Il termine virulenza ha sostanzialmente un duplice significato; principalmente viene utilizzato nell’ambito della medicina o, se vogliamo essere più precisi, in quello della microbiologia. Ha anche però un significato che esula dagli ambiti scientifici; viene infatti utilizzato nel linguaggio scritto e parlato come sinonimo di aggressività, violenza ed espressioni simili.
Virulenza: significato
Una sintetica definizione di virulenza può essere la seguente:
grado di patogenicità del ceppo di una specie patogena.
Sostanzialmente, con virulenza, ci si riferisce alla capacità che un microrganismo patogeno ha di oltrepassare le difese di un organismo (detto ospite) riuscendo poi a moltiplicarsi provocando danni più o meno estesi.
L’assonanza con il termine virus non deve trarre in inganno, la virulenza è infatti un concetto che si applica a tutti i microrganismi patogeni, siano essi virus, batteri, funghi ecc.
Un errore comune, seppur comprensibile, è quello di considerare la virulenza quale sinonimo di patogenicità; quest’ultima è, in realtà, la generica capacità di un gruppo o di una specie di microrganismi di esercitare un’azione più o meno nociva nei confronti di un organismo ospite, ma non è detto che tutti i microrganismi facenti parte di un determinato gruppo o di una determinata specie siano patogeni allo stesso grado (vedasi la definizione data precedentemente); si può quindi avere “un ceppo non virulento di una specie patogena”.
Un esempio pratico: all’interno della specie Yersinia pestis (il batterio che causa la peste), il ceppo “1177” è di fatto inoffensivo per l’uomo, mentre il ceppo “Shasta” è particolarmente virulento ed è caratterizzato da un’elevata mortalità.
Ovviamente, fra specie diverse di microrganismi patogeni possono esserci notevolissime differenze; per esempio, in linea generale, il batterio Pseudomonas aeruginosa, un microrganismo patogeno spesso responsabile di infezioni nosocomiale (cioè contratte in ambiente sanitario-ospedaliero) è particolarmente virulento, mentre l’Enterococcus faecalis è un batterio decisamente meno virulento di altri (per esempio, streptococchi e stafilococchi); per contro, risulta spesso più ostico da trattare perché, come molti altri enterococchi, è dotato di una notevole capacità di sviluppare resistenza agli antibiotici.
La virulenza non è quindi una qualità costante, ma al contrario estremamente variabile, tant’è che uno stesso ceppo, in periodi diversi della sua esistenza, può presentare notevoli oscillazioni del suo grado di patogenicità senza alcuna causa apparente.
La virulenza non ha un rapporto diretto con la contagiosità. Esistono, per esempio, virus particolarmente pericolosi e spesso fatali (il classico esempio è rappresentato dall’Ebola virus), ma il cui grado di contagiosità è relativo; altri virus, per contro, sono particolarmente contagiosi e dar luogo a pandemia, ma la loro virulenza è alquanto limitata e, conseguentemente, l’indice di mortalità della malattia che causano è piuttosto basso.
Uno dei maggiori pericoli per l’uomo dipende dalla ricombinazione di più virus; di fatto, possono trasformarsi e unire la notevole virulenza di uno con l’importante contagiosità dell’altro.
Fattori di virulenza
Responsabili della capacità dei batteri o di altri microrganismi patogeni di provocare una malattia (patogenicità) sono i cosiddetti fattori di virulenza; questi sono fattori che favoriscono la sopravvivenza dei microrganismi patogeni e il superamento delle barriere anatomiche, consentono di eludere o danneggiare gli anticorpi dell’organismo ospite e permettono di eludere o disattivare le difese cellulari di quest’ultimo. Molti di questi fattori sono perfettamente noti, altri, purtroppo, sono del tutto sconosciuti.

L’assonanza con il termine virus non deve trarre in inganno, la virulenza è infatti un concetto che si applica a tutti i microrganismi patogeni, siano essi virus, batteri, funghi.
Sostanzialmente, con l’espressione “fattori di virulenza” si fa riferimento a tutte quelle caratteristiche tipiche di un microrganismo che possano favorire il suo grado di patogenicità (per esempio, le tossine, i geni di virulenza e, genericamente, tutti quei fattori che gli consentono di “vivere” come agente patogeno.
Riduzione della virulenza
La virulenza di un batterio viene ridotta nel momento in cui esso viene trasferito dal suo habitat a un terreno di coltura artificiale; un ceppo batterico la cui virulenza è stata ridotta viene definito ceppo batterico attenuato; quando, grazie a diversi passaggi su terreni di coltura artificiale, tale caratteristica viene completamente annullata si parla di ceppo batterico avirulento.
La virulenza è influenzata sia fattori enzimatici che da fattori tossici; relativamente a questi ultimi si parla di esotossine quando essi vengono liberati a livello ambientale dall’organismo vivente, mentre si parla di endotossine se detti fattori tossici sono presenti nel corpo cellulare e vengono liberati soltanto dopo che è avvenuta lisi dei batteri. Attraverso l’inattivazione delle tossine è possibile produrre dei vaccini (quando una tossina viene inattivata viene definita anatossina); le anatossine sono di fatto tossine non più dannose, ma che mantengono la capacità di stimolare il sistema immunitario; esempi di vaccini allestiti con tale modalità sono i vaccini contro la difterite, la pertosse e il tetano. Esistono comunque altre modalità di allestire vaccini batterici.