Il reflusso gastroesofageo è un fenomeno fisiologico che consiste nella risalita in esofago (il canale, lungo circa 30 cm, che collega la bocca allo stomaco) di una parte di ciò che è contenuto nello stomaco. Episodi di reflusso gastroesofageo possono verificarsi dopo un pasto, talvolta nelle ore notturne, ma, in molti casi, la loro comparsa è asintomatica, l’entità è minima e tali fenomeni non hanno alcuna rilevanza dal punto di vista clinico. Le cose cambiano però quando tali episodi sono frequenti (almeno un episodio a settimana) e al tempo stesso sintomatici tant’è che si parla di malattia da reflusso gastroesofageo (anche MRGE o GERD, acronimo dei termini inglesi Gastro-Oesophageal Reflux disease).
In sé, il reflusso gastroesofageo non può essere considerata una grave patologia, ma è senz’altro vero che può dar luogo a disturbi cronici che possono peggiorare la qualità della propria vita.
Nei Paesi industrializzati la malattia da reflusso gastroesofageo interessa circa il 10% della popolazione adulta (nei bambini molto piccoli il reflusso è evenienza comune e, generalmente, si risolve spontaneamente entro i 18 mesi di vita; la condizione interessa fino al 70% dei soggetti al quarto mese di vita ed è legata all’alimentazione liquida e all’immaturità del cardias, l’orifizio superiore di comunicazione tra l’esofago e lo stomaco); nel nostro Paese, annualmente, circa 1,5-2 milioni di persone adulte lamentano bruciore retrosternale o rigurgito o entrambi i sintomi.
Negli ultimi due decenni il tasso di incidenza dalla MRGE è aumentato da tre a quattro volte.
Nella gran parte dei casi la malattia si manifesta con sintomi tipici che sono facilmente riconoscibili, ma in circa un quarto dei casi anche con sintomi atipici; ciò può essere responsabile di una sottostima del reale tasso di incidenza del problema.
Cause della malattia da reflusso gastroesofageo
La malattia da reflusso gastroesofageo (anche esofagite da reflusso gastroesofageo) è una sindrome clinica dalla patogenesi multifattoriale.
La causa che si riscontra più frequentemente è un’alterazione della funzionalità dello sfintere gastroesofageo, un muscolo a forma di anello che agisce come una valvola e che ha il compito di impedire che il contenuto gastrico risalga in esofago; tale alterazione fa sì che vi sia una risalita del chimo gastrico in esofago con conseguente irritazione della mucosa esofagea.
Un altro fattore predisponente al reflusso gastroesofageo è l’eccessiva lentezza dello svuotamento gastrico; il cibo che giunge nello stomaco può rimanervi per periodi di tempo più o meno prolungati; tanto più lunga è la permanenza del cibo nello stomaco, tanto più si alzano le probabilità che si verifichino problemi di reflusso gastroesofageo.
Altre problematiche possono essere una ridotta motilità dell’esofago o alterazioni salivari (quando il pH salivare si abbassa eccessivamente, la saliva perde in parte le sue capacità di tamponare eventuali quantità di acido gastrico che risalgono nell’esofago rendendo quest’ultimo meno resistente all’attacco acido).
Anche la gravidanza può essere causa di reflusso gastroesofageo; il feto infatti esercita una pressione sullo stomaco e, comprimendolo, può provocare la risalita di materiale acido nell’esofago; lo stesso problema si verifica nelle persone affette da obesità dove la pressione è rappresentata dalla notevole presenza di grasso a livello addominale.
Anche il fumo di sigaretta è un fattore predisponente, esso infatti può alterare il pH salivare, incrementare le secrezioni acide dello stomaco e alterare la funzionalità dello sfintere gastroesofageo.
Un altro fattore predisponente al reflusso gastroesofageo è l’ernia iatale, una condizione anatomica che colpisce circa il 15% della popolazione.
Il reflusso gastroesofageo, in particolar modo se trascurato, evolve spesso in esofagite, ulcere o esofago di Barrett, lesione che a sua volta può evolvere in tumore dell’esofago.
Segni e sintomi della malattia da reflusso gastroesofageo
La pirosi è una sensazione di bruciore che interessa generalmente l’epigastrio e la zona retrosternale, ma che può irradiarsi anche al collo e alla mandibola. È con ogni probabilità il sintomo più frequente della malattia da reflusso gastroesofageo.
La pirosi ha la tendenza a peggiorare nei periodi che seguono i pasti, dopo l’effettuazione di sforzi che provocano un incremento della pressione intraddominale oppure se ci si pone per un certo periodo di tempo in determinate posizioni.
Il rigurgito è un sintomo presente nella stragrande maggioranza dei casi di malattia da reflusso gastroesofageo. Praticamente si ha un ritorno di materiale gastrico o intestinale nell’esofago o addirittura nella faringe; può ricordare il vomito, ma a differenza di quanto accade con questo, non si hanno conati, sensazione di nausea o contrazioni a livello della parete dell’addome. Il rigurgito causa una spiacevole sensazione di amaro in gola. In molti casi viene provocato dal cambiamento improvviso di posizione, in particolar modo se si flette il busto in avanti. È più frequente nel periodo post-prandiale, ma può verificarsi anche durante il riposo notturno.
La disfagia è un altro sintomo che viene riscontrato in diversi soggetti affetti da malattia da reflusso gastroesofageo; con tale termine si definisce la difficoltà nella deglutizione; in alcuni casi si può addirittura avvertire la sensazione che il cibo si fermi durante il passaggio in esofago.
L’odinofagia è un sintomo che spesso accompagna quello precedente; con odinofagia si definisce una sensazione dolorosa che si avverte quando si deglutisce. L’odinofagia è spesso provocata da lesioni presenti nella mucosa esofagea.
Il bolo faringeo è la sensazione, non collegata all’atto della deglutizione, di avere un corpo estraneo, una specie di “nodo” in gola.
Il dolore toracico è presente in circa la metà dei casi di malattia da reflusso gastroesofageo; è molto simile al dolore anginoso e, in effetti, se presente, sono necessarie indagini che escludano la presenza di patologie cardiache.
La dispepsia (presenza di dolore e/o fastidio persistente o ricorrente a livello epigastrico) è spesso presente in caso di malattia da reflusso gastroesofageo, ma la sua presenza viene molte volte considerata come sintomo di gastrite.
La scialorrea si verifica spesso in caso di malattia da reflusso gastroesofageo; è una risposta dell’organismo all’esofagite peptica, una patologia conseguente alla malattia da reflusso gastroesofageo.
La disfonia, la tosse notturna, la laringite cronica, la faringodinia, l’otalgia e il raschiamento di gola sono sintomi e segni talvolta presenti anche in assenza di quelli che caratterizzano più tipicamente la malattia da reflusso gastroesofageo.
L’asma bronchiale è spesso relazionata alla malattia da reflusso gastroesofageo; in alcuni casi ne è indirettamente causa a motivo delle terapie farmacologiche utilizzate per il suo trattamento, mentre in altri casi è conseguente ad alcuni meccanismi dovuti alla MRGE.
La disfagia crico-faringea è la sensazione di notevole difficoltà nel deglutire localizzata alla base del collo.
Ansia e stress possono contribuire ad acuire la sintomatologia.

Circa due milioni di italiani adulti soffrono di reflusso gastroesofageo, anche se alcune indagini parlano di un italiano su cinque
Diagnosi
La diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo si avvale di numerosi strumenti. Per inquadrare correttamente la patologia è necessario evidenziare sia la presenza di reflusso sia le lesioni esofagee di cui esso è responsabile.
Le metodiche atte a documentare il reflusso sono la pHmetria delle 24 ore, la scintigrafia gastroesofagea, la manometria esofagea, l’esame radiografico esofageo con bario e il test con IPP. Per evidenziare invece l’eventuale presenza di lesioni a livello esofageo si può ricorrere all’endoscopia, alla biopsia e anche al già citato esame radiografico.
La pH-metria delle 24 ore consente di registrare gli episodi di reflusso nell’arco delle 24 ore. L’esame viene effettuato grazie a un elettrodo posizionato sopra la giunzione esofago-gastrica; tale elettrodo è collegato a un registratore. Valori di pH <4 per un periodo di tempo superiore al 5% della registrazione sono considerati patologici.
La scintigrafia esofagea è un esame che permette di registrare frequenza ed entità degli episodi di reflusso gastroesofageo e di verificare l’eventuale presenza di alterazioni dello svuotamento esofago-gastrico.
La manometria esofagea consente di rilevare la presenza di disordini motorio-esofagei nei soggetti che presentano disfagia e nei quali è stata esclusa la presenza di altre patologie. Tale indagine consente inoltre di verificare l’origine del dolore toracico. Raramente questo esame è utilizzato in prima battuta; esso viene invece spesso utilizzato nel caso ci si debba preparare a un’operazione chirurgica anti-reflusso gastroesofageo.
Il test con IPP viene effettuato somministrando per diversi giorni notevoli dosi di farmaci inibitori della pompa protonica.
Per quanto riguarda invece le lesioni provocate dal reflusso gastroesofageo, gli esami utilizzati sono, come detto, l’esofagogastroduodenoscopia (anche EGDS) e l’esame radiografico con bario.
L’esofagogastroduodenoscopia è un esame che permette di evidenziare l’eventuale presenza di danni causati dal reflusso sulla mucosa, di ulcere, di formazioni pre-neoplastiche, di sanguinamenti ecc. Inoltre questo esame può rivelare l’eventuale presenza di altre patologie a livello dello stomaco o del duodeno.
L’esame radiografico è ormai poco utilizzato per la diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo, ma vi si ricorre in quei casi in cui non è possibile sottoporre il soggetto a EGDS.
Bilimietria e reflussi biliare duodeno-gastrico e duodeno-gastroesofageo – La bilimetria è una tecnica diagnostica relativamente recente; tale esame viene eseguito seguendo le modalità delle pH-metria delle 24 ore, esame al quale la bilimetria è spesso associata. La bilimetria permette di misurare la concentrazione di bilirubina nel lume gastrointestinale. La presenza di bilirubina indica la presenza di bile e quindi dei reflusso biliare duodeno-gastrico e duodeno-gastroesofageo. Il vantaggio principale di questa tecnica è che può individuare la presenza di reflussi alcalini anche se vi è presenza di pH neutro o acido.
Rimedi
Un ruolo molto importante nella cura della malattia da reflusso gastroesofageo è giocato dall’alimentazione. La dieta per il reflusso dovrebbe essere affiancata da altri semplici accorgimenti quali quello di evitare, subito dopo i pasti, di compiere sforzi eccessivi o di coricarsi.
Si evitino inoltre, per quanto possibile, le situazioni negativamente stressanti e gli stati ansiosi. Da evitare anche l’abuso di farmaci, specialmente di quelli che, date le loro caratteristiche, provocano un aumento dell’acidità gastrica.
Si consiglia di dormire mettendo la testa sopra un cuscino; chi è abituato a posizionare un cuscino sotto la pancia deve abolire questa pratica che provoca un’eccessiva pressione sullo stomaco. Sono senz’altro da evitare anche gli abiti troppo stretti in vita.
Le cure farmacologiche consistono nella somministrazione di farmaci per la riduzione della secrezione acida e procinetici per aumentare il tono della muscolatura (antiacidi, antagonisti del recettore H2, inibitori di pompa protonica e citoprotettori).
Una considerazione importante: è usuale, nelle forme meno gravi e/o occasionali di reflusso gastroesofageo ricorrere a farmaci da banco. È una pratica che in linea generale non condividiamo. La nostra posizione è ormai nota: la strada più corretta è quella di analizzare le cause che provocano i disturbi, se queste possono essere rimosse attraverso un nostro intervento sullo stile di vita non si vede perché si debba ricorrere a un aiuto esterno (farmaco o terapia alternativa); con l’utilizzo semplicistico e non ponderato di farmaci da banco ci si predispone al perenne ricorso ad aiuti “esterni” senza tentare di risolvere definitivamente il problema alla base del nostro malessere. Ovviamente, nei casi più gravi, un intervento farmacologico può essere necessario (in genere si usano farmaci a base di ranitidina o di omeprazolo).
Se la terapia farmacologica non fosse sufficiente a risolvere la situazione si dovrà prendere in considerazione la possibilità di un intervento chirurgico, intervento che generalmente viene eseguito ricorrendo alla chirurgia laparoscopica, decisamente meno invasiva della chirurgia tradizionale. Va precisato che, sfortunatamente, non sempre la soluzione chirurgica risulta del tutto risolutiva; in alcuni casi, infatti, anche dopo l’intervento chirurgico, il soggetto è comunque costretto a continuare una terapia farmacologica seppure a dosaggi ridotti.
Il ricorso all’intervento chirurgico è un’opzione che deve essere comunque valutata con molta ponderazione.
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