Il Discobolo di Mirone (“lanciatore di disco”, dal greco Diskobólos) è una scultura greca realizzata dallo scultore Mirone all’inizio del periodo classico, intorno al 460–450 a.C. La scultura raffigura un giovane atleta maschio che lancia un disco: l’atleta era un soggetto frequentemente rappresentato nella scultura classica, perché incarnava l’ideale di bellezza fisica che per la cultura greca coincideva con una bellezza spirituale. L’originario bronzo greco è andato perduto ma l’opera è conosciuta attraverso numerose copie romane, di cui la Lancellotti viene considerata la migliore. Fu ritrovata nel 1781 presso una proprietà romana della famiglia Massimo, la Villa Palombara sull’Esquilino.
L’atleta è raffigurato nel momento esatto in cui sta per scagliare il disco, rannicchiandosi per raccogliere la forza prima di sprigionarla nello slancio: il momento così catturato nella statua è un esempio di ritmo, armonia ed equilibrio. A Mirone viene spesso attribuito il merito di essere stato il primo scultore a padroneggiare questo stile, poi padroneggiato da Policleto: uno stile capace di creare un corpo perfettamente proporzionato e simmetrico. Nel discobolo, tuttavia, si nota la mancanza di tensione nel torso, nonostante gli arti siano protesi verso l’esterno.
Una caratteristica delle statue del periodo classico è l’assenza di emozioni sui volti, e il discobolo di Mirone non fa eccezione: sul viso si nota solo un accenno di concentrazione.

Esistono numerose altre copie del Discobolo oltre alla più celebre Lancellotti, con caratteristiche leggermente diverse a seconda del periodo di realizzazione
L’energia potenziale espressa nella posa avvolta strettamente di questa scultura, che esprime il momento di stasi appena prima del rilascio, è un esempio del progresso della scultura classica dal periodo arcaico.
A causa della sua fama, il discobolo fu oggetto delle brame di altri Paesi più volte: fu oggetto delle spoliazioni napoleoniche durante la campagna d’Italia (fine Ottocento) e tornò in patria solo dopo il Congresso di Vienna, grazie all’opera di mediazione dello scultore Antonio Canova, e poi fu comprata da Hitler, che vi vedeva incarnato l’ideale di perfezione ariana e la tenne in Germania per dieci anni, fino alla fine della Seconda guerra mondiale.
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