Il termine eredità viene utilizzato, nel gergo comune, sostanzialmente come sinonimo di successione nella proprietà dei beni di un soggetto deceduto. In realtà. Il termine individua l’insieme dei beni che un soggetto, al suo decesso, lascia in favore di coloro che sono chiamati a sostituirsi a lui nella titolarità. È importante rilevare, sin da subito, che esiste anche la possibilità che l’eredità sia passiva, qualora il patrimonio sia costituito da debiti e non da attività.
Distingueremo, quindi, eredità attive e passive, con l’evidente possibilità, peraltro, che crediti e debiti concorrano. Chiarito il concetto di eredità, si comprende come la terminologia esatta, per il fenomeno nel suo complesso, sia successione per causa di morte (da non confondere con l’adempimento della dichiarazione di successione). Con tale locuzione andremo a individuare tutte le norme che servono a disciplinare i vari aspetti legali che riguardano la situazione successiva al decesso di un soggetto, in specie relativamente al suo patrimonio, individuandone i nuovi titolari, ovvero i soggetti che saranno chiamati a farsi carico dei debiti che egli lascia. In effetti, nel codice civile, il libro secondo (art. 456 e seguenti) si intitola “delle successioni”.
Un’ulteriore, consueta, espressione utilizzata è de cuius, che altro non è che un’espressione contratta della locuzione di origine latina is de cuius hereditate agitur, la cui traduzione letterale può essere resa come “colui della cui eredità si tratta”.
Nei testi di diritto e nelle pubblicazioni specifiche, dunque, l’espressione indica il soggetto deceduto che lascia i propri beni.
Per orientarsi nel diritto ereditario italiano, inoltre, è importante distinguere il concetto di erede (che è colui che succede al deceduto in tutti i suoi beni o, comunque, in una quota di essi) dal legatario (che invece è soggetto che succede in un singolo rapporto giuridico, senza, però, divenire erede).
Nelle categorie di eredi, quella più rilevante (e più spesso citata) è quella dei cosiddetti eredi legittimari (da non confondere con i legittimi) (per approfondire: Eredi legittimi e legittimari)
Successioni: la normativa
La normativa in materia di successioni è contenuta nel codice civile agli artt. 456 e seguenti e si distingue in cinque titoli (vi compare anche la donazione che, però, non è propriamente riconducibile alla successione per causa di morte).
Il primo titolo è relativo alle “disposizioni generali sulle successioni” e costituisce il nucleo dei principi essenziali, applicabili alle due forme di successione (delle quali ci occuperemo distintamente) ovvero quella legittima e quella testamentaria.
La successione si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del soggetto deceduto e solamente quando la morte è avvenuta. Quest’ultima affermazione potrebbe sembrare banale ma, nella realtà, è importante perché serve a giustificare l’affermazione per cui “non c’è eredità sino a quando un soggetto non è deceduto” e chiarisce il perché rinunciare a diritti sull’eredità, prima che questa vi sia, non abbia alcun effetto.
L’art. 457 del codice civile chiarisce che vi sono, come detto, due forme di successione, per legge e per testamento, e che possono anche concorrere (con il testamento si può anche disporre di una sola parte dei propri beni), ma comunque non si possono ledere i diritti dei legittimari (soggetti che hanno una quota di eredità riservata).
Al di fuori di una specifica ipotesi (ovvero i cosiddetti Patti di famiglia, previsti dall’art. 768-bis del codice civile) un soggetto non può accordarsi con altri sulla sorte del proprio patrimonio dopo la morte. Ne può disporre per testamento; può, ovviamente, cedere i propri beni o donarli, ma non può accordarsi con altri per il periodo successivo alla propria morte.
Destinazione dell’eredità
L’eredità è destinata, in tutta evidenza, a una persona fisica (o anche a una persona giuridica in caso di testamento) e, quindi, la legge prevede casi di esclusione di tale facoltà, per esempio la cosiddetta Indegnità (463 del codice civile); tra tutti valga ricordare l’ipotesi di cui abbia ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta. Sono tristemente noti casi di cronaca di soggetti che uccidono i genitori per ottenerne l’eredità; un tale effetto è, appunto, vietato.
L’eredità deve essere accettata. Ciò può avvenire “puramente e semplicemente” o con “beneficio di inventario”; essa può essere espressa o tacita.
Per comprendere il concetto di “puramente e semplicemente”, vale descrivere cosa sia l’accettazione con “beneficio di inventario”, di modo da comprendere il primo concetto per esclusione.
Mediante l’accettazione con beneficio di inventario, il chiamato all’eredità ha il dovere di far eseguire, da soggetto idoneo deputato (di regola un notaio), un’elencazione dettagliata dei beni che il de cuius ha lasciato, come pure dei debiti che, contratti, non sono stati ancora onorati.
Il beneficio che egli trae da questa soluzione è che, qualora il valore dei debiti superi quello dei crediti (e quindi anche dei beni ereditati), egli sarà chiamato a rispondere solamente coi beni che ha ereditato: in sostanza il patrimonio dell’erede non sarà intaccato, perché i debiti saranno pagati solo col “denaro” del soggetto deceduto.
Trattasi di un’importante disposizione che ciascuno deve tenere in considerazione, qualora sia a conoscenza dell’esistenza di debiti in un’eredità cui sia chiamato.
Parimenti importante è sapere che, ai sensi dell’art. 485 del codice civile, quando un soggetto si trovi nel possesso dei beni ereditari, diventerà erede qualora non dichiari di rinunciare all’eredità ovvero non esegua l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione.
Tanto detto, ben si comprende come accettare “puramente e semplicemente” significhi esporsi al rischio di dover pagare eventuali debiti oltre quanto ricevuto.
La procedura del beneficio di inventario non è sempre agevole e conviene farsi assistere da persone idonee; le spese sono a carico dell’eredità.
In ogni caso trattasi di opzione da tenere in considerazione, qualora si abbia ragione di ritenere che sussistano debiti.
Pacifico, comunque, che nella certezza di debiti di gran lunga superiori ai beni presenti nell’eredità, la vera alternativa è quella di rinunciare all’eredità, evitando, dunque, il problema.

Il termine eredità individua l’insieme dei beni che un soggetto, al suo decesso, lascia in favore di coloro che sono chiamati a sostituirsi a lui nella titolarità
La rinuncia all’eredità
La rinuncia è disciplinata dall’art. 519 e seguenti del codice civile. Vedasi l’articolo specifico per i dettagli.
L’accettazione dell’eredità
Avevamo lasciato in sospeso il concetto dell’accettazione.
Può essere espressa, mediante dichiarazione in atto pubblico o scrittura privata, ma anche quando si utilizza espressamente il titolo di erede; anch’essa deve essere priva di termine o condizione e non può essere parziale.
Molto rilevante, nel contenzioso giudiziario, è l’accettazione tacita. La legge (art. 476 del codice civile) prevede che venga considerato erede colui che compie un atto che presuppone necessariamente la qualità e che non potrebbe compiere se non nella qualità di erede.
Il tema è molto rilevante perché, non essendo tassativamente previsto il comportamento, la valutazione è lasciata al Giudice.
È importante, quindi, prima di compiere atti relativi a beni di un soggetto deceduto, valutare se ciò non possa comportare un’accettazione di eredità (ovviamente se ci troviamo tra i chiamati all’eredità).
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni, decorsi i quali, all’eredità viene chiamato altro soggetto, secondo l’ordine che la legge o il testamento prescriva.
L’art. 481 del codice civile prevede la cosiddetta actio interrogatoria: un soggetto chiamato in subordine ad altro all’eredità, può chiedere al giudice che venga fissato un termine, al primo, perché egli decida se accettare o no l’eredità. Ciò per evitare un decorso temporale particolarmente lungo che magari lede anche gli interessi della massa ereditaria.
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Lorenzo Zanella
Avvocato
Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Treviso