Il riscaldamento globale della Terra è uno degli argomenti attualmente più discussi. Per essere chiari, tutti coloro che affrontano il problema dovrebbero rispondere a queste tre domande: 1) È vero che la Terra si sta riscaldando (riscaldamento globale)? 2) Esiste una relazione fra il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici? 3) L’uomo è il principale responsabile del riscaldamento globale? Come vedremo, le risposte alle tre domande sono affermative.
Temperatura della Terra e riscaldamento globale
Occorre subito precisare che poco importa se già in passato si ebbero fenomeni analoghi di aumento della temperatura. Per esempio, 20.000 anni fa la parte settentrionale dell’emisfero boreale era ricoperta di ghiacci; circa 56 milioni di anni fa nel Massimo termico del Paleocene-Eocene a causa di un aumento di gas serra (come l’anidride carbonica), la temperatura aumentò di circa 5 gradi in qualche migliaio di anni (le cause del fenomeno non sono ancora oggi chiare).
I primi dati sulla temperatura della Terra in nostro possesso sono relativamente recenti, dal momento che stiamo parlando di misurazioni iniziate nel 1860; questi dati non sono considerati totalmente attendibili, perlomeno fino al 1950, dal momento che gli strumenti utilizzati non erano qualitativamente eccelsi, non si sono sempre seguiti gli stessi criteri di osservazione, c’è stata una certa discontinuità nelle misurazioni ecc. Inoltre, le osservazioni effettuate alcuni decenni fa presentano diverse lacune a livello di copertura geografica, considerando che non c’erano allora i mezzi tecnici che garantissero un’attendibile misurazione delle temperature in determinate zone della Terra: deserti, calotte polari, oceani ecc.
Il problema è stato poi risolto con le osservazioni satellitari, ma si sono dovuti attendere i primi anni ’70. Nonostante tutte queste difficoltà, gli scienziati però sono riusciti a fornire, grazie a tecniche alquanto sofisticate e a opportune correzioni, delle medie di provata affidabilità.
Certo, permangono ancora alcune differenze fra i risultati ottenuti dai diversi gruppi deputati alle osservazioni, ma, a ben vedere, alla fine si parla di scostamenti che è possibile considerare come irrilevanti, dal momento che si parla di differenze nell’ordine di qualche centesimo di grado. Si osservi per esempio l’immagine sottostante (fonte: Copenaghen Diagnosis 2009); i dati sono quelli forniti da due delle più quotate istituzioni in materia di climatologia (Hadley Center e NASA/GISS).
Come si vede, le due curve, che mostrano l’evoluzione della temperatura media della Terra a partire dal 1840 fino al 2009, non presentano particolari differenze, in particolar modo se si prendono in considerazione gli ultimi trenta anni.
Fatte queste premesse, è quindi possibile rispondere alla domanda del paragrafo: considerando i dati in nostro possesso, si può affermare che negli ultimi 150 anni si è osservato un innalzamento della temperatura della Terra e che tale aumento è ragionevolmente stimabile in 0,8 °C. L’ultima osservazione di una certa importanza è che, da quando esistono le misurazioni della temperatura terrestre, l’ultimo decennio è stato quello più caldo.
In altri termini, ciò che preoccupa è che
il riscaldamento globale della Terra è diventato critico dal 1980 in poi,
come del resto si può vedere dal grafico soprastante.
I ghiacciai e il riscaldamento globale
Il pianeta Terra ha molte zone ricoperte dai ghiacci: i ghiacciai delle montagne, le banchise e le calotte polari. La loro osservazione è oltremodo utile per avere un’idea dell’importanza dell’aumento della temperatura terrestre; il perché è ovvio: più aumenta la temperatura, più aumenta la tendenza allo scioglimento dei ghiacci.
I ghiacciai delle montagne – Per quanto riguarda i ghiacciai delle montagne, si hanno a disposizione dati in abbondanza (circa duecento anni di osservazioni); al di là delle inevitabili discussioni su dettagli più o meno rilevanti, è possibile affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che da circa 150 anni i ghiacciai montani stanno riducendosi mediamente di circa 50 metri ogni dieci anni. La tendenza è praticamente la stessa in tutto il globo, ragion per cui sembra ragionevole ritenere che esista una causa globale comune.
È possibile fare un’osservazione analoga anche per quanto riguarda la copertura nivale; è vero che la copertura della neve differisce da quella dei ghiacciai per il suo carattere di stagionalità, ma è altrettanto vero che si è notata, a partire dagli anni ’50, una notevole tendenza alla riduzione della superficie globale coperta dalle nevi. Nel giro di 60 anni si è passati da una copertura di 38 milioni di metri quadrati a una di 35 milioni circa.
I ghiacci delle banchise e delle calotte polari – È doveroso premettere che le osservazioni relative ai ghiacci delle banchise e delle calotte polari sono relativamente recenti dal momento che parliamo di un periodo di tempo di circa trenta anni.
I motivi non sono difficili da capire; tali zone, oltre a essere notevolmente estese, sono anche decisamente inospitali ed è stato solo grazie all’aiuto dei satelliti che si sono potuti ricavare dati di una certa attendibilità.
Certo è che, pur parlando di un periodo relativamente breve, si sono potuti osservare cambiamenti di notevole entità: fra il 1980 e il 2006, le rilevazioni estive fatte sulla banchisa artica hanno evidenziato una diminuzione di circa il 7,4% della sua superficie; dato rivalutato poi nel 2009 all’11%. Le rilevazioni invernali mostrano invece una tendenza meno rapida alla diminuzione della superficie (3% circa ogni dieci anni).
Altro dato alquanto interessante è quello relativo allo spessore della banchisa polare artica: uno studio del 2009 ha evidenziato che lo spessore medio della banchisa (rilevato nel periodo invernale) è passato dai 364 cm del 1980 ai 189 cm del 2008.
Uno studio del 2019 (A. Schweiger, Laboratori di Fisica Applicata dell’Università di Washington pubblicato su The Journal of Climate) ha ricostruito la stima del volume di ghiaccio marino artico dal 1901 al 2010. Dallo studio si nota che, rispetto al 1901, si ebbe un massimo fra il 1980 e il 1985 (in piena era del petrolio, ma con una popolazione mondiale decisamente minore) con un +2,5% per arrivare al 2010 con un -8%. La discesa è ripida dal 1990.
Per quanto i dati a nostra disposizione siano piuttosto recenti, è comunque possibile affermare che
al momento attuale stiamo osservando una netta diminuzione dei ghiacci del pianeta Terra, sia a livello polare sia a livello dei cinque continenti.
Riscaldamento globale e livello del mare
Parlare di riscaldamento globale vuol dire dover prendere in considerazione il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci da una parte e dell’aumento delle acque dall’altra. Ce n’è abbastanza per decidere di verificare eventuali variazioni del livello dei mari e degli oceani. Osserviamo questo grafico:
Non vi è dubbio su quale sia la tendenza, il livello delle acque è in continuo aumento. Il pianeta Terra si trova in questo momento in un periodo interglaciale (un periodo interglaciale è l’intervallo temporale tra due periodi glaciali); sono trascorsi circa 20.000 anni dall’ultima glaciazione e lo scioglimento progressivo dei ghiacci ha innalzato notevolmente il livello dei mari; si stima infatti che da allora tale livello sia aumentato di circa 120 metri. Non si può pertanto escludere a priori che tale innalzamento sia dovuto all’onda lunga del disgelo piuttosto che al riscaldamento globale.
Si deve però notare che, da osservazioni fatte, l’aumento medio del livello delle acque è notevolmente accelerato negli ultimi decenni; infatti, fino agli anni ’70 esso era di circa 1,5 mm per anno, mentre attualmente si aggira sui 3,3 mm annui. Anche in questo caso, il fenomeno è diventato critico negli ultimi 50 anni.
In base a quanto visto finora, la risposta alla prima domanda deve essere: sì, ma l’uomo è la causa principale del problema.
Riscaldamento globale e cambiamenti climatici
Non si devono confondere alcuni fenomeni con il concetto di cambiamento climatico; appare del tutto evidente che, se la temperatura del pianeta aumenta, ci possono essere conseguenze sul clima, ma tali conseguenze non è detto siano “critiche”. Da un serio punto di vista scientifico occorre quindi analizzare la criticità del riscaldamento sul clima.
Fauna e flora – Il riscaldamento globale produce fenomeni negativi per flora e fauna?
Nella Pianura Padana ci sono specie che sono in grande espansione (minilepri, volpi, cornacchie, ibis, cinghiali, caprioli e persino i lupi) e altre che sono in grande riduzione (lepri, pavoncelle, allodole ecc.). Le cause di questi mutamenti sono sicuramente due:
- l’uomo; l’inserimento di nuovi specie (come minilepri e nutrie) ha alterato certi equilibri, l’agricoltura ha modificato l’habitat favorevole a molte specie, la caccia non sufficientemente sostenibile ha ridotto la consistenza numerica di altre e, paradossalmente, la costituzione di zone protette ha favorito l’espansione di alcuni animali, come cinghiali, lupi, volpi e caprioli).
- Il riscaldamento globale ha modificato il clima a tal punto che sono cambiate le migrazioni: in determinate zone, alcune specie sono scomparse mentre ne sono apparse altre. Questa considerazione è la prova più evidente del rapporto fra riscaldamento globale e cambiamenti climatici.
Diverse specie migratrici hanno anticipato i tempi della loro migrazione, altre specie adattate a una certa rigidità del clima stanno lentamente scomparendo, altre specie ancora stanno spostandosi lentamente verso il nord del pianeta o comunque verso zone caratterizzate da una maggiore altitudine.
Che dire poi di quelle piante il cui periodo di fioritura è notevolmente anticipato rispetto a diversi anni fa? Oppure del periodo delle raccolte agricole, sempre più precoce?
Camille Parmesan è una biologa statunitense dell’università di Austin (Texas) ed è considerata una delle massime autorità del settore. Secondo la scienziata statunitense “numerosi cambiamenti registrati nell’ultimo decennio sono al 95 per cento il risultato del riscaldamento climatico e non sono imputabili ad altre cause. Ora stiamo vedendo chiaramente l’impatto del clima sui sistemi naturali ed è necessario prenderli sul serio… Nell’ ultimo decennio abbiamo registrato un anticipo della primavera di circa due-tre giorni sulla norma. E questo ha influito sui tempi della deposizione delle uova e sulla fioritura degli alberi, mentre le specie tendono ad aumentare lo spostamento verso il Nord, in media, di circa sette chilometri ogni dieci anni“.
Desertificazione e siccità – La desertificazione è la conseguenza più significativa della siccità, fenomeno a sua volta incrementato dal riscaldamento globale. La desertificazione degrada la superficie terrestre, facendo scomparire la biosfera (flora e fauna) e trasformando l’ambiente preesistente in deserto.
Secondo l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) più del 50% del territorio è a rischio desertificazione a causa dei cambiamenti climatici. Si tratta di intere regioni (Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania) o di parti di esse (Lazio, Toscana, Molise, Marche e Abruzzo).
In altre regioni, la siccità mette in crisi l’agricoltura e modifica la flora e la fauna con conseguenze spesso imprevedibili.
Frequenza dei fenomeni climatici estremi – Si è portati a ritenere che i fenomeni climatici estremi (cicloni, tempeste, ondate di caldo o di freddo, inondazioni, siccità ecc.) siano dovuti a squilibri di tipo climatico (che nel nostro caso sarebbero riconducibili all’aumento della temperatura del globo).
Osserviamo il grafico sottostante (fonte: Webster et al., 2005):
Il grafico mostra l’evoluzione, a partire dagli anni ’70, dei diversi tipi di ciclone. Appare evidente la tendenza all’aumento relativamente agli eventi delle categorie 4 e 5 (ovvero i fenomeni di maggiore intensità) rispetto alle altre. Anche in questo caso, il fenomeno è diventato importante dal 1980.
Hanno meno peso gli studi che vogliono legare il riscaldamento globale a fenomeni climatici estremi che studiano i suoi effetti sulla popolazione (per esempio, considerando il numero di vittime). Consideriamo l’Italia: negli ultimi 50 anni si è costruito ovunque, si sono incanalati fiumi e torrenti, si è sostanzialmente costretta la natura ad asservirsi all’uomo. Non appare razionale pensare che un fenomeno estremo faccia più vittime che in passato a causa della scellerata antropizzazione?
In base a quanto visto finora, la risposta alla seconda domanda deve essere: sì.
Riscaldamento globale: le colpe dell’uomo
Dalla risposta alle prime due domande, appare chiaro che l’uomo negli ultimi 50 anni ha contribuito almeno per il 90% al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici. Non hanno particolare pregio quelle considerazioni sul restante 10%, a meno di non sovrastimarne erroneamente le cause (come la variazione della quantità di radiazione solare che arriva sulla Terra).

Dei 170 TW irradiati dal Sole solo 90 raggiungono la superficie terrestre
D’altro canto, di responsabilità umana nel riscaldamento globale si parlava ancor prima che tale riscaldamento si concretizzasse; fin dalla fine del XIX secolo, erano stati fatti i primi calcoli relativi alle conseguenze delle emissioni di CO2 derivanti dalla combustione delle risorse fossili (carbone, petrolio ecc.); tali emissioni accentuavano il cosiddetto effetto serra.
Generalmente siamo portati a ritenere l’effetto serra come un fenomeno altamente negativo; in realtà, se tale effetto non esistesse, la temperatura media del nostro pianeta si aggirerebbe sui -18 °C. Sono molti i fattori implicati nell’effetto serra: il vapore acqueo, l’ozono, il metano e molti altri, tra cui anche il CO2; se ci riferiamo anche solo a quest’ultima sostanza, non è difficile capire che, con l’avvento dell’era industriale, il tasso di CO2 nell’atmosfera, stabile da millenni, si è decisamente elevato.
Osserviamo l’immagine sottostante:
Nel periodo pre-rivoluzione industriale il livello di CO2 nell’atmosfera era di circa 280 ppm (parti per milione), mentre dopo l’avvento dell’era industriale il livello ha registrato un notevole innalzamento e attualmente è di 384 ppm.
Il riscaldamento globale è quindi da attribuirsi all’eccesso di CO2 prodotto dall’uomo.
In base a quanto visto finora, la risposta alla terza domanda deve essere: sì.
Riscaldamento globale: il futuro
Negli ultimi anni il dibattito è diventato incandescente anche perché si sono amplificati i fattori economici e politici coinvolti nel problema.
Greta Thunberg è diventata il simbolo della contestazione verde; purtroppo, dovrebbe essere abbastanza evidente la manipolazione che è stata fatta dell’immagine di questa ragazzina, che improvvisamente si è trovata insignita di una popolarità che ha contribuito ad avvelenarle l’animo, accrescendone l’aggressività.
L’intelligenza di Greta le ha però permesso di capire che era usata… proprio per non fare nulla e si è staccata sia dall’ambientalismo sia dalla politica perché da un lato i politici tendono a differire i problemi e dall’altro molti ambientalisti che sostengono rivoluzioni verdi, energie rinnovabili ecc. non capiscono che la tecnologia a cui anelano mai avrebbe dato loro il benessere in cui sono cresciuti e, soprattutto, che non è totalmente compatibile con l’ambiente perché per sostituire i 2.500 kg di petrolio equivalente pro-capite si dovrebbe di fatto sostituire il verde attuale con coltivazioni di biomasse (in certe zone ormai gli agricoltori abbandonano grano e riso per il mais per la produzione di energia), con impianti eolici (con impatto devastante delle turbine sugli uccelli) o con enormi distese di pannelli fotovoltaici (che differenza esiste fra la nascita di un centro commerciale o di un impianto fotovoltaico pubblico se la superficie verde distrutta è la stessa?).
Si noti come ormai da dieci anni le varie Conferenze sul clima non attuino nulla di concreto, ma solo intenzioni per un futuro più o meno lontano, a riprova del fatto che il problema è quanto mai complesso.
Per inquadrare il problema rimandiamo all’articolo sulla sostenibilità ambientale.
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