Stalking è un termine di origine inglese con il quale si fa generalmente riferimento alla messa in atto, da parte di un soggetto (o di un gruppo di soggetti), di comportamenti ostili e persecutori nei confronti di un’altra persona.
Il termine stalking deriva dall’inglese to stalk, verbo che in italiano può assumere vari significati fra i quali inseguire furtivamente la preda, perseguitare, molestare, ossessionare. Stalker è colui che fa stalking.
Lo stalking non va confuso con il mobbing; mobbing e stalking sono entrambi termini che definiscono comportamenti violenti continuati di un soggetto (o di un gruppo di soggetti) verso una vittima. La differenza fra mobbing e stalking non è però affatto definita; per prassi si tende a parlare di mobbing quando la persecuzione è sul posto di lavoro e di stalking quando riguarda la sfera privata dell’individuo.
In ambito psichico, lo stalking è viene definito come sindrome del molestatore assillante.
Vista la traduzione italiana del termine stalking, la sua scelta per indicare i comportamenti tenuti dai molestatori (appostamento, pedinamento, ricerca di informazioni) è particolarmente azzeccata; in effetti, lo stalker è, nei confronti della sua vittima, un vero e proprio cacciatore che sta braccando ossessivamente una preda.
Secondo alcuni autori sono tipicamente due i tipi di comportamento che contraddistinguono colui che fa stalking: comportamento intrusivo e comportamento di controllo.
Con comportamento intrusivo si fa riferimento a una forma di comunicazione con la quale il molestatore tenta di far conoscere al molestato il proprio stato emotivo, i propri bisogni, i propri desideri ecc. Questo tipo di comportamento può manifestarsi in modo contraddittorio; i sentimenti in gioco, infatti, possono essere totalmente diversi fra loro (amore, odio, tenerezza, rancore, rabbia, desiderio di vendetta ecc. ). Lo stalker mette in atto questo comportamento assillando la sua vittima (tale è considerata la controparte) con telefonate, lettere, messaggi telefonici, e-mail e via discorrendo.
Con comportamento di controllo si fa invece riferimento a una strategia finalizzata essenzialmente al controllo costante dell’altra persona; è quindi il caso, di appostamenti, pedinamenti, visite nei luoghi frequentati dal soggetto molestato (l’ambiente domestico o quello di lavoro, per esempio) ecc.
Di norma, i due tipi di comportamento sopra citati vengono entrambi utilizzati dallo stalker e ciò può avvenire sia in successione sia a fasi alternate.
Stalker: le tipologie
Classicamente, sono state definite cinque tipologie di stalker: il risentito, il bisognoso di affetto, il corteggiatore incompetente, il respinto e il predatore.
Lo sforzo di definire le varie tipologie di molestatore non ha scopi puramente didattici, ma è nato dall’esigenza di delineare i vari profili degli stalker in modo da cercare, nei limiti del possibile, di prevedere i comportamenti di un determinato molestatore. Analizziamo brevemente le cinque tipologie di stalker.
Nella categoria degli stalker risentiti rientrano tutti quei soggetti i cui atti di molestie sono dettati dal desiderio di vendetta; essi hanno (o ritengono di aver) subito un danno e si sentono autorizzati a vendicarsi. Lo stalker risentito è una fra le figure di molestatore ritenute più pericolose.
Lo stalking dei bisognosi di affetto è un comportamento che trae origine dal desiderio di iniziare una relazione amorosa o comunque di amicizia che ritengono per loro necessaria. In molti casi, la vittima viene scelta in modo casuale dietro la base di caratteristiche che lo stalker ritiene fondamentali per appagare i propri desideri. Di norma, il rifiuto del molestato a instaurare un rapporto amoroso o di amicizia viene erroneamente interpretato dallo stalker come una momentanea difficoltà dell’altra persona a lasciarsi andare a ciò che anche essa desidera (cioè il relazionarsi affettivamente con lo stalker). Fanno parte della categoria degli stalker bisognosi di affetto coloro che in ambito psichiatrico sono ritenuti affetti da delirio erotomane.
Gli stalker definiti corteggiatori incompetenti sono solitamente molestatori il cui comportamento è essenzialmente legato alle loro scarse capacità nel relazionarsi socialmente. Generalmente si tratta di persone che manifestano la loro voglia di relazionarsi ad un’altra persona attraverso comportamenti inopportuni e rozzi, eccessivamente fastidiosi o insistenti o scortesemente espliciti. Tipicamente il corteggiatore incompetente non insiste troppo a lungo su una stessa persona, ma ha la tendenza a ripetere lo stesso tipo di comportamento con soggetti diversi.
Tra gli stalker respinti rientrano invece coloro che fanno stalking in conseguenza di un rifiuto o perché sono stati lasciati dal proprio partner. Il comportamento di questa tipologia di stalker è ambivalente; oscilla, infatti, fra la voglia di tornare a far parte della vita dell’altra persona e il desiderio di vendicarsi di quello che viene considerato un vero e proprio affronto. Generalmente lo stalking dei respinti è insistente e di lunga durata, spinto dal desiderio di tenere in vita un rapporto senza il quale la vita appare insopportabile. Questo attaccamento patologico all’altra persona può portare lo stalker a compiere atti di gravissima entità pur di riconquistare l’oggetto del suo desiderio.
Nella quinta categoria, quella degli stalker predatori, rientrano tutti i molestatori i cui comportamenti sono dettati dal desiderio di avere rapporti a carattere sessuale con l’altra persona. Peraltro, la paura della vittima nei confronti dello stalker esalta notevolmente forza ed eccitazione di quest’ultimo.
La visione del Personalismo
Il Personalismo propone un’efficace spiegazione della cause di stalking. Si veda l’articolo Violenza sulle donne e Personalismo.
Dati sullo stalking
I numeri sullo stalking sono impressionanti come dimostrano i dati definitivi più recenti diffusi dall’ISTAT.
Si stima che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (vale a dire circa 2 milioni e 151mila) abbia subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria esistenza. Se prendiamo in considerazione le donne che hanno subito più volte gli atti persecutori, queste sono il 15,3%, mentre quelle che hanno subito lo stalking nelle sue forme più gravi sono il 9,9%.
Nell’arco della propria vita, lo stalking subito da parte di altre persone è invece del 10,3%, per un totale di circa 2 milioni 229mila donne.
Complessivamente dunque sono circa 3 milioni e 466mila le donne che hanno subito stalking da parte di un qualsiasi autore, pari al 16,1% dei soggetti di sesso femminile.
Nel corso dei 12 mesi prima dell’intervista (i dati definitivi diffusi si riferiscono al 2014), le vittime di stalking da parte di ex partner sono 147mila, 1,5% delle donne. Di queste, circa 81mila si sono lasciate con il partner proprio negli ultimi 12 mesi. Sono 478mila (2,2%) quelle che dichiarano di averlo subito da altre persone.
Nei casi di autore diverso da un ex partner, le donne hanno subito stalking da conoscenti (nel 4,2% dei casi), sconosciuti (3,8%), amici o compagni di scuola (1,3%), colleghi o datori di lavoro (1,1%), dai parenti e dai partner con cui la donna aveva al momento dell’intervista una relazione (entrambi nello 0,2% dei casi). Gli autori di stalking sono maschi nell’85,9% dei casi a fronte di un 14,1% di femmine.
Nel 70% dei casi gli atti persecutori si sono verificati più volte nel corso della settimana. Il comportamento persecutorio subito al momento o dopo la separazione è continuato per mesi per il 58,8% delle vittime e nel 20,4% dei casi è durato più di un anno.
Il 78% delle vittime non si sono rivolte ad alcuna istituzione e non hanno cercato aiuto presso servizi specializzati; soltanto il 15% di loro si sono rivolte alle forze dell’ordine, il 4,5% a un legale, mentre l’1,5% ha cercato aiuto presso un servizio o un centro antiviolenza o anti-stalking.
Tra le vittime che non si sono rivolte a istituzioni o a servizi specializzati, una su due afferma di non averlo fatto perché ha gestito la situazione da sola.
Le vittime riportano che, a seguito delle azioni intraprese, i comportamenti di stalking sono cessati nel 59,8% dei casi, rimasti immutati nel 21,6%, ridotti nel 16,6% e aumentati nel residuo 2,0% dei casi.

Gli uomini tendono a commettere stalking solo nei confronti di donne, le donne invece nei confronti sia di donne che di uomini
La legge
Il nostro ordinamento giuridico considera lo stalking un reato di natura penale.
Il codice penale lo disciplina nell’articolo 612-bis e lo indica con la locuzione “atti persecutori”.
Si commette reato di stalking quando, in modo ripetitivo, si tengono comportamenti caratterizzati da invadenza e intromissione, quando si minaccia un’altra persona con telefonate, messaggi, pedinamenti, appostamenti ecc.
Affinché si possa parlare di stalking è necessario che la vittima finisca per versare in uno stato di grave timore per la propria salute o per la propria sicurezza (o per quelle di soggetti a lei vicini) in modo da costringerla a modificare lo stile di vita quotidiano al fine di sfuggire agli atti persecutori.
Non si può invece definire stalking un isolato episodio di molestie, per quanto invadente esso possa essere; perché si possa configurare la fattispecie di stalking, quindi, è necessario che il comportamento del molestatore sia reiterato nel tempo.
Chi è riconosciuto colpevole del reato in questione è punibile con il carcere.
Difendersi dallo stalking: il profilo della vittima
Come abbiamo visto, la legge non può tutelare in modo assoluto la donna vittima di stalking. Curiosamente, mentre per difendersi da una generica (quindi possibile, futura) violenza sessuale, molte donne frequentano corsi di autodifesa o addirittura girano armate, nei casi di stalking la donna appare inerme e incapace di una qualunque reazione se non quella della fuga. In effetti, vedremo che quando si fugge è ormai troppo tardi e che la difesa dallo stalking deve essere preventiva, secondo il vecchio adagio che prevenire è meglio che curare.
Per questo si consulti l’articolo Come riconoscere uno stalker.
Non è difficile capire che lo stalker ha una personalità violenta, ma che dire della vittima?
Come può una persona arrivare in una simile situazione? Quello che nessuno ha il coraggio di dire è che si tratta di una persona che accetta la violenza come “normalità”.
È infatti impossibile che lo stalker nei primi approcci non sia mai stato violento: un insulto, uno schiaffo, uno strattone, una violenza psichica come proibizioni e pretese di comportamenti. Se la donna è equilibrata, non accetta nessuna di queste forme di violenza. Ripetiamo: nessuna.
Si può dire che la vittima di stalking faciliti l’azione del criminale con una personalità che in qualche modo entra in risonanza con quella dello stalker.
La vittima può essere (come personalità critica):
- insufficiente
- romantica
- violenta
- sopravvivente
La donna può accettare la violenza perché insufficiente: è il caso di tante mogli che ritengono che il marito sia insostituibile nella loro vita perché non saprebbero mantenersi economicamente; le botte diventano un pegno da pagare per avere il pane quotidiano per lei e i propri figli.
Può accettarla perché romantica, con l’idea che per amore si debba subire di tutto (ecco una delle gravi conseguenze del romanticismo, ancora troppo osannato nella nostra società).
Può accettarla perché violenta essa stessa, in particolare tutte quelle donne violente non criminali per le quali la gelosia è il sale dell’amore. Se si accetta la gelosia (anche in forma lieve), è normale accettare l’idea di possesso reciproco e quindi la violenza per non perderlo è, in parte, tollerata. Il fatto che nel rapporto fra due persone violente sia la donna quella che ci perde deriva semplicemente dai rapporti di forza uomo-donna: lei tira i piatti, schiaffi e graffi, lui la strangola.
Può accettarla perché da sopravvivente ritiene che “si deve avere un partner” e pensa che quello che ha trovato sia l’unico, uno da non perdere (strategia dell’ultima spiaggia).
In ogni caso, il miglior modo di difendersi dallo stalking è di escludere dalla propria vita gli uomini che manifestano una qualunque propensione alla violenza.

Riconoscere un episodio stalking non è sempre facile perché i confini sono sottili, e anche perché ci sono frequenti casi di false denunce
Riflessioni
Se si considera che i media sono propensi a citare solo i casi di stalking più eclatanti (quelli tragici) non è difficile credere che il fenomeno sia una vera e propria piaga sociale. Da un lato la causa è evidente: la società italiana è ancora così arretrata che molti uomini si arrogano il diritto di perseguitare una donna, ritenendosi perfettamente sani di mente.
Sicuramente il romanticismo latino (“senza di te non vivo”) o il vecchio maschilismo (“se mi lasci mi disonori”) giocano un ruolo fondamentale nel difficile funzionamento di questi cervelli medioevali. Tre sono i virus da rimuovere.
1) Perché i media non parlano mai di microstalking? La definizione è mia e corrisponde a qualcosa tipo “corteggiamento insistente”.
Un esempio che fa riferimento a un fatto realmente accaduto. Un ragazzo di venti e passa anni (probabilmente buttati) conosce una ragazza; la ragazza rifiuta cortesemente il suo invito ad andare “a bere qualcosa”. Il ragazzo non si rassegna, la cerca nel suo gruppo di amici, la ragazza rifiuta ancora, meno cortesemente, il nuovo invito. Il casanova non demorde; ricerca la ragazza, arriva ai suoi nonni e da qui alla casa della ragazza dove si presenta come “suo amico”; la ragazza non è in casa e lui decide di lasciarle una lettera dove la sua mente infantile fa sfoggio del peggior romanticismo. Lascia un numero di telefono che serve al padre della ragazza per porre fine alla vicenda.
Molti sorrideranno, ma questo ragazzo, da adulto, poteva diventare uno stalker, soprattutto se avesse trovato una moglie che poi se ne fosse andata. Quindi smettiamola di vedere il corteggiamento come sempre positivo.
2) La seconda cosa che si deve notare è che la vittima ha spesso una personalità debole (oltre a quella che innseca il fenomeno). Lo stalker è raramente un criminale incallito e non è difficile tenerlo a bada, basta usare una pressione superiore alla sua. In un’intervista che ho sentito tempo addietro, una donna in lacrime si diceva sicura che “lui l’avrebbe uccisa”. Quello che stupiva era l’assoluta rassegnazione della donna che aveva sì fatto una denuncia, ma era consapevole che “sarebbe stata uccisa”. Nessun tentativo di difesa. Una persona forte prende il porto d’armi e, quando lo stalker si avvicina minaccioso e tenta l’aggressione finale, può difendersi, arrivando anche a ucciderlo, se messa alle strette. Al massimo può essere accusata di eccesso di legittima difesa, ma è meglio un processo che essere ammazzati o fuggire per tutta la vita.
3) Il terzo punto da sottolineare è che manca nella nostra società la consapevolezza del concorso di colpa esistenziale. Come posso stare per mesi (o per anni!) con un uomo che poi finirà per uccidermi senza accorgermi che è violento o comunque “non normale”? Come posso essere così non autosufficiente da restarci accanto per mesi, anche se mi sono accorta che qualcosa non va? Se io faccio una scelta, ne subisco le conseguenze.
Questo banale concetto non è insegnato ai ragazzi, anzi in molti talk show è disatteso da altre idiozie tipo “al cuore non si comanda”. La vittima dello stalking paga una sua scelta sbagliata (ovviamente questa non è un’attenuante per lo stalker, anzi, se vogliamo, è un’aggravante perché approfitta di una persona esistenzialmente non al meglio), quindi cerchiamo di capire che alla base dello stalking c’è sì la violenza dell’uomo, ma anche un errore esistenziale da parte della donna. Se rifiutato totalmente (cioè al primo e unico approccio), è difficile, e solo in casi veramente patologici, che lo stalker continui la sua azione perché gode del controllo che ha (ecco perché una vittima debole è l’ideale) o del ripristino di tale controllo.