La capacità di calcolo (di analisi) di uno scacchista è spesso vista come la forma più alta di creatività. Trovare una combinazione sorprendente è il sogno di ogni giocatore, il suggello a un gioco magistrale. Ovviamente non sempre è così, anzi, il più delle volte una partita è risolta da un errore grossolano dell’avversario, da lente manovre posizionali, da finali giocati un po’ meglio da una delle due parti ecc.
Molti fanno risalire a un libro di Kotov (Pensa come un grande maestro, 1971) il primo tentativo di istruire lo scacchista a calcolare meglio. Non sono molto d’accordo perché l’analisi di Kotov si limita a irridere lo scacchista dilettante che non sa calcolare bene, passando poi a metodi didattici dove praticamente si dà già per scontata la capacità di calcolo e non si cerca di razionalizzare l’approccio. Spiega solo cosa accade nella mente di un Grande Maestro, troppe volte con un’enfasi eccessiva, mirante più a stupire che a spiegare. Uno dei motivi che mi hanno spinto a lasciare gli scacchi per circa dieci anni è stato proprio il libro di Kotov.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso, la scuola di Dvoretzky ha razionalizzato le “intuizioni” di Kotov e degli scacchisti precedenti; ma è stato solo con l’avvento dei software di ultima generazione (da Fritz 8 in avanti) che è stato possibile fare un ulteriore passo. Infatti, la comprensione che molte combinazioni del passato erano errate ha ridimensionato le analisi alla Kotov a favore di metodi di analisi dai risultati più modesti, ma più sicuri ed efficaci.
Abbiamo imparato che l’abilità di calcolo è molto facilitata nel forte giocatore dal fatto che per lui è naturale scartare come non buone molte mosse e considerarne poche come candidate. Non a caso ad alcuni grandi del passato come Reti o Petrosian erano attribuite capacità di calcolo veramente “normali”, mentre ad altri (come Alekhine) erano attribuite capacità eccezionali. È abbastanza evidente che se un giocatore scegliesse sempre come unica candidata la mossa migliore (si parla di intuito scacchistico), la capacità di calcolo sarebbe un optional.
Quando serve la capacità di calcolo
La capacità di calcolo serve solo se si è identificato il fulcro della posizione (si veda Tattica negli scacchi). In altri termini, è fondamentale non sbagliare quando si è capito dove colpire gli avversari. La capacità di calcolo non è quindi altro che la tecnica tattica. Questa non è la definizione classica, ma è quella più concreta. Come vedremo negli esempi che seguono, quando non si è identificato il fattore fondamentale della posizione (il fulcro), la posizione è talmente complessa che si finisce per affogare. Se invece identifico il fulcro, diventa tutto relativamente più facile:
- capisco dove attaccare/difendere
- vedo quali sono i pezzi più importanti per la difesa e l’attacco
- limito le mosse possibili (per esempio, se il fulcro è nella catena di catture, essa può iniziare con la cattura A o la cattura B). La capacità di calcolo ha un obiettivo concreto: far saltare il fulcro della posizione, diventa un mezzo (una leva) per misurare la tecnica tattica del giocatore.
Analizza solo se non affoghi nella posizione!
L’impiego del computer è diventato interessante da quando, su un qualunque personal, nel giro di qualche decina di minuti una posizione viene sufficientemente capita e una bella combinazione trovata (se c’è).
Ancora oggi, i detrattori del computer si limitano a farlo pensare solo pochi secondi per poi dire: “Visto? Gioca la mossa sbagliata!”. In realtà, se lasciati pensare, i motori scoprono quasi tutto quello che c’è da scoprire. In pochi minuti risolvono posizioni la cui soluzione, da parte degli umani, è uscita dopo anni.
Questa difficoltà degli umani nel risolvere “facilmente” posizioni di partite (quindi non astratte) ha cambiato il modo di pensare la didattica che vuole insegnare a calcolare. Infatti si è ben compreso che:
- nell’analisi l’uomo ha limiti evidenti;
- si deve insegnare allo scacchista a pensare come un uomo e non come un computer;
- è inutile analizzare posizioni complicatissime (sono le combinazioni non calcolabili) per il livello di gioco dello scacchista perché le probabilità che le risolva sono risibili.
L’ultimo punto vale anche per i fortissimi giocatori ed è il motivo per cui molti testi sull’argomento sono poco validi: l’autore si impantana in lunghissime varianti, senza accorgersi che spesso sono sbagliate. Che senso ha allora utilizzare i metodi usati, se non rendono immuni da errori?
Un esempio lo si può trovare in Imparare a calcolare; un ottimo libro di J. Aagaard che, benché scritto nel 2006, contiene ancora alcuni vistosi errori di calcolo; probabilmente l’autore non ha ricontrollato analisi precedentemente date per buone perché passate al vaglio di fortissimi giocatori. La critica più evidente è però che gli errori si trovano in posizioni francamente superiori al livello di gioco del 99,99% degli scacchisti e probabilmente anche a quello dello stesso Aagaard, che pure è Grande Maestro.

Muove il Bianco – Matto in due (la soluzione alla fine dell’articolo)
A differenza di altri libri, in questo testo Aagaard ha subito l’influsso del vecchio e ha ripetuto l’errore (ricorrente nel XX sec.) di innamorarsi di combinazioni che pochi, se non nessun umano, possono calcolare.
Nel diagramma seguente siamo nella Danielsen-Aagaard (Taastrup 1999, quindi “prima” dei programmi “moderni”), in cui si analizza il miglioramento 29.Dd7! (in partita Danielsen giocò 29.Txd5?? e finì per perdere malamente).
N
Ecco cosa dice Aagaard, dopo aver scartato 29…Te7: “la miglior difesa per il Nero è quindi… 29…Dd4!?”.
Al che segue una pagina di varianti in puro stile Kotov. Con la conclusione che è “facile calcolare”, basta essere allenati a vedere le mosse candidate. Peccato che ad Aagaard, che dovrebbe essere allenato, sfugge proprio una candidata importantissima per il Nero: 29…h5! che i motori trovano in pochi minuti (anche 29…h6 è meglio di 29….Dd4). Qui non è tanto importante mostrare il seguito dopo 29…h5 quanto rilevare che non era stata nemmeno presa in considerazione, arrivando comunque alla conclusione un po’ ottimistica che è “facile calcolare, quando si vedono le candidate”!
Il secondo esempio è tratto dalla Rjazantsev-Arbakov (Voronezh 2003).
N
Aagaard critica la mossa del Nero 21…Cxd5?! (in realtà la mossa è buona!) a favore di 21…Rg7! Dopo aver analizzato diverse varianti, ecco cosa dice: “Per vedere tutto questo dovremmo prima escogitare 21…Rg7 e capire che in effetti in molte varianti il Nero può migliorare la sua posizione”.
Peccato che l’analisi di Aagaard sia affrettata, dimostrando che non è affatto vero che basta vedere la mossa di Re. Infatti l’autore (dopo 21…Rg7) scarta frettolosamente la replica 22.Dd2 exd5 (22…Cxd5 è peggiore per 23.Ah6+) dicendo che “è quasi certamente un’inversione di mosse”. Purtroppo il computer trova che, dopo la presa del pedone d, segue 23.Txe7: qualunque delle quattro prese possibili della Torre bianca lascia il Bianco in grande vantaggio, provate ad analizzare questa posizione con il computer.
Morale: la capacità di calcolo degli umani è limitata e… anche i grandi sbagliano facilmente in posizioni molto difficili. Infatti la differenza fra un grande giocatore e uno mediocre è che il primo sbaglia in percentuale trascurabile in posizioni facili.
Per cui:
non è tanto importante saper risolvere posizioni stratosferiche, quanto maneggiare bene posizioni abbordabili al proprio livello di gioco.
Inutile cercare di analizzare posizioni complicatissime se poi in partita mi sfugge un matto in uno. La regola dell’affogamento vale anche per lo studio: la difficoltà delle posizioni oggetto di studio deve essere tale che siamo in grado di risolverle (in un tempo ragionevole, diciamo 15′) almeno nel 50% dei casi; è veramente demotivante spendere ore e ore per risolvere (magari parzialmente) una sola posizione su 10! Per esempio il testo di John Nunn, Esercizi di tattica, è perfetto per giocatori fra i 1600 e i 1700 punti Elo.
Arrivati a questo punto, vediamo come migliorare la capacità di calcolo.
Soluzione della posizione dell’immagine: 1.Dxg6! hxg6 2.h7+#.