La timidezza è un classico aspetto della personalità che si basa su un confronto con la popolazione: si è timidi quando il proprio comportamento esitante, difensivo, impacciato è esagerato rispetto alla situazione in cui ci si trova, giudicato tale in base alla “normale” (cioè media) reazione di altri soggetti.
Per capirci, se un soggetto è un po’ impacciato durante un esame non necessariamente è timido (è “normale” esserlo, soprattutto se non si è preparati); viene invece giudicato tale se lo è di fronte a una persona dalla quale è attratto e alla quale vorrebbe dichiararsi. Esistono sostanzialmente tre gradi di timidezza (Albanesi, 2017):
- Patologica (fobia sociale, attacchi di panico ecc.).
- Fisiologica (la timidezza è accompagnata da manifestazioni esteriori come rossore del viso, balbettio, sudorazione ecc.; si noti che queste manifestazioni sono condizioni necessarie alla timidezza di tipo 2, ma non sono sufficienti in quanto possono comparire anche in altre situazioni: ira, concentrazione estrema, coinvolgimento emotivo in quello che si sta facendo, per esempio un discorso molto importante in pubblico ecc.).
- Interiore (non c’è nessuna manifestazione fisica esteriore).
I livelli 2 e 3 sono l’oggetto di questo articolo. Recentemente, in campo psichiatrico si è tentato di valutare i punti 2 e 3 come forme leggere di 1, ma è evidente il tentativo di medicalizzazione della società con una promozione del trattamento farmacologico dei problemi dell’individuo.
La timidezza può essere globale o locale. La prima si può definire timidezza primaria, il soggetto è giudicato timido praticamente in ogni situazione della sua esistenza che richieda un contatto con gli altri; la seconda è la timidezza secondaria e si ha quando il soggetto è timido solo in particolari circostanze, mentre appare del tutto normale o addirittura spavaldo in altre.
Cause
Nel caso di timidezza primaria, le cause si possono riassumere nella principale paura di sbagliare, di risultare inadeguati, di non riuscire a ottenere un determinato risultato, di essere mal giudicati: in sostanza di “fallire”. Non a caso il popolo più timido è quello giapponese per la cui cultura il fallire è “vergognoso”.
La timidezza primaria è trasversale fra le varie personalità, visto che deriva, consciamente o inconsciamente, da un’autostima da risultato. In alcuni casi, quella secondaria dipende direttamente da una personalità critica del soggetto.
Inibiti – Possono manifestare timidezza secondaria in campo amoroso.
Succubi – Possono manifestare timidezza secondaria nelle relazioni con i propri superiori (quando la sottomissione è data dal mancato distacco dai genitori).
Romantici – La timidezza secondaria del romantico in campo amoroso è abbastanza facile da comprendere; ma poiché l’idea dominante del romantico può essere diversa dall’amore, ecco che il romantico che ha come idea dominante il lavoro può essere timido nel rapporto con i superiori, soprattutto se svolge mansioni per lui molto impegnative.
Deboli – In tutti quei casi in cui è impossibile proporre o raggiungere il compromesso tipico del debole, la timidezza è una normale reazione di chiusura. In questi casi, non è raro che il timido non riesca a far valere i propri diritti, né riesca a esprimere le proprie opinioni. Quanto più il soggetto è debole, tanto più la timidezza diventa globale e quindi primaria. Non a caso, quando il debole si sente forte, da timido può passare ad atteggiamenti autoritari, a volte persino violenti.
Sopravviventi – Nel caso del “bravo ragazzo”, la timidezza verso i superiori è spesso presente.
Insufficienti – L’insufficiente può dimostrare timidezza negli ambienti in cui perde il suo faro di riferimento.
Patosensibili – La timidezza è la naturale conseguenza di un’eccessiva empatia verso gli altri che, quando non apprezzata o non riconosciuta, si chiude in sé stessa.
Sia in caso di timidezza primaria che secondaria, il timido cerca di relazionarsi con persone che non esasperano il problema (per esempio il corteggiatore timido continua a rimandare la sua proposta, a volte addirittura ignorando la persona amata); quando il gruppo di relazione è piuttosto ristretto il timido può essere giudicato un introverso.

Esistono sostanzialmente tre gradi di timidezza: patologica, fisiologica o interiore
Introversione e timidezza
Un errore comune è ritenere che il timido debba necessariamente essere introverso, soprattutto perché l’introversione viene spesso intesa in modo molto semplicistico come la naturale tendenza a ripiegarsi su sé stessi, rifiutando in misura più o meno netta il confronto e il rapporto con gli altri. In realtà, un timido può essere introverso solo per come appare esteriormente, ma spesso appare tale solo nell’ambiente in cui la sua timidezza si manifesta e comunque (a differenza del vero introverso) non vorrebbe esserlo.
Per giudicare una persona timida non ha perciò pregio la constatazione del suo sostanziale mancato rapporto con gli altri (paradossalmente può trovarsi in un gruppo con cui non gli importa molto entrare in contatto; il caso classico è l’individuo che sul lavoro parla poco dei fatti suoi semplicemente perché i colleghi hanno altri interessi e altri valori), ma si deve sempre partire dalla sensazione di inadeguatezza, dall’impaccio e dall’esitazione provata nello stare con gli altri.
Come superare la timidezza
Come superare la timidezza? Facciamolo in tre mosse.
La prima mossa per superare la timidezza è quella di imparare a costruire un’autostima indipendente dal giudizio altrui – La famosa frase evangelica “non giudicate e non sarete giudicati” sottintende una sostanziale critica del giudizio quando, in realtà, nell’essere giudicati non c’è nulla di male. Purtroppo questo concetto non è compreso dal timido che ha un’autostima che poggia pesantemente sul giudizio altrui. Dovrebbe invece costruirsi un’autostima basata su valori morali ed esistenziali.
Per superare la timidezza è anche necessario imparare a vedere i propri errori come opportunità di miglioramento – Chi non sbaglia mai, non capirà mai la realtà, l’importante è cercare di non ripetere sempre lo stesso errore! Questo punto è particolarmente utile per tutti coloro che sono impacciati nei rapporti amorosi. Meglio dichiararsi e ricevere un rifiuto che tacere. Il rifiuto indica semplicemente che la persona cui ci siamo rivolti non era la persona giusta, non era in sintonia con noi e che un eventuale rapporto non sarebbe stato così idilliaco come ce l’eravamo immaginato. In questi casi, spesso, il timido adduce l’alibi di non essersi dichiarato perché “non era sicuro che l’approccio fosse quello giusto”. Purtroppo il romanticismo ha illuso le persone che esistono approcci giusti e approcci devastanti, quando per approccio giusto si intende spesso solo un approccio basato sull’inganno, mostrandosi migliori di quanto realmente si è, con il risultato di avere un primo successo seguito da cocenti delusioni quando la controparte scoprirà la verità. Quindi, se siete timidi in amore, mostratevi come siete e, se arriverà un rifiuto, ringraziate la persona di avervi fatto capire in fretta che non era la persona giusta per voi.
L’ultima mossa consiste nell’imparare a essere ironici e autoironici – La sintesi dei due punti precedenti che permette di evitare di vedere gli errori come danni e fallimenti.