Il glicogeno è un polisaccaride (ricordiamo che i polisaccaridi sono composti chimici organici che appartengono alla classe dei glicidi o carboidrati, che dir si voglia), formato da una lunga catena di molecole di glucosio, il monosaccaride più diffuso in natura; il glucosio presente molte similitudini con l’amido, un altro importante polisaccaride, anche si vi sono differenze sia strutturali sia biologiche. Nell’essere umano, la funzione del glicogeno è essenzialmente quella di riserva energetica glicidica. Esso si trova prevalentemente nel fegato (rappresenta circa un 10% del peso di quest’organo) e nei muscoli scheletrici. Nel fegato si hanno catene più lunghe (30.000 molecole di glucosio, quasi cento volte il numero di molecole che si trovano nella farina), nei muscoli più corte (circa 6.000 molecole) e più leggere. La quantità di glicogeno presente nei muscoli è abbastanza costante, mentre la quantità di quello presente nel fegato è più variabile. A seconda delle richieste metaboliche, il fegato agisce nei confronti del glucosio depositandolo (in questo caso si parla di glicogenosintesi, ovvero conversione di glucosio in glicogeno) oppure mobilitandolo (si parla allora di glicogenolisi, cioè degradazione di molecole di glicogeno fino a ottenere la formazione di glucosio). Le riserve di glucosio che si trovano nel fegato vengono usate per il rifornimento dei vari tessuti, mentre quelle che si trovano nei muscoli scheletrici vengono usate soltanto localmente. Anche i reni sono in grado di accumulare glicogeno e rilasciarlo nel circolo sanguigno, ma da un punto di vista quantitativo, il glicogeno renale è meno importante di quello epatico. Altre piccolo quantità si trovano nel cuore e nel tessuto adiposo.
Utilizzo delle scorte di glicogeno
Durante alcuni sforzi muscolari (per esempio una corsa lenta) i muscoli utilizzano la loro riserva di glicogeno. Contemporaneamente il fegato rilascia una parte del suo, parte che viene trasformata in glucosio che passa nel sangue e viene utilizzato sia come energia diretta che come fonte per la ricostruzione del glicogeno muscolare.
Sangue, muscoli e fegato si scambiano le fonti energetiche, convertendole e riconvertendole a seconda delle necessità e delle possibilità dei vari processi coinvolti.
La struttura del glicogeno è visibile nell’immagine sottostante.
Glicogeno e attività sportiva
Come tutti sanno, per gli sportivi è fondamentale avere a disposizione riserve di carboidrati da utilizzare negli sforzi di una certa intensità.
I carboidrati che sono utilizzati durante l’attività fisica provengono:
- dal glucosio circolante nel sangue
- dal glicogeno immagazzinato nei muscoli
- dal glicogeno immagazzinato nel fegato.
La quantità di glucosio relativa al primo punto è molto modesta e, in quanto tale, non potrebbe garantire sforzi prolungati. È per questo motivo che il corpo immagazzina energia sotto forma di glicogeno.
Il meccanismo di regolazione delle scorte di glicogeno è modificato dall’insulina, (ormone prodotto dal pancreas); è quindi un errore pensare che l’insulina agisca solo sul glucosio circolante nel sangue (glicemia); infatti, la secrezione di insulina aumenta la formazione di glicogeno a spese del glucosio, abbassando così il glucosio presente nel sangue (azione ipoglicemizzante).
Va detto, per amor di precisione che il livello di glucosio è influenzato anche da altri ormoni (come il glucagone) che agiscono in controtendenza all’insulina. Il processo è descritto nella sua completezza nell’articolo Perché si ingrassa.
Cosa accade quando le riserve di glicogeno sono al massimo? Nel “magazzino” non c’è più posto e si deve immagazzinare l’energia in altra forma (fra l’altro più compatta perché richiede meno acqua): il grasso. Ecco che allora l’aziona dell’insulina diventa negativa perché da agente energetico diventa un agente “ingrassante”: il surplus di carboidrati viene trasformato in grassi.

Durante alcuni sforzi muscolari come per esempio una corsa lenta i muscoli utilizzano la loro riserva di glicogeno
Il ruolo dell’insulina e l’errore di Barry Sears
La dieta a zona di Sears ha innescato una grossa confusione sul reale ruolo dell’insulina sulla nostra salute. Un’evoluzione non corretta dei ragionamenti di Sears può portare a demonizzare questo ormone, cosa di principio assurda perché ogni sostanza che è presente nel nostro metabolismo ha una funzione positiva.
È abbastanza grave per un medico, ma ha avuto la fortuna di aver offerto la sua zona in ambienti divulgativi e non scientifici.
L’errore di Sears consiste nel non aver compreso che l’azione dell’insulina è seriale: prima riempie le scorte di glicogeno e poi passa alla trasformazione in grasso. Solo in un sedentario in cui le scorte sono già al massimo, la prima fase non esiste e il ragionamento di Sears è corretto.
Del resto, in tutti i libri di fisiologia dello sport si spiega il processo, tant’è che per un recupero veloce si consigliano cibi ad alto indice glicemico (mentre se le scorte sono già al massimo è meglio limitare l’azione dell’insulina e usare cibi a basso indice glicemico). Quindi:
- nei giorni precedenti una gara: assunzione di carboidrati ad alto indice glicemico (dolci, miele, zucchero, pasta ecc.), ma senza esagerare perché altrimenti il surplus si trasforma in grasso. Indicazioni generiche sono grossolane e poco scientifiche. Da un discorso più preciso si scopre che il carico glicidico deve esserci, ma deve essere comunque modesto.
- Ultimo pasto prima della gara: una dose normale di carboidrati che ripristina quella persa durante le ore dall’ultimo pranzo.
- Appena prima della gara: nessun carboidrato, poiché si suppone che l’atleta sia riposato e le scorte ormai al massimo. Scatterebbe l’azione negativa dell’insulina.
- Durante la prova: assunzione di carboidrati per prove che superano l’ora per ripristinare il glicogeno perso.
- Subito dopo la prova: meglio carboidrati ad alto indice glicemico perché il recupero avviene prima.
- A regime: meglio carboidrati a basso indice glicemico perché le scorte si sono ormai ripristinate.
Per approfondimenti: Carboidrati e corsa.
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