Il termine idrocele identifica una condizione patologica caratterizzata da una raccolta di liquido all’interno della sacca sierosa che circonda il testicolo (vagina propria) o lungo il funicolo spermatico.
Essenzialmente si possono distinguere due grandi tipologie di idrocele: primario e secondario.
Si parla di idrocele primario quando la sua insorgenza non è dovuta ad altre condizioni patologiche (idrocele essenziale), è quindi una patologia vera e propria; si parla invece di idrocele secondario quando esso è conseguente a processi infiammatori a carico del testicolo oppure dell’epididimo; l’idrocele secondario va quindi considerato come sintomo e complicazione di un altro processo patologico.
La patologia può interessare anche i soggetti di sesso femminile; in questo caso la parte interessata da tale condizione è il cosiddetto dotto di Nuck (si parla appunto di idrocele del dotto di Nuck); il dotto di Nuck è quella parte anatomica dell’apparato genitale femminile che può essere definita come l’equivalente femminile del dotto peritoneo vaginale, proprio del sesso maschile.
La condizione può essere congenita, in questi casi è dovuta ad anomalie di formazione e la si riscontra spesso associata a ernia inguinale.
Cause dell’idrocele
L’idrocele può interessare entrambi i testicoli (bilaterale), ma più frequentemente il problema è monolaterale.
Le cause della forma primaria non sono note; nei neonati frequentemente il problema si risolve in modo spontaneo trascorsi alcuni mesi dalla nascita.
Le cause dell’idrocele secondario possono invece essere varie; esso infatti può essere legato a ernia inguinale, a processi infettivi o a traumi del testicolo o dell’epididimo; può inoltre essere conseguente a cisti o neoplasie o essere dovuto a occlusioni di fluido o di sangue a livello del funicolo spermatico.
La forma primaria, più frequente, si sviluppa nel momento in cui il dotto peritoneo vaginale (canale attraverso il quale il testicolo scende nella sua collocazione naturale) non si richiude dopo che il testicolo è sceso; dal dotto rimasto aperto scende quindi anche il liquido peritoneale con conseguente accumulo di quest’ultimo in sede scrotale.
La causa più frequente di idrocele secondario è un’ernia inguinale; questa, se congenita, può determinare la mancata chiusura del dotto; quando invece non è congenita può determinare una sua riapertura.
Sintomi e segni dell’idrocele
L’accumulo del liquido in sede scrotale causa un aumento di volume dello scroto, aumento che in alcuni casi può essere scambiato per una massa testicolare.
Il versamento può raggiungere notevoli volumi (anche mezzo litro di liquido) e può creare sia problemi nella minzione e nel coito.
L’insorgenza dell’idrocele idiopatico è solitamente lenta e indolente; se l’ingrossamento è notevole la cute che avvolge lo scroto appare ben tesa; la palpazione non causa generalmente dolenzia particolare.
La forma secondaria insorge invece in modo acuto.

Il termine idrocele identifica una condizione patologica caratterizzata da una raccolta di liquido all’interno della sacca sierosa che circonda il testicolo o lungo il funicolo spermatico
L’idrocele non si risolve spontaneamente; se il liquido viene estratto tramite puntura, si riforma nel giro di breve tempo; la puntura evacuativa è quindi solo una manovra palliativa che può risultare utile anche in fase diagnostica (si esamina la composizione del fluido rinvenuto).
Diagnosi
La diagnosi viene fatta ricorrendo a un procedimento detto transilluminazione; tale procedimento si attua oscurando totalmente l’ambiente; si colloca poi posteriormente al sacco scrotale una piccola fonte luminosa; se il sacco è occupato da un liquido limpido si vedrà trasparire la luce dalla parte opposta; se la transilluminazione è negativa vanno indagate altre cause (neoplasie, presenza di sangue ecc.); un’ulteriore conferma della presenza di idrocele può venire da un esame ecografico scrotale.
Una volta che si ha la certezza della diagnosi si dovranno stabilire le cause che hanno portato alla sua formazione.
Trattamento
Il trattamento della forma primaria consta nella rimozione del fluido accumulatosi e in una iniezione nella cavità di un farmaco ad attività sclerosante così da procurarne l’obliterazione e impedire che si riformi una raccolta di essudato; un’altra opzione è l’escissione chirurgica della membrana sierosa.
Il trattamento delle forme secondarie varia a seconda della condizione patologica che ne ha determinato l’insorgenza.
L’intervento chirurgico viene detto eversione della tunica vaginale; è un intervento abbastanza semplice che viene praticato con anestesia spinale o epidurale. Lo si esegue generalmente in regime di day-hospital; in casi particolari può essere richiesta una degenza più lunga.
L’intervento viene eseguito sezionando una parte della tunica vaginale, drenando il liquido presente e procedendo con l’eversione della porzione di tunica vaginale rimasta in modo da impedire che si riformino raccolte di liquido. È un intervento risolutivo e generalmente scevro da complicazioni o effetti collaterali.
La comparsa di un lieve edema dopo l’intervento è un’evenienza normale, così come l’arrossamento della parte interessata e la comparsa di piccoli ematomi. Il dolore post-operatorio è modesto e destinato a risolversi nel giro di pochi giorni.