In Italia il consumo di suolo è la più grande emergenza ambientale. Purtroppo, negli ultimi decenni gli ambientalisti hanno erroneamente rivolto la loro attenzione all’inquinamento ambientale delle città, non capendo che, mentre questo è reversibile, il consumo di suolo non lo è! Due dati sopra tutti:
- Il IV Rapporto sul consumo di suolo in Italia (2018) redatto dall’Ispra continua a mostrare che non si arresta la tendenza del cemento a invadere le aree ancora verdi del nostro Paese: il consumo di suolo è arrivato a sottrarre alla natura 2 metri quadrati al secondo, pari a 15 ettari al giorno, fino a raggiungere i 52 km quadrati di superficie totale annui.
- L’ipotesi del cemento (Albanesi 2010) ci dice che non c’è tempo da perdere: se ognuno di noi avesse a disposizione un terreno di SOLI (incredibile, ma vero!) settanta metri per settanta, ogni metro della penisola sarebbe urbanizzato.
Soprattutto dal secondo punto, appare importante formare in tutti una coscienza ambientale che contrasti il consumo di suolo (fra l’altro responsabile di tanti disastri in concomitanza di avversi eventi naturali) preservando l’evoluzione economica e sociale. Possibile?
Molte sono le proposte di legge. In linea generale, le proposte possono essere suddivise in tre filoni principali:
- Filone integralista – Crescita zero del consumo di suolo: le esigenze insediative e infrastrutturali devono essere soddisfatte esclusivamente con il riuso, la rigenerazione dell’esistente patrimonio insediativo e infrastrutturale esistente.
- Filone limitativo – Nella proposta di legge si parla di contenimento del consumo di suolo.
- Filone agevolativo – Si agevolano le politiche costruttive che non consumano il suolo, per esempio mediante un credito d’imposta per l’acquisto di un fabbricato oggetto di restauro.
La prima soluzione è ottimale, ma molto difficile da implementare. Si supponga per esempio che all’interno di un paese ci siano piccole aree verdi, vere e proprie enclavi soffocate dalle strade e dalle costruzioni. Tale verde è ormai antropizzato ed è inutile tentare di salvarlo con una politica integralista. La prima soluzione si scontra poi con gli egoismi individuali e di comunità che comunque alla fine porterebbero eccezioni ai provvedimenti.
La seconda soluzione è quella classicamente “politica” che vuole dimostrare di aver fatto tanto, quando in realtà non si sta facendo altro che sfruttare l’effetto tempo: dire per esempio che in un comune non è possibile urbanizzare più dell’1% ogni 5 anni sembra ragionevole, ma se il comune è antropizzato per il 70%, in 150 anni sarà totalmente cementificato. Certo, a quelli che vivono adesso la cosa non importa ed è su questo che conta il politico.
La terza soluzione è quella più penosa che vuole apparire ambientalista, quando in realtà non contrasta il problema; sarebbe come dire in materia di furti: la gente è libera di rubare (il suolo), ma chi non lo fa ha delle agevolazioni.

L’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) definisce il consumo di suolo come una variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato).
Consumo di suolo e antropentropia
Da anni propongo il fattore di antropentropia come l’unico fattore scientifico che può dirimere la questione. Il concetto è stato snobbato da chi si batte in difesa del paesaggio semplicemente perché anche fra gli ambientalisti esiste l’ambizione politica: se una proposta non viene da me è sbagliata.
In sostanza:
- Un’opera (strade, edifici ecc.) è accettabile se non aumenta il fattore di antropentropia della zona geografica di competenza (per esempio il comune).
- Deroghe al punto 1 sono ammissibili solo per opere a carattere sociale (pubbliche) purché sia scelta la soluzione che minimizza l’aumento del fattore di antropentropia e la realizzazione ponga vincoli totali almeno ventennali.
Se si studia il fattore di antropentropia (vedasi il progetto ACI), si scopre che per esempio:
- si può costruire sul costruito
- si può costruire sulle enclavi ormai inglobate dall’antropizzazione (non aumenta il fattore)
- si può costruire una tangenziale o un aeroporto, ma nel comune per vent’anni non si potrà sforare il fattore antropentropico con altre opere pubbliche.
Un’analisi attenta dei due punti fa capire che non si possono autorizzare costruzioni private o aziendali (i famigerati centri commerciali) che si estendano a macchia d’olio attorno al già costruito (a Pavia la città ha espanso il suo raggio di circa 1 km in 40 anni), ma si deve usare la politica del filone integralista, permettendo al massimo di riutilizzare enclavi di verde (che ormai sono degradate dall’antropizzazione).
Per le costruzioni pubbliche l’amministratore dovrà necessariamente porre attenzione a cosa sceglie (poi per 20 anni non si può fare altro) e a come realizzarlo. Per esempio, non ha senso costruire una tangenziale a 500 m dal paese perché così si pongono le basi per un’urbanizzazione fra la nuova tangenziale e il resto del paese. La tangenziale andrà costruita “a ridosso” del paese. Per approfondire: Perché non servono altre strade.

Veduta aerea di un complesso residenziale di lusso
Indice materie – Ecologia – Consumo di suolo