Il processo civile ordinario – tema di discussione in molteplici dibattiti, insieme al “fratello” penale – è spesso oggetto di interventi legislativi, nella speranza (probabilmente inutile) che basti mutare le norme di funzionamento per rendere (verrebbe da dire improvvisamente) efficace, efficiente e celere un rito che, purtroppo, salvo virtuose eccezioni, di tali qualità va carente.
L’analisi dello stretto dato testuale sarà seguito da un breve elenco delle ragioni che possono far durare un processo anche svariati anni.
Il giudizio civile ordinario è attualmente suddiviso in tre modalità distinte, o meglio, in due, di cui una presenta un’altra possibilità di scelta.
La grande bipartizione riguarda le cause in materia civile e quelle in materia di diritto del lavoro; di recente, con una riforma del 2009, si è reso “disponibile” anche nelle materie classiche di civile un procedimento (il cosiddetto procedimento sommario) strutturato sullo schema del rito del lavoro.
Procedimento ordinario
Di esso si occupano gli art. 163 e seguenti del codice di procedura civile (in breve c.p.c. o cpc), facilmente reperibile in Internet.
Per instaurare un giudizio è necessario, in primo luogo, farsi assistere da un avvocato; come abbiamo avuto modo di esporre trattando del processo avanti al giudice di pace, solo avanti a questa autorità è attualmente possibile difendersi in proprio (fanno eccezione gli avvocati che, in quanto tali, possono difendere sé stessi… ma tale beneficio vale solo nel civile!).
Il legale, quindi, deve redigere l’atto introduttivo del processo, denominato “atto di citazione”, nel quale, sostanzialmente, espone i fatti che vengono posti a fondamento della domanda (pensiamo, in un caso di richiesta di risarcimento, all’esposizione delle circostanze in cui è maturato il fatto: di un incidente stradale verrà esposta la dinamica; di un infortunio sul lavoro, le modalità con cui è maturato; di un intervento chirurgico, cosa è stato effettuato) e le ragioni giuridiche che qualificano tali fatti (per esempio, il fatto che il medico è tenuto a svolgere il proprio ruolo conoscendo le leggi mediche del tempo, con conseguente responsabilità). La locuzione atto di citazione deriva dal fatto che caratteristica fondamentale è la presenza, all’interno, dell’invito alla parte, nei cui confronti la richiesta viene svolta, di “presentarsi” avanti al giudice in un giorno determinato, perché il processo si svolga in contraddittorio (ovvero perché essa sia in condizione di difendersi dalla domanda svolta).
L’atto di citazione viene notificato alla cosiddetta controparte e poi viene depositato in Tribunale (mediante la cosiddetta iscrizione a ruolo), al fine di rendere noto anche all’autorità procedente che si è iniziato un giudizio.
Tra il giorno in cui l’atto viene notificato e la data di udienza indicata devono decorrere, nei casi ordinari, almeno novanta giorni.
La parte che instaura un giudizio viene detta anche attore.
La parte che riceve un atto di citazione deve munirsi, a propria volta, di un legale, il quale andrà a predisporre le difese necessarie, in questa fase mediante il deposito della cosiddetta comparsa di costituzione e risposta, nella quale si esporranno le ragioni che si ritiene rendano infondata la domanda, o in punto di fatto (contestando, quindi, la ricorrenza dei fatti esposti) e/o di diritto (ritenendo, quindi, non legalmente fondata la pretesa altrui). La terminologia testimonia che l’atto serve a “costituirsi”, ovvero a rendere noto all’autorità che la parte citata in giudizio intende intervenirvi, e a “rispondere” alla pretesa altrui, nel senso appena esplicitato. La costituzione può avvenire anche all’udienza, ma vi sono alcune “eccezioni” (ovvero ragioni di contrasto alla domanda di controparte) che devono essere esposte mediante costituzione almeno venti giorni prima della udienza. Una di queste è, per esempio, la prescrizione del diritto.
La parte che si costituisce nel giudizio viene denominata convenuto (poiché, come si è detto, è chiamato, convenuto, avanti al giudice).
In questo modo può dirsi iniziato regolarmente il processo. Si tenga presente, sin da ora, che comunque esso è destinato a svolgersi anche se la controparte decide di non presentarsi (ovvero rimane contumace; termine tecnico che individua tale ipotesi). È evidente che non presentarsi equivale a rinunciare a difendersi (anche se non rende, in automatico, fondata la domanda avversaria).
Una delle domande consuete che vengono rivolte all’avvocato è: “devo venire all’udienza?”. La risposta è, in linea di massima, sempre negativa.
Il procedimento civile attualmente in vigore, infatti, ha reso la presenza delle parti meramente facoltativa; ciò dopo che la precedente versione del rito, che prevedeva l’obbligatoria presenza almeno a una udienza (per tentare la conciliazione), ha avuto esiti totalmente insoddisfacenti (e usiamo già un eufemismo). Ora la partecipazione della parti è prevista, ai sensi dell’art. 185 c.p.c., solo se le parti (quindi i loro avvocati) lo chiedano, oppure se il giudice lo ritenga opportuno (ovvero se intravede spiragli di accordo). Altrimenti il processo è un “affare” tra magistrati e avvocati.
Inizia, a questo punto, la fase di cosiddetta trattazione del giudizio. Nonostante il nuovo art. 183 c.p.c. volesse concentrare in una udienza tutte le attività preliminari, la realtà è che di regola almeno una delle parti del processo chiede di essere autorizzata a depositare le memorie di precisazione delle domande e di formulazione delle prove (previste dall’art. 183 VI comma c.p.c.). Questo determina la concessione di tre termini consecutivi, i primi due di trenta giorni, il terzo di venti, per permettere alle parti di precisare le domande (e, quindi, di correggere il tiro rispetto a eventuali questioni poste dagli avversari), per poi passare a formulare le proprie prove, a sostegno della richieste, e infine le prove contrarie (per smentire quelle altrui).
Terminati questi adempimenti, il tema del processo è fissato e non può subire mutamenti.
Le prove tipiche in un processo sono i testimoni, ovvero persone fisiche che vengono sentire su circostanze ritenute utili, e la consulenza tecnica d’ufficio (in sigla, comune tra legali, CTU), ovvero la nomina di un esperto che, in forza delle proprie conoscenze, cerca di meglio chiarire al giudice, con il vincolo della verità, aspetti tecnici di materie diverse da quella giuridica.
È impossibile esemplificare il tema di simili prove. Come esempio di testimonianza, si potrà pensare ai testimoni oculari di un incidente stradale, i quali verranno a riferire come erano posizionati i veicoli, oppure, in materia di usucapione, da quando un determinato muro è stato eretto in una determinata posizione. Per quanto attiene la consulenza tecnica, rimanendo agli esempi citati, l’esperto potrà essere chiamato a svolgere una perizia cinematica (per ricostruire l’accadimento e determinarne le cause) oppure, nel secondo caso, ad accertare il confine tra le parti e, poi, sulla base dei materiali, accertare la vetustà del muro.
Importante sottolineare che il CTU è supportato, nella sua attività, dai cosiddetti consulenti tecnici di parte (CTP) ovvero professionisti della materia oggetto di perizia, nominati dalle parti.
Terminata la fase istruttoria (che di regola è una combinazione dei vari strumenti), il procedimento volge alla sua fase finale, giungendo verso la sentenza.
Il giudice, quindi, quando ritiene di aver assunto tutte le prove che gli sono utili e necessarie per decidere, fissa un’udienza per la “precisazione delle conclusioni”, nella quale, dunque, le parti chiariscono quali sono le loro richieste finali. All’esito di tale udienza, vengono concessi due termini, uno di sessanta giorni per il deposito della cosiddetta comparsa conclusionale e uno successivo di venti giorni, per il deposito della memoria di replica (ovvero la risposta alla conclusionale avversaria).
Poi il giudizio è in definizione e, quindi, non rimane che attendere la sentenza del Tribunale, la quale conterrà la motivazione e il dispositivo. Il secondo altro non è che la “decisione” ovvero cosa il giudice dispone per la causa (pensiamo a un … Condanna Tizio a pagare a Caio la somma di…); la motivazione, invece, contiene le ragioni di tale decisione.

Il significato giuridico di processo deriva del latino medievale (ellissi di processus iudici che significa “svolgimento del giudizio”)
Processo del lavoro
La speciale tutela per il lavoro, logica conseguenza dell’art. 1 della Costituzione, ha determinato la previsione di un rito “tendenzialmente” più rapido in tale materia.
La differenza fondamentale con il rito ordinario è derivante dal fatto che nell’atto introduttivo del giudizio (ricorso) la parte deve già esporre tutte le proprie difese e formulare le istanze istruttorie; la stessa cosa dovrà fare anche il soggetto chiamato in giudizio.
In pratica, evitando la fase di precisazione delle domande e di formulazione delle istanze istruttorie, si è cercato di rendere più celere il giudizio, obbligando le parti a esporre, sin da subito, tutti i propri argomenti.
Il giudizio, come anticipato, si introduce con un ricorso; in pratica, premessi i fatti ed esposte le ragioni giuridiche, si chiede al Tribunale di fissare un’udienza per l’inizio del processo. Tale provvedimento, insieme al ricorso, andrà notificato alla controparte.
In ragione delle modalità di instaurazione, la parte che introduce il procedimento è detta ricorrente, mentre quella che viene chiamata in giudizio è detta resistente.
I principi sono analoghi a quelli del rito ordinario, anche se al giudice spettano poteri molto più ampi, per un’eventuale istruttoria anche d’ufficio. La tutela del lavoro, quindi, giustifica che il giudice possa intervenire, anche, magari, a ovviare a deficienze della difesa.
Il resistente può costituirsi anche all’udienza fissata, ma, se non vuole incorrere in decadenze, lo deve fare almeno dieci giorni prima.
Nella prima udienza, di regola, viene discusso il processo e il giudice decide quali prove deve assumere. Solo in casi eccezionali può consentire lo scambio di ulteriori memorie (ciò che nel rito ordinario è un diritto, nel rito del lavoro è dunque soggetto alla valutazione del giudice).
Molto entusiasticamente, il codice prevedeva che, disposta l’assunzione di mezzi di prova, il giudice procedesse subito al loro esperimento. La realtà ovviamente non è questa e, di regola, viene fissata un’udienza apposita.
Quando le prove sono esaurite (e anche in queste controversi vi può essere una CTU), viene fissata un’udienza per la discussione orale della controversia e per la precisazione delle conclusioni, di regola preceduta dal deposito di “note difensive” (sostanzialmente analoghe alla comparsa conclusionale) entro dieci giorni prima.
Il rito speciale del lavoro, poi, prevede che venga data lettura del dispositivo della sentenza (in pratica il giudice subito comunica il sunto della propria decisione), provvedendo, successivamente, a esporre compiutamente le ragioni, depositando, quindi, la motivazione.
Considerazioni finali
I processi durano molto. Sarebbe presuntuoso volerne spiegare le ragioni; ovviamente incidono aspetti di organizzazione funzionale del servizio (impiegati, magistrati, sedi ecc.).
Sotto l’aspetto tecnico, gli snodi critici sono rappresentati certamente dalla fase istruttoria e dalla fase decisionale.
Giunti alla prima udienza, prima che si inizi l’assunzione delle prove, a seconda del carico del magistrato, possono passare molti mesi.
Vi è sempre, poi, il rischio che le udienze vengano rinviate, a volte per assenza dei magistrati, a volte perché i testimoni, convocati, non possono partecipare (testimoniare è un obbligo, ma vi è anche la possibilità di giustificare una propria assenza, per impegni pregressi); ultimamente anche l’astensione degli avvocati (strumento di pressione sociale analogo allo sciopero per i dipendenti) determina slittamenti delle udienze.
Il giudice, poi, non ha un termine obbligatorio per il deposito della sentenza. A seconda del carico di lavoro, della celerità, dell’efficienza di ciascuno, tra il deposito di una memoria di replica (ultimo scritto difensivo) e la pubblicazione della sentenza possono passare da qualche mese a qualche anno.
Anche per tale ragione, sarebbe preferibile evitare il giudizio (ovviamente quando possibile) e in tal senso, per le ragioni che si diranno, è utile valutare anche l’ipotesi della mediazione civile.
Processo civile telematico
Capita sempre più spesso di sentir parlare di processo civile telematico. Con questa espressione si fa riferimento a tutta una serie di attività processuali, precedentemente realizzate soltanto in forma cartacea, che possono essere compiute per via telematica (ovvero da remoto); per effettuare tali attività è quindi necessario avere a disposizione alcuni strumenti informatici.
Sostanzialmente, con processo telematico si fa riferimento a:
- attività di comunicazione telematica con gli uffici giudiziari
- consultazione online del fascicolo processuale
- pagamento telematico del contributo unificato.
Affinché il deposito degli atti e dei documenti processuali possa essere ritenuto valido è necessario seguire determinate regole tecniche, regole che vengono aggiornate di volta in volta tramite decreto ministeriale.
Gli strumenti indispensabili alla gestione di un processo civile telematico sono la PEC (posta elettronica certificata), la firma digitale (un certificato che consente di sottoscrivere digitalmente un documento e, conseguentemente, di assumerne la paternità), un apposito software per la redazione degli atti e un punto di accesso (PDA) per la consultazione e la trasmissione telematica degli atti.
Indice materie – Diritto – Processo civile ordinario
Lorenzo Zanella
Avvocato
Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Treviso