Un’assicurazione sulla vita (o polizza vita) è un contratto stipulato fra un soggetto privato (il contraente) e una compagnia assicurativa; attraverso tale contratto, dopo il versamento di un premio (che può essere rateizzato) la compagnia assicurativa garantisce, nel caso si verifichino determinati eventi relativi alla vita del contraente, il versamento di una determinata cifra o di una rendita comprensiva degli interessi maturati a partire dalla data della stipula fino al momento in cui detti eventi si sono verificati.
Le figure coinvolte nella stipula di un contratto di assicurazione sulla vita sono quattro: il contraente (colui che stipula la polizza e che generalmente è la persona che versa il premio), la compagna assicurativa, l’assicurato (la persona a cui l’evento è riguardante) e il beneficiario (il soggetto che ritirerà la cifra o incasserà la rendita dopo la morte del contraente). Se il premio viene versato tramite un solo versamento si parla di premio unico; se il pagamento avviene a rate si parla di premio ricorrente, mentre se il versamento di una quota fissa viene effettuato in date prestabilite (per esempio una volta all’anno) si parla di premio unico ricorrente.
Sostanzialmente esistono tre tipologie di assicurazione sulla vita: polizza caso vita, polizza caso morte, polizza vita mista.
In caso di polizza caso vita, la compagnia assicurativa si impegna a pagare un determinato capitale oppure una rendita vitalizia nel caso in cui, alla scadenza, il contraente sia ancora in vita. Questo tipo di assicurazione sulla vita può avere rendita immediata (la compagnia versa la rendita a partire dalla data in cui il contratto è stato stipulato) oppure differita (il pagamento della rendita ha decorrenza a partire da una data successiva (in genere si parla di diversi anni) a quella della data di stipula dell’assicurazione.
In caso di polizza caso morte, la compagnia pagherà un certo capitale al beneficiario che sarà stato preventivamente indicato nella polizza assicurativa. La polizza caso morte può essere temporanea o a vita intera; nel primo caso il pagamento sarà effettuato qualora il decesso del contraente avvenga nel periodo di durata del contratto; nel secondo caso, invece, il pagamento verrà effettuato alla morte del contraente senza tener conto del momento in cui la morte è avvenuta.
La polizza vita mista prevede il pagamento di un capitale (o di una rendita vitalizia) nel caso in cui il contraente sia ancora in vita al momento della scadenza del contratto oppure il pagamento di un’indennità nel caso in cui il decesso del contraente avvenga nel periodo di validità della polizza.
Scopo primario di un’assicurazione sulla vita è quello di tutelare i beneficiari dalle problematiche economiche che potrebbero verificarsi qualora il contraente vada incontro a morte prematura.
Le polizze vita non rientrano nell’asse ereditario*, ragion per cui il beneficiario può essere liberamente scelto dal contraente. Il beneficiario (o i beneficiari) possono essere scelti al momento della stipula del contratto oppure successivamente tramite richiesta scritta alla compagnia assicurativa; i beneficiari possono essere scelti anche tramite volontà testamentaria.
Il contraente ha la facoltà di variare a suo piacimento il beneficiario, ma la richiesta alla compagnia assicuratrice dovrà essere fatta per scritto e non oralmente.
I beneficiari di un’assicurazione sulla vita possono essere persone fisiche, persone giuridiche, associazioni ecc.

A seconda dei casi possono essere stipulate polizze vita nelle quali assicurato, contraente e beneficiario coincidono.
Assicurazione sulla vita e dichiarazione dei redditi
Le prime tipologie di assicurazione sulla vita che per prime hanno beneficiato delle detrazioni fiscali (attenzione alla differenza fra deducibilità e detraibilità) sono state quelle che prevedevano la costituzione di una rendita; generalmente erano strutturate in base a un criterio misto, una parte dei versamenti periodici veniva usata per la creazione del monte capitale che serviva a determinare la rendita successiva; un’altra parte veniva utilizzata per la copertura del caso morte e andava persa nel caso in cui l’evento non si fosse verificato nel periodo di durata della polizza.
Le assicurazioni sulla vita con tali finalità che sono state stipulate prima del 31 dicembre 2000 godono ancora oggi della possibilità di detrazione fiscale; questa deve essere richiesta ogni anno basandosi sugli importi che sono stati versati nell’anno fiscale interessato; è necessario che la compagnia assicurativa certifichi che i versamenti sono stati effettivamente effettuati.
Coloro che hanno sottoscritto un’assicurazione sulla vita, possono portare in detrazione di imposta il 19% dell’importo versato in premi assicurativi. Il tetto massimo è fissato in euro 530; ciò significa che sarà possibile detrarre ogni anno fino a 100,70 € dall’imponibile soggetto a tassazione. Va però precisato che l’agevolazione fiscale viene riconosciuta solo se vengono rispettate determinate condizioni.
Per quel che concerne la detraibilità fiscale, si deve operare una distinzione fra i contratti assicurativi stipulati prima del 2001 e quelli siglati in seguito.
Per ciò che riguarda le assicurazioni sulla vita stipulate prima dell’anno 2001, danno diritto a usufruire della detrazione fiscale i contratti assicurativi che soddisfano le seguenti condizioni:
- Durata minima di almeno 5 anni dalla stipula del contratto assicurativo;
- Nessuna possibilità di concessione di finanziamenti nei primi 5 anni di contratto.
Per accertarsi delle dette condizioni, è necessario visionare il contratto o farsi rilasciare un’apposita dichiarazione dalla compagnia assicurativa.
Per quel che concerne invece le assicurazioni sulla vita sottoscritte dopo il 2001, è possibile beneficiare delle detrazioni fiscali soltanto nel caso di contratti assicurativi che prevedono uno dei seguenti rischi:
- invalidità permanente: quest’ultima non dovrà essere inferiore al 5%, qualunque sia la causa, infortunio o malattia;
- mancata autosufficienza nell’esecuzione delle mansioni quotidiane come: espletamento delle funzioni fisiologiche, deambulazione, assunzione di alimenti e corretta igiene personale;
- Morte.
Normalmente la detrazione fiscale viene riconosciuta nel caso in cui le spese vengano sostenute dal dichiarante per proprio interesse, tuttavia, è consentito detrarre fiscalmente anche i premi versati nell’interesse dei familiari a proprio carico, a patto di non superare l’importo complessivo di euro 530.
Negli ultimi anni si sono diffuse le cosiddette polizze vita linked (unit linked e index linked) ovvero contratti legati a un qualche strumento finanziario di carattere speculativo in grado di offrire nel corso del tempo maggiori opportunità di guadagno; di fatto si tratta di vere e proprie forme di investimento che sfruttano la forma assicurativa per alcuni suoi vantaggi (oltre a non rientrare nell’asse ereditario, queste polizze sono insequestrabili e impignorabili).
Assicurazione sulla vita: aspetti psicologici
Le assicurazioni sulla vita sono un classico caso in cui l’economia si fonde intimamente con la psicologia del soggetto.
Qualche anno fa mi fu fatto notare, mentre stavo parlando dei piani di investimento ottimali, di non aver preso minimamente in considerazione il concetto di assicurazione sul futuro nei piani di investimento ottimali. Mi fu quindi rivolta una domanda molto diretta: “una persona che ha una certa età (diciamo 50 anni), con moglie e figli magari giovani a carico, perché non deve prevedere il dirottamento di una parte del suo patrimonio verso una forma assicurativa che copra la famiglia da una disgrazia che tocchi al contraente la polizza?”.
In realtà questa comprensibile preoccupazione si scontra con alcune semplici considerazioni che più che all’economia appartengono alla logica. Vedremo che l’uso del Ma se… permette a chiunque di storcere il naso di fronte alla domanda sopraesposta.
Le assicurazioni sulla vita si basano sulle tavole di mortalità che descrivono la popolazione con il passare degli anni. In genere si parte da una popolazione di 100.000 soggetti; a 50 anni ne sono rimasti vivi (ovviamente in media) 91.822; a 51 anni ne sono rimasti vivi 91.232 e così via.
Supponiamo che il soggetto voglia stipulare un’assicurazione sulla vita decennale che lo copra fino al suo sessantesimo anno di età. Dalla tavola scopriamo che a 60 anni dovrebbero essere rimasti in vita 82.345 soggetti, cioè fra i 50 e i 60 anni ne muoiono 9.477, cioè poco l’11,5%. Questo dato è importantissimo perché ci dice che la compagnia deve considerare che se stipula 9 polizze decennali a 9 cinquantenni dovrà pagarne (circa) una. È evidente che se la somma assicurata è di 100.000 euro, se il premio da pagare annualmente è inferiore a 1.100 euro (11.000 euro in totale) la compagnia ci perderà.
Per semplicità non consideriamo il reinvestimento dei premi (potrebbero per esempio rendere un 2% netto sull’inflazione) perché decisamente inferiore ai costi di gestione (con questa locuzione includiamo tutto ciò che grava passivamente sulla polizza) delle polizze da parte della compagnia. Ovviamente a causa di tali costi e della naturale propensione al profitto, è impensabile che la compagnia si accontenti di un pareggio. Realisticamente a fronte di una somma in caso di morte di 100.000 euro richiederà premi per 15.000-20.000 euro durante i 10 anni.
In altri termini, il nostro cinquantenne “butta” 15.000-20.000 euro e se gli va bene (per modo di dire…) ne ricava 100.000. Se poi a 60 anni decide di rifare un’altra polizza decennale, gli dovrebbe costare la bellezza di 35.000-40.000 euro circa, visto che la sua probabilità di morire è di ben un quarto e quindi la compagnia vede un misero pareggio a 25.000 euro.
I dati sono sconfortanti, anche perché alla fine 80.000 euro in caso di morte (100.000 meno i premi pagati) non possono certo garantire un futuro a una famiglia. Se per ipotesi volessimo una somma di un milione di euro, ecco che rifacendo i conti dovremmo pagare qualcosa come 150.000 euro circa in 10 anni.
Il trucco – Se si esegue una banale ricerca in Internet si scoprono polizze miste (prossimo paragrafo), polizze infortuni e, tutto sommato, poche polizze vita pure (che assicurano cioè la sola morte dell’assicurato). Negli Stati Uniti non è così, probabilmente per la miglior preparazione economica del mercato.
Le polizze in genere presentano tariffe a prima vista favorevoli. In realtà, la nostra applicazione del Ma se… si basava sul fatto che la compagnia pagasse, qualunque fosse la causa della morte dell’assicurato. Diventa evidente che deve esserci qualche stratagemma. Infatti il motivo più immediato perché i dati del Ma se… non siano ritrovati nella realtà è che l’ipotesi di base non si è verificata: non è vero che qualunque sia la causa della morte dell’assicurato la compagnia pagherà la somma concordata. Esistono condizioni, eccezioni, restrizioni ecc.
Per esempio, la polizza X (l’esempio è reale, ma evitiamo di citare il nome dell’azienda assicuratrice) è una polizza pura, tipicamente legata alla morte dell’assicurato. Si scopre che nel caso di polizza decennale di un cinquantenne la tariffa è di 690 euro. Quindi a fronte di un versamento di 6.900 euro ne garantirebbe in caso di morte ben 100.000 (il massimo che si può richiedere). Siamo ben sotto i 15.000-20.000 euro previsti dalla banale applicazione del Ma se… Leggendo il contratto si scoprono però che sono escluse tutta una serie di circostanze. Alcune di esse sono “logiche” (suicidio, incidente di volo, AIDS ecc.), altre invece appaiono più nebulose come la “partecipazione attiva dell’assicurato a delitti dolosi”. Il termine delitto apparirà a molti al di fuori della propria vita (“non sono certo un criminale”), ma in realtà ha un senso solo legale e si applica a moltissimi casi in cui siamo coinvolti. Se una persona muore d’infarto mentre sta cogliendo un frutto da un albero (non suo) in campagna sta partecipando attivamente a un delitto doloso.
Continuando nella lettura delle condizioni si scopre che per esempio se la persona rinuncia alla visita medica (con costi a carico dell’assicurato) e presenta il semplice questionario (cosa peraltro perorata dalla compagnia stessa se il contraente ha meno di 60 anni), i primi sei mesi non sono coperti! Inoltre una dichiarazione parziale o inesatta nel questionario medico dà luogo a un contenzioso. E se si legge il questionario ben si comprende come sia facilissimo omettere qualcosa oppure dare risposte che sono contestabili.
Alla fine si capisce che il pagamento in caso di morte non è così automatico.
Le polizze miste – Nonostante le perplessità sopra mostrate, è evidente che la preoccupazione per il futuro dei propri cari è una motivazione più che sufficiente per la stipulazione di una polizza vita pura. Da quanto detto e consultando attentamente le tavole di mortalità, tale azione è più produttiva quanto più giovane è l’età dell’assicurato, avendo visto che per un sessantenne il vantaggio è veramente minimo e non risolve certo la situazione futura dei beneficiari.
Quello che invece non ha senso è la stipulazione di polizze vita miste, ora che è sostanzialmente caduta la detraibilità fiscale delle stesse. In una polizza mista sono presenti diverse garanzie, sia in campo previdenziale sia di accumulazione del risparmio sia di morte.
Potrebbe sembrare interessante unire più garanzie sotto un’unica polizza, ma in realtà l’analisi dei dati mostra che non si è in grado di ottimizzare le garanzie. In altri termini,
è più performante implementare diverse e separate strategie piuttosto che cercare un’unica strategia che offra svariate garanzie.
Infatti tale strategia (la polizza mista) non è in grado di ottimizzare le singole garanzie che alla fine servono solo per portare più denaro nelle casse della compagnia. Molto spesso la natura mista della polizza è solo un trucco psicologico per convincere il cliente a trasferire soldi alla compagnia senza avere grosse pretese, se non la soddisfazione psicologica di aver risolto uno dei suoi problemi (l’aiuto alla famiglia in caso di morte).
Se per un soggetto una polizza vita da 100.000 costa circa 700 euro all’anno, se lo stesso soggetto decide di passare alla compagnia 5.000 euro all’anno per una polizza mista, ecco che solo 4.300 saranno investiti realmente. Ed è difficile ipotizzare che la compagnia si danni (come invece farebbe una finanziaria che deve giustificare il capitale che il cliente le ha dato perché quello è il “suo” lavoro) per far fruttare al meglio quei 4.300 euro perché il cliente è già parzialmente soddisfatto dalla sicurezza di aver stipulato una polizza vita (in altri termini, è meno “esigente”).
* Le assicurazioni sulla vita non rientrano nell’asse ereditario ai sensi dell’articolo 1920 comma III del Codice Civile; per tutte le assicurazioni sulla vita, infatti, la designazione del beneficiario avviene attraverso un atto unilaterale a favore di un terzo. Inoltre, l’atto è fra vivi, nel senso che i beneficiari lo diventano non in virtù della propria appartenenza alla famiglia dell’assicurato e alla partecipazione dell’asse ereditario, ma solo per diritto proprio, ovvero in base all’accordo che viene stipulato con l’assicuratore al momento della sottoscrizione della polizza vita stessa.
L’obbligo al pagamento del capitale al beneficiario, dunque, esiste soltanto in virtù del fatto che il contratto sottoscritto inserisce una determinata persona in qualità di ricevente e un’altra in qualità di contraente tenuto a versare il premio previsto da parte della compagnia assicurativa. Nel momento in cui si verifica, quindi, la morte dell’assicurato si ottiene nient’altro che l’effettività di un diritto che era già stato acquisito in precedenza.