La Maja desnuda è un dipinto a olio su tela di Francisco Goya. La commissione per quest’opera arrivò intorno al 1800 dal nobile politico spagnolo Manuel de Godoy, che possdeva una ricca collezione di nudi femminili. Goya creò successivamente un ritratto della stessa donna in posa identica, ma vestita, conosciuta oggi come Maja vestida, esposta al Prado di Madrid accanto alla Maja desnuda. Il soggetto è identificato come una maja in base al suo costume nella versione vestita: maja in spagnolo significa “bella, attraente”, in particolare riferito a una donna o a un uomo del popolo. L’identità della modella è tuttavia sconosciuta. È stato ipotizzato che fosse la giovane amante di Godoy Pepita Tudó, ma anche María Cayetana, duchessa d’Alba, con la quale si dice che Goya avesse avuto una relazione sentimentale: per nessuna delle due ipotesi si hanno prove sufficienti e il soggetto dei dipinti potrebbe essere frutto di una commistione fra queste due donne.

La Maja desnuda di Goya fu a lungo relegata a stanze riservate e nascoste delle collezioni reali
In Spagna i soggetti di nudo erano vietati dalle autorità ecclesiastiche, anche nelle vesti mitologiche, che di solito in altri Paesi li rendevano accettabili, perciò Goya sconvolse la cultura cattolica del suo Paese con un nudo dallo sguardo diretto e spudorato verso lo spettatore, grazie alla protezione di un committente potente. Questo creò un precedente che contribuì ad allargare l’orizzonte artistico spagnolo. Prima di Goya, solo Velázquez aveva dipinto un nudo, ma in ambito mitologico e soprattutto di spalle, nascondendo gli elementi più sensibili (Venere allo specchio).
La Maja desnuda è anche una delle prime opere d’arte occidentali a rappresentare i peli pubici di una donna nuda senza evidenti connotazioni negative come nelle immagini di prostitute, dove solitamente comparivano. Non solo: Goya dipinge anche il dettaglio, di solito tralasciato, della linea che collega il pube all’ombelico. La donna ha uno sguardo malizioso e una posa disinvolta e soddisfatta che creano consapevolmente turbamento nell’osservatore. I suoi occhi sono vivi e luminosi, magnetici, i capelli arricciati in una palpabile morbidezza e il corpo animato da luce propria. La luminosità del corpo è accentuata dal contrasto con il buio del resto dell’ambiente e con il verde vellutato del divano, reso con grande virtuosismo pittorico.
Godoy conservò il dipinto per sei anni prima che fosse scoperto dall’Inquisizione spagnola insieme al resto della sua collezione. L’Inquisizione portò il nobile davanti a un tribunale e lo costrinse a rivelare i nomi degli artisti che avevano realizzato le opere d’arte considerate indecenti. La controversia era in realtà stimolata da un motivo politico, la rimozione di Godoy dalla carica di Primo Ministro. Goya fu chiamato in causa con l’accusa di depravazione morale, a cui sfuggì con la semplice giustificazione che stava solo emulando i capolavori di Tiziano e Velázquez, molto ammirati in Spagna. La Venere allo specchio, infatti, era nella collezione del re stesso.
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