Il rigetto di trapianto è sicuramente la complicanza più importante delle operazioni chirurgiche di trapianto d’organo; si tratta di una complicanza di natura immunologica; le altre possono essere di natura chirurgica (emorragie, lesioni di strutture nervose, formazioni di raccolte di siero o linfa nelle sedi di trapianto ecc.) o di natura infettiva (la terapia immunosoppressiva, sempre necessaria in caso di trapianto d’organo, aumenta notevolmente il rischio di infezioni).
Il rigetto di trapianto è, sostanzialmente, quella condizione per la quale il sistema immunitario di un soggetto sottoposto a trapianto attacca l’organo trapiantato riconoscendolo come estraneo (non-self), praticamente alla stessa stregua di microrganismi patogeni come batteri o virus.
Un caso molto particolare di rigetto è il fenomeno per il quale l’organo trapianto produce dei segnali che attivano le cellule immunologiche in esso contenute contro i tessuti dell’ospite che vengono riconosciuti come estranei. Questa seria complicanza medica è nota come malattia del trapianto contro l’ospite (anche GVDH, acronimo dei termini inglesi Graft versus Host Disease); esiste una forma acuta di questa sindrome, che si manifesta nei primi cento giorni dal trapianto e che può colpire la cute, il fegato, l’intestino o il polmone, e una forma cronica, dall’insorgenza più tardiva, che interessa soprattutto cute e fegato.
Tipologie di rigetto di trapianto
Facendo riferimento al “timing”, si distinguono tre tipologie di rigetto di trapianto:
- rigetto di trapianto iperacuto
- rigetto di trapianto acuto
- rigetto di trapianto cronico.
Il rigetto iperacuto è la forma più violenta e rapida; esso si verifica nel giro di pochi minuti o di al massimo di alcune ore dal trapianto ed è caratterizzato da lesioni trombotiche a carico della rete vascolare del trapianto; dopo la trombosi si verifica un vero e proprio processo infiammatorio che è mediato dagli anticorpi preformati che legano la superficie vascolare attivando la cascata infiammatoria del complemento (il complemento è un fattore contenuto nel siero del sangue; è composto da una ventina di proteine plasmatiche ad attività enzimatica e ha un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria, in diversi processi fisiologici e nel determinare la comparsa di varie patologie autoimmunitarie). L’esito finale delle varie reazioni è la necrosi dell’organo trapiantato.
Il rigetto acuto è la tipologia forse più frequente; si verifica generalmente nel giro di 5-10 giorni dal trapianto nel caso in cui il paziente non riceva farmaci immunosoppressori (possibilità solo teorica) oppure in tempi più lunghi causando, se non viene subito riconosciuto, danni irreversibili all’organo trapiantato; un singolo episodio di rigetto acuto trattato in modo tempestivo non provoca particolari problemi; nel caso in cui il problema si verifichi più volte c’è il fortissimo rischio di fallimento del trapianto.
Il rigetto cronico è la forma più subdola di rigetto; la gran parte dei trapiantati ha ottime probabilità di stare bene a un anno dal trapianto; meno buoni sono i risultati a lungo termine, ovvero a 10-15 anni dall’operazione chirurgica; le terapie farmacologiche antirigetto utilizzate attualmente sono molto efficaci nel controllare il rigetto acuto, ma non sono in grado di contrastare il rigetto cronico, ovvero il danno progressivo che negli anni viene subito dall’organo trapiantato e che ne determina la perdita delle funzionalità.
Il rigetto cronico costringe il ricorso a un nuovo trapianto oppure al ritorno alla dialisi nel caso di coloro che hanno effettuato un trapianto di rene.
Manifestazioni e trattamento del rigetto di trapianto
Molti episodi di rigetto d’organo insorgono nel giro di una decina di giorni dal trapianto; con il passare del tempo le probabilità di sviluppare altri episodi si riduce, anche se, come abbiamo visto il rigetto può manifestarsi in un qualsiasi momento della vita del soggetto. I vari sintomi e segni del rigetto dipendono anche dal tipo di organo trapiantato.

Il rigetto di trapianto può essere iperacuto, acuto o cronico
Fra i segni e sintomi più comuni del rigetto di trapianto vi sono:
- astenia
- sonnolenza
- tensione addominale
- feci chiare
- urine scure
- colorazione giallastra della cute e della sclera
- alterazioni degli esami ematici.
Nel caso di trapianti di rene, in caso di rigetto, si registra un aumento dei livelli della creatinina plasmatica, riduzione della diuresi, formazione di edemi alle gambe, indolenzimento e ingrossamento del rene.
Nel caso di rigetto del pancreas (o delle isole del Langerhans) si registra un aumento dei livelli di glicemia dal quale consegue polidipsia (sensazione di sete intensa) e aumento della diuresi; sono poi possibili rialzi dei valori delle amilasi e delle lipasi plasmatiche.
Un rigetto di cuore può manifestarsi con febbre alta, palpitazioni, ritenzione idrica, facile affaticamento, respiro corto e aumento ponderale.
Nel caso di rigetto di polmone si possono avere febbre, mancanza di fiato, ridotta capacità respiratoria nel corso delle normali attività quotidiane e riduzione dei valori spirometrici.
Nel caso di rigetto di fegato si possono avere alterazioni degli esami di funzionalità epatica, inappetenza, mal di stomaco, febbre, ittero, feci chiare e urine scure.
Quando si hanno problemi di salute o nel caso si avvertano i sintomi e segni ricordati sopra, è necessario contattare il Centro Trapianti di riferimento che eseguirà tutti gli accertamenti opportuni (potrebbe essere necessario anche un prelievo bioptico) e, nel caso di rigetto, instaurerà la terapia opportuna.
Il rigetto acuto viene generalmente trattato con un somministrazione di metilprednisolone ad alti dosaggi; questo approccio è spesso sufficiente a risolvere la situazione; se le somministrazioni di farmaco non dovessero sortire gli effetti sperati si può ricorrere a infusioni di plasma sanguigno.
Nel caso di rigetto cronico, invece, non esiste, come detto, una terapia efficace e potrebbe rendersi necessario programmare un nuovo trapianto.