I macchiaioli furono un gruppo di artisti toscani attivi nella seconda metà dell’Ottocento, che si opponevano all’utilizzo accademico del disegno e della forma perché la pittura doveva essere “impressione del vero” (così affermò il pittore Giovanni Fattori).
Il verismo che si era andato affermando in Europa, in Italia, a partire dalla seconda metà dell’800, venne adattato e nacque la tecnica della “macchia”, che utilizzava accostamenti molto netti tra ombre e luci; questo contrasto era reso grazie al chiaroscuro e all’impiego di colori dalle tonalità diverse accostati e spesso semisovrapposti. Le forme emergono non dal disegno ma dalla luce e da questi accostamenti di colore: l’effetto, secondo i macchiaioli, è di una maggiore immediatezza della rappresentazione.

Busto di Giovanni Costa, uno degli ispiratori del naturalismo dei macchiaioli
La Toscana fu la culla di questo movimento e Adriano Cecioni è considerato il padre della sua teorica.
Giovanni Fattori, pittore e incisore, venne incoraggiato dal collega Giovanni Costa a partecipare al bando per la celebrazione della Seconda guerra d’indipendenza. Il quadro che presentò (Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta; alcuni preferiscono nel titolo la locuzione “alla battaglia”) è considerato il primo quadro di storia contemporanea. La pittura di Fattori cura molto l’equilibrio tra le parti illuminate dalla luce del sole e quelle in ombra. Egli ricorre al chiaroscuro per conciliare queste contrapposizioni di colori ricorrenti in tutti i suoi dipinti.
Silvestro Lega, altro importante maestro dei macchiaioli, stabilì a Firenze un luogo d’incontro per il movimento, lo studio presso cui lavorava e dove dipinse, tra gli altri, Il pergolato e Il canto dello stornello.
Telemaco Signorini contribuì a rendere attivo lo scambio tra i macchiaioli frequentando spesso lo studio che Lega aveva eletto come luogo d’incontro. Egli fu uno tra i primi a realizzare un dipinto en plein air, cioè osservando direttamente il paesaggio.
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