Mediazione è un termine che può assumere diversi significati a seconda dei vari ambiti nel quale viene utilizzato. Il codice civile, nell’ambito della parte dedicata ai singoli contratti, individua le caratteristiche della mediazione (nell’ambito della quale la più nota è, certamente, quella in ambito immobiliare), con la particolarità che, anziché definire il contratto, l’art. 1754 individua il mediatore, identificandolo con la persona che “mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare”, con la caratteristica di non essere in rapporto di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con alcuna di tali parti.
La norma, quindi, individua la figura, esplicitandone il ruolo (mettere in relazione) e chiarendo la sua posizione di imparzialità rispetto alle parti che pone in contatto.
Questa seconda caratteristica serve, anzi tutto, a distinguere la figura del mediatore da quelle del rappresentante e del mandatario, come pure, per certi aspetti, da quella dell’agente; tutti soggetti che, a vario titolo, operano, soprattutto, nell’interesse di una parte.
La precisa determinazione, invece, del significato di “mettere in relazione” assume fondamentale rilievo; tale attività, infatti, permette a un soggetto di qualificarsi, rispetto ai due contraenti, come mediatore, con la conseguenza (art. 1755 del codice civile) che sorge in suo favore il diritto alla provvigione da ciascuna delle parti “se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
È vero che il diritto alla mediazione sorge quando l’affare è concluso “per effetto” dell’intervento del mediatore, ma secondo la giurisprudenza il requisito sussiste, in sostanza, anche se il mediatore si è limitato al “ritrovamento e all’indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente da un intervento nelle varie fasi delle trattative, sino alla stipulazione del contratto” (Cass. Civ. 392/1997); senza che valga, a far venire meno tale diritto, l’eventuale intervento di terzi soggetti (Cass. Civ. 15014/2000).
Il principio a fondamento è quello della condicio sine qua non: è pacifico che, per poter far andare in porto un affare, le parti debbano essere state messe in relazione; senza tale intervento, le parti non si conoscerebbero e, quindi, non potrebbero neppure contrattare; colui che svolge tale attività, per ciò stesso, è causa dell’affare concluso e, come tale, ha diritto a essere retribuito.
Si comprende, quindi, come l’attività di “messa in relazione” sia sostanzialmente quasi sempre causa (magari anche insieme ad altri elementi) dell’affare, il quale, dunque, ne costituisce un effetto. Di qui la fusione tra i due aspetti.
In sostanza (e salva, ovviamente, l’analisi specifica di ogni circostanza) il diritto alla provvigione è escluso solamente nell’ipotesi in cui le trattative, avviatesi grazie all’intervento del mediatore, cessino in modo totale, per riprendere, successivamente, su basi diverse e autonome.
Deve ribadirsi, invece, che quando il contratto si conclude (e subito si dirà del concetto), anche il solo fatto di aver fatto conoscere i soggetti (ovviamente quali interessati ad un affare comune) fa sorgere il diritto del mediatore.

Il termine “mediatore” deriva dal latino tardo mediator -oris, derivato di mediare «interporsi»
Mediazione: obblighi e diritti
Il principale contenzioso, in materia di mediazione, nasce proprio dalla mancata conoscenza degli aspetti sopra esposti, poiché molti ritengono che l’attività utile a far sorgere il diritto al compenso sia diversa dalla “semplice” presentazione tra le parti.
L’oggetto della attività del mediatore è vasto; se è vero che, sentendo discorrere di mediatore, il pensiero va subito alla mediazione nell’ambito dei contratti di compravendita di case e altri immobili, è però importante precisare che, in realtà, la mediazione si esplica in qualsiasi campo, dovendosi intendere per affare “ogni operazione di contenuto economico che si risolva in utilità di carattere patrimoniale” (Cass. Civ. 330/1977).
Molti avranno, per esempio, fatto esperienza dell’attività mediatoria in ambito di locazione di immobile (sia a lungo periodo, sia per la settimana di vacanza).
Gli obblighi del mediatore sono, sostanzialmente, quelli di informare correttamente ciascuna parte delle circostanze che possono influire sulla conclusione dell’affare, in merito a valutazione dello stesso e sicurezza (art. 1759 del codice civile). Tale principio va coordinato anche con la disposizione dell’art. 1757 del codice civile III comma, che prevede che la provvigione spetti anche quando il contratto sia annullabile o rescindibile, quando il mediatore non ne conosceva la causa.
Il mediatore è, a tutti gli effetti, un operatore professionale; la diligenza a lui richiesta, quindi, è specifica del settore in cui opera, nell’ambito del quale, dunque, svolge anche una funzione di protezione del proprio interlocutore.
Egli è chiamato a informare i propri interlocutori di ogni circostanza che possa influire sulla conclusione del contratto, ma anche a fare una valutazione della “tenuta giuridica” dell’accordo, poiché, qualora il contratto venga annullato, e fosse suo obbligo conoscerne le cause, perderà il diritto alla provvigione.
I diritti del mediatore sono, invece, quelli al rimborso delle spese, indipendentemente dalla conclusione dell’affare, e, ovviamente, il compenso (provvigione), qualora, invece, l’affare sia andato in porto. Se vi sono stati più mediatori, la provvigione è comunque unica (art. 1758 del codice civile).
La determinazione del compenso avviene, in primo luogo, in forza del patto concluso tra le parti, dovendosi qui intendere, però, il mediatore e i soggetti per i quali rende l’attività. Dunque, all’atto di intraprendere un rapporto professionale con un mediatore, è sempre possibile pattuire il compenso dovuto.
Secondarie, quali fonti di determinazione del compenso, sono le tariffe professionali (ove esistenti) e gli usi; questi ultimi molto importanti, perché in materia rilevati dalle Camere di Commercio dei luoghi ove l’affare viene concluso. Se non è possibile determinare in alcuno di questi modi la provvigione, sarà il giudice a dover stabilire l’importo.
Prescrizione del diritto alla provvigione
Un’ultima importante considerazione è legata alla prescrizione del diritto alla provvigione. Ai sensi dell’art. 2950 del codice civile, tale diritto si prescrive in un anno, ovviamente dal momento in cui l’affare è concluso, poiché è tale evento che rende dovuto il pagamento.
Risulta importante, allora, ricordare che, per esempio in materia di compravendita immobiliare, il diritto al compenso sorge dal momento della sottoscrizione del contratto preliminare, che di regola avviene per scrittura privata (!), e non occorre attendere il rogito notarile. Secondo la giurisprudenza, infatti, il contratto preliminare è, a tutti gli effetti, un “affare” nel senso sopra indicato.
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Lorenzo Zanella
Avvocato
Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Treviso