ed economia

Che relazione esiste fra cattolicesimo ed economia? Il cattolicesimo migliora mediamente la qualità della vita degli individui oppure no?

Ovvio che per un credente la risposta sia scontata; analogamente, lo è (ma in senso opposto) per un ateo o un agnostico. Nel mio caso potrei anche spiegarvi il perché il cattolicesimo sia un peso per una società moderna (vedi l’articolo La coscienza morale), ma chiunque potrebbe obiettare che non ci sono prove e che si tratta solo di una mia opinione.

Restringiamo il campo e le prove le troviamo. Possiamo enunciare il teorema di Albanesi sul rapporto fra cattolicesimo ed economia:

nei Paesi cristiani, quanto maggiore è la percentuale di cattolici (e ortodossi) quanto più l’economia è penalizzata.

Faccio presente che non si parla di religione, ma di cattolicesimo. Se si considerano i Paesi protestanti il teorema non è applicabile: chi ha buoni occhi per vedere la realtà non faticherà a capire che “chi protesta è più avanzato”. Il motivo dovrebbe essere ovvio: se si aderisce a una religione protestante si ha (mediamente) un maggior spirito critico verso la realtà (se si usa con la religione, figuriamoci con le cose terrene) e questo maggior spirito critico si traduce quotidianamente in una maggiore apertura mentale.

Inoltre la Chiesa cattolica è sicuramente un apparato politicamente fortissimo che ha sempre avuto interesse a frenare ogni deriva; nel mondo islamico, per esempio, esistono forti poteri religiosi locali, ma non a livello mondiale.

Per “provare” il teorema, veniamo ora ai numeri. Di seguito il PIL pro capite (fonte Fondo Monetario Internazionale, aprile 2016, in dollari) e la percentuale dei cattolici nel Paese (quando non è indicata è inferiore al 5%). Vengono indicati i Paesi con almeno un milione di aventi la cittadinanza; sono per esempio esclusi San Marino, Malta, il Qatar (ha una popolazione di 1,8 milioni di persone, ma soltanto 280.000 hanno la cittadinanza; gli altri sono lavoratori emigrati che non beneficiano della ricchezza del Paese ma, al contrario, vengono sfruttati come sottoclasse lavoratrice), il Lussemburgo (507.000 abitanti, la cui economia si basa esclusivamente sul settore bancario), il Brunei (412.000 abitanti che godono della completa esenzione fiscale, visti i ricchissimi giacimenti di petrolio che rendono il sultano uno degli uomini più ricchi del mondo); è stato escluso il territorio di Hong Kong perché, di fatto, ormai cinese. Togliendo questi quattro Stati l’Italia è 26-esima nella classifica (anziché 30-esima).

PaesePIL%
Singapore85.25318
Kuwait70.166
Norvegia68.430
Emirati Arabi Uniti67.617
Svizzera58.55139
Stati Uniti55.80524
Irlanda55.53387
Arabia Saudita53.624
Bahrain50.09516
Paesi Bassi49.16628
Svezia47.922
Australia47.38925
Austria47.25064
Germania26.28330
Taiwan46.783
Islanda46.097
Danimarca45.70943
Canada45.55343
Oman44.628
Belgio43.58560
Francia41.18142
Regno Unito41.1599
Finlandia41.120
Giappone38.054
Corea del Sud36.51111
Nuova Zelanda36.17211
Italia35.70888

Cosa si nota? Nei primi 26 Paesi esistono solo 4 Paesi a maggioranza cattolica (per esempio non figura nessun Paese della cattolicissima America Latina):

  • Irlanda (sesta) – L’unico reale dato in controtendenza, anche se si deve rilevare che comunque gran parte della sua ricchezza economica non è produttiva, ma finanziaria.
  • Austria (dodicesima) – Nonostante il cattolicesimo sia molto presente (64% di cattolici), il crollo è notevole, visto che nel 1980 era l’86%.
  • Belgio (diciannovesimo) Stessa situazione dell’Austria, nel 1980 il 72% della popolazione era cattolico.
  • Italia (ventiseiesima) – Beh, per un Paese che vuole essere nel G8 è un po’ pochino.

Singolare la posizione della Francia.

Mentre nel 1965 l’81% dei francesi si dichiarava cattolico, nel 2009 questa percentuale era scesa al 64%. Inoltre, mentre il 27% dei francesi nel 1952 si recava alle funzioni religiose almeno una volta alla settimana, questo dato era solo del 5% nel 2006. Secondo un sondaggio del gennaio 2007, solo il 10% di chi si è dichiarato cattolico frequenta regolarmente le funzioni religiose. Il sondaggio ha mostrato anche che il 51% degli intervistati si identificava come cattolico, il 31% come agnostico o ateo (un altro sondaggio stima la percentuale di atei pari al 27%), il 10% appartenente ad altre religioni o senza opinione, il 4% come musulmano, il 3% come protestante, l’1% buddista e l’1% come ebreo. Un altro sondaggio del dicembre 2006 afferma che solo il 27% dei francesi crede nell’esistenza di un qualche dio, contro un 32% di agnostici e un altro 32% di atei. Nel frattempo, una stima indipendente dal politologo Pierre Bréchon del 2009 ha concluso che la percentuale dei cattolici era scesa al 42%, mentre il numero di atei e agnostici era salito al 50%. (Wikipedia).

Questa la spiegazione di un cattolico al teorema di Albanesi (perché i Paesi cattolici sono penalizzati economicamente?):

Perché in questi Paesi c’è un’altissima percentuale d’ignoranza, per esempio nella mia parrocchia ho fatto un sondaggio e su 100 persone prese a caso dopo la messa, solo 20 persone sapevano spiegarmi perché Gesù Cristo è più importante di San Pio da Pietrelcina; ti rendi conto? Ben l’80% di persone che vanno a messa senza capire praticamente niente.

Appunto: se non si capisce niente della religione che si segue (e che, se si fosse del tutto razionali, non si seguirebbe), come si può pretendere che la relazione fra cattolicesimo ed economia sia positiva?

Cattolicesimo ed economia

Cattolicesimo ed economia: neila classifica del PIL nei primi 26 Paesi esistono solo 4 Paesi a maggioranza cattolica

 

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