Originariamente il diritto rappresentava solo la volontà di un sovrano di far rispettare determinate regole; a tale concezione, fin dall’antichità, si opposero filosofi e teorici del diritto con lo scopo di oggettivare le norme in una visione più ampia. Con l’avvento delle democrazie, tale processo è diventato più sensibile, riconoscendo nel diritto l’espressione di una volontà popolare.
Dal punto di vista teorico, la prima vera concezione del diritto è la teoria del diritto naturale (giusnaturalismo), sostenuta nei secoli da molti importanti esponenti come Cicerone (De legibus), Ulpiano, S. Agostino, S. Tommaso e Grozio, padre del giusnaturalismo moderno.

Statua di Cicerone
Il giusnaturalismo sostiene l’esistenza di principi eterni e immutabili, propri della natura umana (diritto naturale). Il diritto positivo (cioè le leggi realmente in vigore) sarebbe solo la traduzione in norme dei principi del diritto naturale. Il legislatore, per deduzione, ricava dai principi universali le norme particolari.
Principale problema del giusnaturalismo è che non c’è accordo sul diritto naturale; per fare un esempio, le Chiese lo indentificano con i principi dei testi sacri, i laici con principi vari (equità, popolo, Stato ecc.); ovviamente, senza accordo, il diritto naturale perde di oggettività.
Verso la fine del XIX sec., si afferma il positivismo giuridico o giuspositivismo che, contrapponendosi al giusnaturalismo, sostiene che solo il diritto positivo (cioè quello effettivamente in essere) ha senso e boccia il ricorso a ogni diritto naturale: il diritto s’identifica con la norma giuridica (giuspositivismo normativistico) che ha come scopo la pacifica convivenza fra gli individui. Il metodo è induttivo: dalle norme necessarie alla convivenza vengono ricavati i cardini del diritto.
Sia i giuspositivisti sia i giusnaturalisti appartengono al filone realista, che ritiene la realtà un dato indipendente dall’osservatore che si limita a indagarla, senza modificarla.
Contestatori del realismo sono gli scettici, che ritengono che l’osservatore influenzi comunque la realtà, semplicemente interpretandola (una sorta del principio fisico di indeterminazione di Heisenberg applicato al diritto).
Per gli scettici il diritto non è un insieme fisso di norme (giuspositivismo) o di principi eterni (giusnaturalismo), ma qualcosa che modifica la realtà, di fatto il diritto viene “creato”, come nel caso di un giudice che emetta una sentenza giudicata dai più “rivoluzionaria” (concezione dinamica del diritto).
Alla fine del XX sec., il costruttivismo giuridico cerca di mediare le varie posizioni sostenendo che il soggetto osserva la realtà, la modifica, ma ne è modificato, interpreta e crea. Pertanto il giurista (e il giudice) deve essere legato alle norme esistenti, quindi non può essere completamente creativo (visione scettica), ma deve anche, interpretando le norme, aggiungere qualcosa che permetta il progresso sociale e l’evoluzione delle norme stesse. Il diritto è quindi dinamico, un processo (Roberto Zaccaria), una pratica sociale di carattere interpretativo (Ronald Dworkin), in cui le norme e le interpretazioni interagiscono continuamente. Ovviamente tale posizione contiene il rischio che una cattiva o soggettiva interpretazione porti a una confusione normativa che deve essere poi ricorretta.
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