La difesa dell’ambiente è profondamente cambiata nel ventesimo secolo. Sono nati movimenti ecologisti che hanno rapidamente conquistato un posto primario nella scena politica e sociale dei paesi più evoluti.
Nonostante l’incremento generalizzato della sensibilità ambientale, in nessun Paese gli ambientalisti sono però riusciti a raggruppare una quota significativa della popolazione. Si direbbe che abbiano creato i presupposti di una cultura che è stata recepita in alcune linee generali, ma che non ha mai convinto del tutto larghi strati dell’opinione pubblica. Se si constata che ciò è accaduto in tutti i Paesi, si conclude quasi immediatamente che nella politica degli ambientalisti del ventesimo secolo devono esserci stati degli errori di fondo.
In sostanza quattro sono gli errori principali del movimento ambientalista del XX sec., se si prescinde da connotazioni politiche che diverse frange hanno assunto.
- La totale bontà della natura. Abbiamo discusso più volte questo concetto, negandolo con la banale considerazione che la natura non è poi così buona se ci fa invecchiare e ci fa morire. Una trattazione più approfondita evidenzia senza difficoltà che non tutto ciò che è naturale è buono e fa bene.
- La difesa ossessiva di ogni forma di vita. È spesso conseguenza della patosensibilità.
- Una visione catastrofica dell’inquinamento ambientale.
- La difesa di simboli troppo lontani dalla realtà comune (per esempio la foresta amazzonica).
Chi è l’ambientalista?
Non è possibile dare una riposta precisa e generale, perché generalmente in lui convivono diverse personalità. Chi asserisce la bontà assoluta del naturale è in genere un semplicistico, mentre chi orienta il suo ambientalismo alla difesa di ogni forma di vita animale è spesso un patosensibile. Chi si orienta alla difesa di “simboli” come la foresta amazzonica, un parco o una sola specie animale è in genere un romantico. Chi è terrorizzato dall’inquinamento, in genere è un fobico (nel senso del Personalismo).
Le quattro posizioni predominanti del filone ambientalista hanno reso impossibile per la maggior parte della popolazione aderire alle tesi dei “verdi” perché manca un’adesione al substrato psicologico che motiva la posizione. Pensiamo al principio di precauzione e comprendiamo subito che, se per un ambientalista può essere valido, non lo è per chi ha una visione della vita che, prima di decidere, tende a valutare pro e contro e decide positivamente anche in presenza di possibili contro importanti se ritiene che i pro comunque prevalgano.
È interessante capire se sono gli ambientalisti in anticipo di alcuni secoli sulla civiltà o se queste posizioni non sono che passi falsi su un cammino che sicuramente farà parte della civiltà del futuro. Infatti grosso merito degli ambientalisti è aver dimostrato che la natura è un bene a cui l’uomo può rinunciare solo perdendo una parte di sé stesso: ognuno di noi ricorda sicuramente alcuni momenti della propria vita in cui la natura ha giocato un ruolo essenziale.

A partire dalla seconda metà del XX sec. le iniziative ambientaliste sono diventate sempre più numerose
L’ambientalismo di comodo
Per gli ecologisti più superficiali è ormai prassi comune attaccare chi distrugge direttamente il patrimonio naturale: la fabbrica che inquina, il cacciatore, la signora che indossa la pelliccia… Il loro problema di fondo è che con una posizione estremistica finiscono per porsi in antitesi con il vivere comune. Se intervistiamo dieci persone almeno nove si diranno favorevoli alle più comuni tesi ambientaliste, ma in tutti loro non sarà difficile trovare notevoli incoerenze. Vediamo una carrellata di falso ambientalismo.
- Chi rinuncerebbe all’auto che ci sposta velocemente da un posto all’altro? Certo, l’automobile serve per il lavoro, peccato che poi la si usi anche il sabato e la domenica per andare in giro a divertirsi finendo per inquinare. Chi in una sera d’estate non uscirebbe con l’auto perché sa che ucciderà decine di rane che saltellano ignare sulla strada inumidita da un veloce temporale o un riccio che si è chiuso a palla sull’asfalto sicuro che i suoi aculei lo proteggeranno dal mostro meccanico?
- Tutti sono contro le fabbriche che inquinano, ma poi gli operai stessi si oppongono alla chiusura di una fabbrica che inquina per non perdere il posto di lavoro.
- Sappiamo benissimo che i riscaldamenti delle città sono una delle maggiori fonti di inquinamento e che i condizionatori succhiano una quantità incredibile di energia elettrica, ma chi nella propria casa rinuncia a un clima confortevole?
- Chi non vorrebbe abitare in una bella villetta alla periferia della città, con il giardino per far correre e divertire il proprio cane? Se poi ne avessimo una anche al mare per trascorrere i fine settimana… Peccato che non ci rendiamo conto che (ipotesi del cemento) se ognuno di noi avesse a disposizione un terreno di SOLI (incredibile, ma vero!) settanta metri per settanta, ogni metro della penisola sarebbe urbanizzato (certo protesterebbero quelli che dovrebbero costruirsi la villa sulle cime delle Alpi o in mezzo al lago Trasimeno).
- Chi non vorrebbe nuove strade per risparmiare pochi minuti di coda?
- Chi scia pensa a trascorrere una giornata in allegria, ma lo sa che ogni pista da sci è una violenza fatta alla montagna?
- I milioni di persone che d’estate si riversano sulle spiagge, sanno di essere complici con la loro voglia di ozio e di sole di tutti gli scempi turistici? Certo il villaggio a picco sul mare si integra bene nel panorama, ma se non ci fosse sarebbe meglio; e poi che cosa dire del bambino che corre dal papà mostrando una medusa sulla piccola fiocina: il padre, guardandolo con fierezza, gli dice: “Bravo! Purtroppo qui il mare è bello, ma ci sono troppe meduse…”. E se al largo compaiono gli squali, bisogna eliminarli perché rovinerebbero la stagione turistica; naturalmente anche quelli innocui, perché comunque fanno paura.
- La signora di città che non sa distinguere una quaglia da una pernice è contro la caccia, ma si ricorda delle pellicce che ha nell’armadio e del succulento arrosto che si è pappata l’altra sera nel ristorante più in della città?
- Tutti siamo contro la strage delle balene, ma poi al ristorante chi rifiuta un bel trancio di pesce spada, animale altrettanto libero quanto la balena?
- Perché la vita di un topo che muore per una derattizzazione, delle formiche uccise perché invadono la casa o di una zanzara schiacciata perché mi punge o può attaccarmi una malattia devono valere immensamente di meno di quella di un tenero usignolo che mi allieta con il suo canto?
Proviamo per gioco a eliminare dalla popolazione chi cade in queste incoerenze: resta meno dell’1%. Insomma:
è facile essere ambientalisti quando le rinunce non toccano a noi!
L’ambientalista di comodo è quello che vorrebbe tanti bei parchi protetti: “ci sono già molti parchi protetti, se ne potrebbero creare altri in cui il rispetto della natura sia integrale”. Peccato che le zone protette vengano concesse alla natura come un tempo si concedevano le riserve ai pellerossa: per prendersi onestamente tutto il resto e poi ucciderli lo stesso.
Da ragazzo vedevo la città espandersi e inglobare ogni anno sempre più campi verdi. Ero triste e mi sembrava ingiusto, ma non riuscivo a trovare una soluzione che non fosse utopistica, demagogica, assurda. Finché, per non essere travolto da una tristezza inconcludente, mi è sembrato che la soluzione fosse proprio il ritenere tutto ciò “naturale”! Come la morte ci porta via, così l’uomo fa morire a poco a poco ciò che ha intorno.
Il principio di Heisenberg
I punti sopraccitati dimostrano che, se a parole tutti dicono di volere il bene della natura, con i fatti tutti (o la stragrande maggioranza) sono colpevoli. L’analisi che abbiamo fatto potrebbe essere demotivante, ma dimostra che un ambientalista non può che arrivare a poche, ma significative conclusioni. Per salvare la natura occorre:
- fermare il progresso della civiltà oppure
- distruggere l’uomo.
L’ultimo punto non è che l’applicazione all’ambiente di un noto principio di fisica. Il principio di Heisenberg afferma che non è possibile conoscere simultaneamente la posizione e la velocità di un dato oggetto con precisione arbitraria e quantifica esattamente l’imprecisione. Heisenberg diede un’iniziale interpretazione del suo principio (non esatta, ma questo aspetto interessa ai fisici) affermando che la misurazione “disturba” lo stato dell’oggetto: se voglio misurare la velocità di una particella, la mia misurazione ne disturba il moto e quindi la grandezza che voglio misurare. È incredibile come questa interpretazione possa essere estesa a molti altri argomenti del sapere umano:
la conoscenza altera ciò che si vuole conoscere.
Nell’ambiente la presenza dell’uomo è ormai così ingombrante (ho coniato l’espressione big bang ecologico) che appena questi si muove fa danni e non riesce ad aggiustare i cocci. Quindi quanto più questa presenza cresce tanto più la natura è penalizzata (pensiamo allo sviluppo urbanistico nei paesi ad alta densità). La versione ambientale del principio di Heisenberg diventa pertanto:
la presenza dell’uomo altera ciò che vorrebbe salvare.
Non a caso gli animali che si integrano con l’uomo si moltiplicano, gli altri tendono a estinguersi. Sintomatico il caso della minilepre, un roditore molto simile al coniglio selvatico. I due animali sembrerebbero biologicamente molto simili, ma mentre il coniglio è stabile (o in diminuzione) sul territorio italiano, la minilepre è in espansione fortissima (ne furono introdotti nove esemplari in Piemonte nel 1966), nonostante una spietata caccia, le perdite sulle strade, il ritorno dei nocivi (volpi) ecc. La differenza sostanziale è che la minilepre si adatta all’uomo (ormai è presente anche in molti parchi cittadini) mentre per il coniglio selvatico questo adattamento è molto più difficile.
La soluzione ternaria
Le due conclusioni dell’ambientalista teorico sono però assurde. Ne consegue che non si possa che arrivare a un compromesso fra la popolazione umana (il suo numero), il suo sviluppo e la natura. Per far ciò è fondamentale:
- verificare il reale miglioramento umano di ogni innovazione tecnologica;
- verificare la reale dimensione del problema ambientale;
- applicare la limitazione dell’antropentropia.
Questo è il punto veramente nuovo e merita un capitolo a parte, vedasi l’articolo Antropentropia