Il testamento è un atto scritto, revocabile, con il quale un soggetto individua la destinazione dei propri beni (o di parte di essi), per il momento successivo alla propria morte (art. 587 del codice civile). Attraverso tale strumento, quindi, una persona può derogare (con i limiti di cui si dirà) alla normativa in materia di successione legittima, istituendo quali eredi anche estranei, oppure ripartendo, con quote diverse, il patrimonio tra soggetti che sono già suoi eredi.
L’atto può contenere anche solamente disposizioni di carattere non patrimoniale (quali, per esempio, il riconoscimento di un figlio).
La definizione fornita poco sopra chiarisce quali sono gli elementi di base, per potersi parlare di testamento e, quindi, il perché esso può esplicare i propri effetti.
Deve trattarsi, in primo luogo, di un atto scritto. La legge italiana non prevede forme diverse per manifestare la volontà testamentaria e, dunque, nessun effetto giuridico possono sortire eventuali dichiarazioni, puramente verbali, che un soggetto abbia espresso in vita, ma non abbia poi “materializzato”.
Le forme testamentarie sono diverse e, come vedremo, non è necessario rivolgersi a dei professionisti (in primis al notaio) per redigerne uno valido. È importante, però, rispettare la forma scritta e gli ulteriori requisiti di cui si dirà. Il testamento, inoltre, lo ricordiamo ancora una volta, è sempre revocabile.
Finalità del testamento
La finalità dell’atto testamentario è quella di poter consentire a una persona di scegliere a chi attribuire i propri beni. Come chiaramente esposto nell’articolo relativo agli eredi legittimi e legittimari, esistono dei soggetti che necessariamente partecipano all’eredità (pensiamo, per esempio, ai figli). Questo comporta che, quando una persona abbia tra i propri eredi dei legittimari, non potrà decidere l’intera sorte del proprio patrimonio. Egli, infatti, può decidere la sorte solo della cosiddetta quota disponibile.
Qualora non rispetti tali vincoli, la disposizione testamentaria è nulla e agli eredi lesi nella propria quota o estromessi dall’eredità, sono dati rimedi per ottenere quanto la legge loro attribuisce.
Tuttavia, l’art. 590 del codice civile dispone che la nullità non possa essere fatta valere dall’erede che, conoscendo la causa di invalidità, dopo la morte del testatore, abbia comunque dato esecuzione alla disposizione. Una speciale ipotesi, in sostanza, di rinuncia a far valere i propri diritti, implicita in un comportamento in contrasto con l’eventuale volontà di impugnare l’atto.
Chi può disporre per testamento?
Il codice civile si occupa, in primo luogo, di stabilire chi siano i soggetti capaci di effettuare disposizioni testamentarie.
Il richiamo, in tal caso, va anzitutto alle norme generali in materia di maggiore età, visto che l’art. 591 del codice civile, al n. 1, esclude, appunto, che il minore possa fare testamento. Accanto a tale ipotesi, vi sono gli interdetti (artt. 414 e seguenti del codice civile) e coloro che, al momento di disporre per testamento, erano in stato di incapacità di intendere e volere. L’azione per impugnare un atto testamentario redatto da incapace è di cinque anni dal momento dell’esecuzione delle disposizioni ivi contenute.
Gli artt. 596-598 del codice civile prevedono specifiche ipotesi di persone incapaci a ricevere per testamento. Trattasi, per esempio, del notaio che abbia ricevuto il testamento pubblico, ovvero dei testimoni dello stesso. Sono norme finalizzate a evitare che persone che svolgono un ruolo specifico possano approfittare di ciò per un vantaggio indebito (ipotesi, dunque, di conflitto di interessi).

Il testamento è un atto scritto, revocabile, con il quale un soggetto individua la destinazione dei propri beni (o di parte di essi), per il momento successivo alla propria morte
Le forme del testamento
L’aspetto più importante è, certamente, quello relativo alla forma che il testamento deve assumere.
Secondo l’art. 601 del codice civile il testamento può essere olografo oppure per atto di notaio; questo secondo tipo si può presentare come pubblico o segreto.
Il termine olografo dice già quale sia la caratteristica essenziale di questo genere di testamento: deve essere scritto (grafo) tutto (olos) dalla persona senza che vi siano interventi di altri soggetti.
L’art. 602 del codice civile chiarisce che ciò comporta che il testamento sia integralmente scritto dal soggetto, e sia poi datato e sottoscritto. Quindi, per essere validamente formato, è sufficiente che il documento sia stato scritto materialmente dalla persona interessata. La diversa grafia, che lascia intendere che il documento sia stato redatto da terzi, rende nullo il testamento. Parimenti è vietato (art. 589 del codice civile) che due persone redigano il proprio testamento nello stesso documento.
Il testamento è, quindi, un atto personalissimo per la cui validità si devono evitare interferenze di qualunque genere.
Dopo averlo redatto, si dovrà provvedere alla sottoscrizione (è consigliabile firmare con nome e cognome, in forma leggibile; ciò anche se il codice civile, art. 602 II comma, permette che sia sufficiente che si possa identificare con certezza chi lo ha scritto).
La data è un elemento essenziale e deve essere completa, ovvero giorno, mese e anno; valide sono indicazioni che permettano analoga datazione (per esempio: “Natale 1997“). La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’incompletezza della data renda il testamento nullo e, dunque, si deve prestare particolare attenzione in merito.
L’art. 620 del codice civile prevede che chiunque sia in possesso di un testamento olografo deve presentarlo a un notaio per la pubblicazione, non appena ha notizia della morte del soggetto.
Con tale formalità (essenziale in tutta evidenza) il testamento assume la capacità di produrre i propri effetti.
Inutile precisare che affidare il testamento a persona fidata ovvero custodirlo in modo congruo, di modo che possa essere ritrovato dopo la morte, costituisce una cautela rilevante se si vuole che le proprie volontà vengano rispettate.
Proprio per garantire tali effetti, sussistono le forme testamentarie dell’atto ricevuto da notaio, ovvero il testamento pubblico e quello segreto.
Il primo, disciplinato dall’art. 603 del codice civile, è un vero e proprio atto notarile, redatto dal notaio alla presenza di due testimoni; il soggetto interessato dichiara le proprie volontà che vengono scritte dal notaio; poi, di esse viene data lettura alla presenza dei testimoni. Il documento deve contenere il luogo e la data di ricevimento, l’ora della sottoscrizione e le firme di tutti i soggetti intervenuti (notaio, testatore, testimoni). È previsto che il testatore non sappia sottoscrivere, nel qual caso ne viene fatta menzione nel documento.
Nel secondo tipo, invece, il notaio funge da identificatore del soggetto e da depositario, ma non partecipa alla redazione dell’atto. Si tratta di una modalità poco conosciuta, ma che permette di ovviare ad alcune formalità richieste, invece, dal testamento olografo. Quello segreto, infatti, può essere redatto dal testatore, ma anche da un terzo oppure con mezzi meccanici (per esempio, un computer). In tutti i casi in cui non sia autografo, il documento che lo contiene deve essere sottoscritto ogni mezzo foglio.
È possibile anche ovviare alla richiesta di autografia; infatti, al momento di consegnare il testamento al notaio, il testatore dovrà precisare al notaio che lo ha letto e il motivo per cui non ha potuto sottoscriverlo.
Il testamento è segreto perché viene consegnato sigillato al notaio (oppure viene sigillato dal notaio), comunque alla presenza di due testimoni. Viene redatto un atto di ricezione, nel quale vengono riportate tutte le formalità svolte, i soggetti presenti e vengono apposte le sottoscrizioni.
In questi casi, ovviamente, il notaio curerà la pubblicazione del testamento pubblico o l’apertura di quello segreto, non appena avrà notizia della morte del soggetto.
Revocabilità del testamento
Si è detto che ulteriore caratteristica essenziale del testamento è la sua revocabilità. Il testatore, quindi, ha il pieno diritto di “cambiare idea” rispetto alle proprie decisioni e, quindi, di imprimere sorte diversa al patrimonio di cui dispone.
Tale facoltà non può essere oggetto di rinuncia (art. 679 del codice civile); anche un’espressa manifestazione di volontà in tal senso, quindi, non avrebbe effetto alcuno.
È importante sottolineare che non sussiste una “classifica” di importanza dei testamenti e, quindi, per revocare e privare di efficacia un testamento pubblico è sufficiente anche un testamento olografo.
La revocazione può essere espressa o tacita.
È espressa quando è contenuta in un nuovo (valido) testamento oppure quando, in un atto ricevuto da notaio, il soggetto dichiara di revocare un precedente testamento (art. 680 del codice civile).
È tacita quando viene redatto un testamento successivo (anche se in tal caso previa valutazione dell’eventuale compatibilità delle disposizioni contenute) ovvero quando l’atto viene distrutto (art. 684 del codice civile). In questo secondo caso, però, la legge prevede non solo la possibilità di dimostrare o che il testamento venne distrutto da terzi (con esclusione, quindi, della volontà di revoca), ma anche che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo.
È possibile anche revocare la revoca di un testamento (art. 681 del codice civile).
Alla luce di tale casistica e di tali disposizioni, il consiglio è quello di provvedere, nel caso di volontà di revoca, ad assicurarsi che il documento revocato non possa essere in alcun modo ricomposto o ricostruito e, comunque, a esprimere nel successivo testamento un’espressa e perentoria revoca di ogni precedente disposizione.
In sostanza, è consigliabile che l’atto testamentario, nel rispetto della normativa in materia di quota disponibile, sia sempre completo ed esaustivo, evitando la necessità di integrazioni “esterne”.
Indice materie – Diritto – Testamento
Lorenzo Zanella
Avvocato
Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Treviso