Esiste l’edilizia sostenibile? Qualche anno fa su la Repubblica comparve un’importante inchiesta sulla cementificazione dell’Italia. Ecco alcuni titoli:
- Così stanno uccidendo l’Italia agricola; quei 600.000 ettari rubati dal cemento
- Con villini e capannoni ci rimette la nostra storia
- Il sacrificio delle pianure dove costruire conviene
- La campagna romana nelle mire dei palazzinari.
Titoli molto forti, che condivido pienamente, ma comunque a mio avviso non abbastanza incisivi. Il motivo è che ognuno di essi colpisce solo gli aspetti più deleteri di una realtà senza basarsi su un’ideologia di fondo. Personalmente penso che questo accada perché manca il coraggio di farlo. Fra l’altro, da allora, la situazione non è migliorata anzi: se non fosse stato per la crisi economica, il cemento avrebbe divorato ancora più territorio.
Provate a chiedere a un qualunque uomo politico (di destra o di sinistra) cosa si deve fare per l’edilizia in crisi. Ognuno darà la sua ricetta, ma nessuno probabilmente vi darà una risposta “ecologica”:
l’edilizia deve entrare in crisi per il semplice fatto che non è più possibile costruire come si è fatto finora.
Ormai ci siamo abituati a considerare crimini ambientali il non fare la raccolta differenziata, l’uso di vetture euro 0, il lasciar accesi senza motivo luci e dispositivi elettronici, l’impiego di dispositivi in classe energetica sfavorevole ecc. Eppure non esiste un’etica ambientale per l’edilizia.
Parliamoci chiaro: “sostenere che si può costruire, ma si può farlo con saggezza” sarà politicamente corretto, ma è un demenziale (o furbesco) modo di far ricadere il problema sulle generazioni future.
Se l’Italia perde 10 ettari al giorno (oggi ne perde 30) in 30 anni avrà comunque perso 110.000 ettari e in 150 anni ne avrà persi quanti ne ha persi dal dopoguerra a oggi. In sostanza scempio su scempio che i più “deboli” vogliono far passare come vittoria perché i loro occhi non vivranno così a lungo per vederlo.

L’Enciclopedia Treccani definisce l’edilizia sostenibile come un “Modello di edilizia basato sulla limitazione dell’impatto ambientale e l’incentivazione del risparmio energetico”.
L’etica dell’edilizia deve ormai basarsi sull’opzione zero: ogni azione che aumenti l’antropentropia dell’uomo è “immorale”, esattamente come non fare la raccolta differenziata o cacciare specie protette. Pertanto
l’edilizia è sostenibile se non aumenta l’antropentropia.
Praticamente:
(1) è una forma di crimine ambientale ogni azione edilizia che sottrae verde alla collettività.
L’edilizia è pertanto sostenibile se recupera aree dismesse, cascinali abbandonati, aree urbane da riqualificare ecc. Per ottimizzare i suoi risultati, meglio l’edilizia verticale che quella orizzontale* e la necessità di costruire sul costruito.
Perché chi parla e condanna la cementificazione non ha il coraggio di affermare senza peli sulla lingua la (1)? Semplice, perché la (1) obbliga tutti noi a profondi cambiamenti; per esempio chi sognava di farsi la villetta in campagna mangiando una fetta di verde si ritroverebbe alla stregua del bracconiere che uccide di frodo la specie protetta. Duro, ma necessario dirlo.
Se avete a cuore l’ambiente, non abbiate pudore di sostenere la (1) e diffondete il concetto di edilizia sostenibile. Ci vorrà tempo, ma è ora che il palazzinaro o il costruttore senza scrupoli che comprano un terreno agricolo sperando che diventi edificabile (azione peraltro tipica anche di molti benestanti poco “ecologici”) finiscano sulla lavagna dalla parte dei cattivi.
* Alcuni sostengono che l’edilizia verticale può avere un impatto ambientale superiore rispetto a quella orizzontale. Si pensi per esempio all’energia richiesta da un grattacielo di 20 piani. L’errore di fondo del ragionamento è che i calcoli sull’impatto ambientale sono fatti tendo conto delle efficienze energetiche attuali (sappiamo tutti che l’efficienza energetica è in costante miglioramento), mentre il verde eliminato da uno sviluppo orizzontale è eliminato “definitivamente”!