Per vacanza di solito s’intende il soggiorno in dimora diversa da quella abituale a scopo ricreativo. In realtà, il significato del termine indica semplicemente la libertà dalle solite occupazioni (studio o lavoro).
Sicuramente molti lettori si stupiranno delle conclusioni di questo articolo, ma, prima di dissentire, li invito a riflettere attentamente. I risultati, oltre che da considerazioni logiche, derivano dall’analisi diretta di molte tipologie di vacanzieri e dal loro grado di soddisfazione esistenziale. Non è difficile scoprire che:
le vacanze sono uno dei migliori indicatori esistenziali.
Purtroppo, sono un indicatore che attualmente è negativo per la maggior parte delle persone (i sopravviventi).
La prima cosa da osservare è come il significato reale sia stato ridimensionato con la necessità di una dimora diversa: si dice andare in vacanza come se chi fosse in ferie avesse bisogno di trasferirsi per godersi pienamente il periodo. Questa “deformazione” del concetto già di per sé non è positiva.
Infatti, il semplice fatto di aspettare con ansia le vacanze dovrebbe farci capire che stiamo buttando un po’ della nostra vita. Può sembrare un’affermazione molto dura, ma se si ha il coraggio di rifletterci sopra in maniera oggettiva si comprende che è così: non si può vivere un mese all’anno!
Chi è veramente soddisfatto nel periodo delle ferie tende a fare le stesse cose che fa nel resto dell’anno oppure tende ad avere un periodo veramente indimenticabile.
Non si dica che ciò è impossibile, perché c’è chi (a prescindere dal ceto sociale e dalle possibilità economiche) si comporta così con piena soddisfazione. Per esempio, chi è solito andare in piscina perché ama il nuoto, se va al mare, non andrà di certo in una località dove l’acqua arriva al ginocchio persino a cento metri dalla riva.
Chi si sobbarca ore di coda per un semplice week-end al mare (o in montagna) e torna più stressato di prima può essere soddisfatto della sua vita? Non assomiglia di più a un Fantozzi che non sa ragionare per migliorare la sua esistenza e si limita a seguire luoghi comuni?
Chi, finita la vacanza, incomincia a pensare a quando potrà essere la prossima, non si rende conto che “quello che c’è in mezzo” gli pesa terribilmente? Con un paragone che sarà ben compreso da chi ha fatto il servizio militare, le vacanze diventano una licenza dalla vita di caserma, spesso ritenuta dura, noiosa, esistenzialmente vuota.

La vacanza è uno dei migliori indicatori esistenziali
Le vacanze indimenticabili
Quando il trasferimento in altra località a fine ricreativi non ha le connotazioni negative appena descritte? In due casi:
- Le vacanze sono utilizzate per gli oggetti d’amore.
- Le vacanze sono indimenticabili e non sono una forma di apparenza.
Le vacanze servono per fare ciò che si ama e che temporaneamente non si può fare (al meglio) nella propria dimora.
La locuzione “ciò che si ama” è fondamentale. La vita si può vivere al ritmo di una marcia funebre oppure al ritmo di un inno alla gioia (vedasi il commento La musica della vacanza). “Passare il tempo” non è vivere alla grande, è sopravvivere. Si veda più avanti il commento Passatempo o passavita? per approfondire questo concetto.
Per esempio, chi ama (veramente e ha la cultura artistica necessaria!) l’arte può usare le vacanze per visitare città d’arte; chi ama studiare a fondo le varie culture può visitare Paesi lontani, chi ama le immersioni può andare al mare in località opportune ecc. Si veda a questo proposito la differenza con il vacanziere iperattivo.
Ma quando una vacanza è indimenticabile (e quindi ha prodotto un effetto che in noi dura tutta la vita) e non semplicemente un’evasione dalla routine quotidiana? Semplice: basta paragonare la vacanza a un viaggio di nozze. Se passate un week-end a ***, una località in cui mai andreste in viaggio di nozze, state solo evadendo, scappando dalla vostra routine.
Ovviamente, se per avere una vacanza indimenticabile, azzero il mio conto in banca, solo per raccontare agli amici che ho potuto permettermi di andare in un posto da sogno, non faccio che confermare che mi limito a sopravvivere con qualche settimana di evasione all’anno!
I vacanzieri: la strategia del carcerato
Innanzitutto, quelle che sono una conseguenza della strategia del carcerato. Si va in vacanza perché “ci si può permettere di evadere ogni tanto da un lavoro che non ha un indice di qualità massimo”. Per approfondire si legga appunto l’articolo sui “carcerati”.
Svogliato (vacanziere sfinito 1) – Passa tutta la sua vacanza a riposarsi, spesso a dormire, distrutto dalle fatiche del lavoro (“deve staccare”!). Siamo di fronte a uno svogliato. Non ha il fisico per reggere un lavoro normale (per lui probabilmente molto duro e stressante): sarebbe meglio che pensasse un po’ di più alla salute del corpo e a come renderlo più resistente e meno debilitato.
Sopravvivente negativo (vacanziere sfinito 2) – Come il precedente, ma la motivazione è diversa: siamo di fronte a un sopravvivente con un lavoro realmente duro e/o stressante. Soluzione: non usare un mese all’anno per “evadere”, ma, a meno che non stia impiegando tutte le sue energie per raggiungere un traguardo (ci arriverà se è così distrutto?), forse è meglio che cambi lavoro!
Sopravvivente negativo (vacanziere bugiardo) – Ci racconta che il suo lavoro gli piace molto, ma, se vincesse al Superenalotto, non lo farebbe o lavorerebbe molto di meno: le vacanze sono la sua evasione.
Sopravvivente negativo (il lavoratore coatto) – Potrebbe non lavorare o lavorare molto di meno, ma, siccome “si deve lavorare”, le vacanze diventano uno sfogo per riposarsi o per evadere facendo ciò che gli piace.
Sopravvivente negativo (vacanziere forzato) – Va in vacanza (anche in un semplice week-end) per passare il tempo in attesa di tornare al lavoro, inventandosi un sacco di occupazioni che non lo divertono più di tanto, ma che servono a porre un obiettivo alle vacanze per farle passare in modo meno noioso. Il fenomeno tipico è quello dell’abbronzatura. D’estate tutti devono prendere il sole; ormai si sa che il sole fa male, che aumenta a probabilità di melanoma, che aumenta le rughe, che le donne più belle (attrici, top model ecc.) non sono abbronzate, eppure d’estate ci si deve abbronzare, soffrendo e lottando contro caldo ed eritemi. Come dire: “Se mi togliete anche questo, come passo le vacanze?”. Fallimento esistenziale totale. Per approfondire si legga il paragrafo Abbronzatura come indicatore esistenziale nell’articolo Abbronzatura.
I vacanzieri: alcuni alibi
Svogliato (vacanziere climatico) – Va in vacanza per il clima, in genere perché non sopporta il caldo. Poiché la reazione alle variazioni climatiche è un indice della forza di volontà anevrotica del soggetto, già le premesse non sono positive. Inoltre, la “fuga” avrebbe senso per vacanze comunque lunghe, non certo per una settimana. Se il clima gli dà così fastidio, deve comunque meditare che, se la vacanza è troppo breve”, quando tornerà se lo beccherà lo stesso (e come se un non fumatore in una stanza piena di fumo pensasse di risolvere la sua idiosincrasia per il fumo uscendo a prendere una boccata d’aria sapendo che poi deve rientrare comunque): non è meglio che impari a sopportare un po’ di caldo o un po’ di afa? Si noti la fondamentale differenza con chi usa un clima migliore per vivere meglio un proprio oggetto d’amore (per esempio chi ha come oggetto d’amore lo sci, va in montagna dove c’è neve per poter sciare, non per stare al fresco!).
Debole (vacanziere familiare) – Va in vacanza per i figli (“Il mare fa bene”. E chi lo ha detto? La vita media delle regioni in riva al mare è praticamente la stessa delle altre. Non so poi che esempio educativo sia la vista del padre che dorme tutto il giorno sotto l’ombrellone perché non ha nulla da fare) o per il coniuge. Una volta Fantozzi partiva in Cinquecento, oggi si parte con l’auto nuova (sempre utilitaria e senza tanti accessori), faticosamente acquistata a rate. Da debole, si “deve” andare in vacanza e lui si adegua.
Sopravvivente positivo (vacanziere iperattivo) – Senza fare cose che ama, cerca comunque di rendere piacevoli al massimo le vacanze, senza accorgersi che tutti quegli sforzi poteva benissimo implementarli anche a casa propria in attività comunque piacevoli. Esempi classici sono le persone che fanno sport durante le vacanze senza che lo sport sia un oggetto d’amore; chi visita musei e chiese senza essere realmente appassionato d’arte, chi ogni anno deve visitare un posto nuovo per il gusto della novità senza accorgersi che di fatto non c’è alcun posto che veramente l’abbia colpito (altrimenti ci tornerebbe!). Sicuramente il vacanziere iperattivo vive meglio di un sopravvivente negativo o uno svogliato, ma dovrebbe capire che la sua vita è fatta al più di hobby, di cose piacevoli e che mancano oggetti d’amore: non sta suonando una marcia funebre, ma nemmeno un inno alla gioia. Ciò che accadrà è che con il passare del tempo gli hobby gli sembreranno sempre meno interessanti da vivere e alla fine farà “vacanze da vecchio”.
Dovrebbe ormai essere chiaro che: “Dimmi che vacanze fai e ti dirò chi sei“. Lascio perciò ai lettori l’analisi di altre forme di vacanzieri e li rimando al test.
I COMMENTI
La musica della vacanza
Non ho capito perché una giornata al mare o una vacanza con i propri amici deve essere un indicatore esistenziale negativo. Non so se a lei piace il mare, ma quando in estate va a Nizza, cosa fa? Al mare non va mai? Penso che andare al mare non significhi soltanto poltrire sotto un ombrellone per leggere Chi, Gente ecc.
Come spiego nell’articolo sulle vacanze, il modo di vivere più intensamente le proprie vacanze è quello di usarle per coltivare i propri oggetti d’amore. Quando si parla di amici non si vede la necessità di “andare al mare” per fare cose piacevoli con loro. Se sei molto giovane, andare al mare con gli amici può essere un modo di “passare piacevolmente il tempo”, ma piacevolmente non è il massimo. Rientri nella tipologia del vacanziere iperattivo, la tua vita non è una marcia funebre, ma nemmeno un inno alla gioia.
Non nuotando particolarmente bene, non facendo immersioni ecc., io al mare (in spiaggia) non vado mai, dovrei sprecare tempo che invece posso dedicare alle cose che amo (e mia moglie la pensa come me). Non ho bisogno di riposarmi (altrimenti penserei a come cambiare vita), non mi interessa fare surrogati di attività fisica visto che ne faccio già di vera qui, non mi interessa conoscere altre persone. Insomma che ci vado a fare?
A Nizza d’estate sono anni che non vado e, quando ci andavo, lo facevo per il torneo di scacchi, mai mettevo piede in spiaggia. D’inverno ci andavo perché potevo coltivare meglio un mio oggetto d’amore, la corsa: un conto è correre con -5 °C a Pavia e un conto è correre a 10-15 gradi a Nizza.
I “forzati” dell’abbronzatura
Negli ultimi decenni si è assistito a un accorciamento della durata del soggiorno medio (10 gg.). Si parla di problemi economici o di abitudine a spezzare le ferie in più tronconi durante l’anno. Quello che mi preme sottolineare è che l’esercito dei forzati della spiaggia è ancora ben agguerrito. Milioni di italiani hanno passato i loro (pochi) giorni di vacanza cambiando radicalmente stile di vita e immolandosi alla canicola con lunghe giornate in spiaggia. Un’altissima percentuale di loro non ha fatto altro che sdraiarsi al sole (se si sta all’ombra che bisogno c’è di andare in spiaggia?), dormire (se ogni anno si ha bisogno di una vera e propria cura del sonno, non è meglio cercare di cambiare qualcosa nella propria vita per vivere meglio quando non si è al mare?) e lamentarsi del caldo, salvo ogni tanto alzarsi pigramente e andare a bagnarsi nel mare (non dico nuotare perché quelli che lo fanno decentemente sono veramente pochi, troppa fatica!). I forzati dell’abbronzatura si creano un sacco di problemi per proteggersi la pelle (ma non è più semplice non prendere così tanto sole?) nell’illusione di diventare più belli, dimenticando che i loro idoli (tipo Brad Pitt o Nicole Kidman) sono belli anche senza sole. Oggi le località di mare offrono divertimenti notturni, attività sportive, manifestazioni culturali: e allora perché esiste ancora l’esercito dei forzati della spiaggia?
Bisogna essere molto “vecchi” per apprezzare uno stile di vita che 30-40 anni fa era l’unico modo di evadere dal caldo (oggi ci sono dappertutto i condizionatori…); bisogna essere molto “svogliati” per ritenere la cosa più bella del mondo dormire diverse ore al giorno in spiaggia; bisogna essere “irrazionali” per credere veramente che l’abbronzatura cambi di molto la nostra estetica oppure per credere che il “mare faccia bene” (non c’è una statistica che lo confermi e la vita media degli abitanti delle zone di mare è sostanzialmente la stessa delle altre città). Il bello è che poi per andare in spiaggia ci si svena con prezzi di cui ci si continua a lamentare. Come dire: visto che la mia vita è vuota, se non mi creo un po’ di problemi anche in vacanza, potrei spararmi subito e allora è meglio continuare a rimanere un forzato della spiaggia. Geniale.

Sono molti quelli che legano la riuscita delle loro vacanze al loro grado di abbronzatura
Passatempo o passavita?
Per raggiungere il suo scopo (vacanze = passatempo) il sopravvivente utilizza mezzi classici e collaudatissimi. Innanzitutto non usa il telepass così può perdere decine di minuti ai caselli (anche questo è un passatempo). Arrivato al mare (meglio se soggiorna non troppo vicino alla spiaggia, così anche i quotidiani tempi di trasferimento sono un passatempo), inizia il rito dell’abbronzatura. “Deve” diventare nero, incurante del fatto che il sole poi tanto bene non fa; niente da obiettare se non per il fatto che la sudata abbronzatura dopo un mese è svanita e lui non fa nulla per mantenerla d’inverno (e a molti non interessa nemmeno). Nelle pause sotto all’ombrellone ecco un altro passatempo, il mitico cruciverba, interessantissimo mezzo di allenamento cerebrale se fatto tutto l’anno, occupazione un po’ annoiata se mezzo di evasione vacanziero. I più fanatici del mare passano tutta la giornata in spiaggia con un pranzo fai da te, spesso peggiore di quello della loro mensa aziendale. I più disperati sostenitori del passatempo (in attesa della fine delle vacanze, ma più in generale della vita) finiscono persino per leggere l’unico libro dell’anno o per tentare di fare attività fisica, avvallando l’alibi che “quando lavorano non hanno tempo”.
La terribile “sindrome da rientro”
Agosto si è portato via il clima di vacanze che ogni anno caratterizza il periodo centrale dell’estate. Puntualmente ritorna il dramma del rientro al lavoro, tant’è che molti media hanno dedicato al problema servizi o articoli. Come è possibile che una persona viva il dramma del rientro senza porsi il problema di cambiare qualcosa, di migliorare la situazione? A che serve andare al lavoro qualche giorno dopo, pensare al periodo successivo di ferie o, peggio, rassegnarsi? Incominciamo con il chiederci cosa non va nel nostro lavoro.
Sono i colleghi? Impariamo a conoscerli e a vederli con più distacco, in fondo l’umanità può anche essere divertente nella sua drammaticità; impariamo a diventare leader, se non seguiti (visto che siamo allo stesso livello) almeno rispettati. E non usiamo lo scontro, ma la forza calma, l’ironia senza cattiveria, diventando a poco a poco superiori, usando una superiorità molto distaccata, non voluta, ma percepita dagli altri che, alla fine, non ci romperanno più.
Sono i capi? Non abbiamo paura di confrontarci con loro, mettiamoci sul loro stesso piano e, sempre rispettando i ruoli, non esitiamo mai a esplicitare il nostro pensiero. Se sono capi intelligenti apprezzeranno anche nella diversità, magari miglioreranno, se sono capi stupidi ci potrà essere uno scontro; ma allora è meglio pensare di cambiare lavoro e di trovare capi più intelligenti. Tanti anni fa, alla mia prima riunione di lavoro, ultimo arrivato, mi beccai tanto fumo da stare quasi male con una laringite che mi tormentò per qualche giorno. Alla seconda riunione, quando fu accesa la prima sigaretta, mi alzai (era inverno) e spalancai la finestra con uno “Scusate, è per il fumo”. Il capo non riuscì che a dire: “Ma lei fa sempre così?”. “Lo faccio per voi, non è civile affumicare chi non fuma”. Mi pregarono di chiudere la finestra in cambio di un’astinenza dal fumo. Da allora nelle riunioni nessuno fumò più. Certo, era un centro di ricerca e le persone sapevano ragionare; in altri posti probabilmente mi avrebbero sbattuto via, ma in tal caso ci avrei guadagnato perché non erano posti in cui la qualità della vita era migliorabile. Meglio un lavoro più umile (quanti a parole sono d’accordo, ma nei fatti poi accettano un mare di umiliazioni per tenersi un lavoro un po’ più “ricco”!) che un lavoro incompatibile con la nostra personalità.
È il lavoro? Troppo noioso, troppe responsabilità, troppi impegni? E facciamo qualcosa per cambiarlo o cambiamolo. Non facciamo come quel mio amico medico cui era stata affidata la direzione di un nuovo reparto che aveva trovato la geniale soluzione nelle pastigliette di Tavor. Mentre si chinava a raccogliere un pacco di fogli che gli era maldestramente caduto, le pastigliette che aveva nel taschino si erano sparse sul pavimento. Si sentì in dovere di spiegarmi che erano “per le nuove responsabilità del reparto”, che in fondo erano leggere (una penosa bugia per un medico il definire leggero un qualsivoglia tranquillante…). Oggi a vent’anni di distanza dimostra almeno dieci anni in più della sua età cronologica; forse, se anziché alle pastigliette, si fosse affidato a una strategia migliore…