L’appello lanciato anni fa dal grande architetto Renzo Piano (costruire sul costruito) è ormai una necessità piuttosto che una semplice indicazione.
Chi parla di mettere in sicurezza il territorio italiano dice una verità dimezzata perché, se si continua a consumare territorio, si va comunque incontro a danni globalmente incalcolabili. Non si deve pensare solo ai terribili bilanci delle alluvioni (che, fra l’altro, colpiscono per par condicio tutte le regioni italiane), ma agli altissimi costi successivi alla costruzione: magazzini allagati con deperimento di merci, abitazioni con pochi anni di vita con cedimenti, infiltrazioni e muffe, cantine e garage allagati, giardini che a ogni pioggia diventano paludi solo perché si è voluto costruire su terreni comunque umidi. A causa di questi “danni” il costo reale del costruito è spesso del 20% superiore a quello iniziale (quindi non è automaticamente vero che costruire sul dismesso costi di più).
Il vero abuso non è il mancato rispetto delle leggi vigenti, ma semplicemente la propensione a costruire ovunque, a consumare il territorio.
Tutto questo perché i piani regolatori non hanno voluto imporre il recupero delle aree dismesse, molte delle quali da decenni non hanno subito danni ambientali (quindi hanno un alto grado di sicurezza), ma solo il degrado conseguente all’abbandono dell’uomo; occorre capire che la difesa del territorio è un atto di civiltà, non negoziabile con la vanità di chi vuole farsi la casa nuova oppure con l’ambizione di chi vuole aprire un nuovo centro commerciale.
Pertanto, quando voterete il vostro prossimo amministratore locale chiedetegli prima: “su quali basi intendete orientare il prossimo piano regolatore?”. Quanto più si allontanerà dalla semplice regola
costruire sul costruito
tanto più valutate la possibilità di cambiare il vostro voto perché la persona che state per votare potrebbe essere ben poco moderna.