La rotazione è uno dei concetti collegati a quello fondamentale di oggetto d’amore perché permette di generalizzare un concetto che molte strategie esistenziali precedenti identificavano con questo o con quello.
L’importante non è cosa amare, ma avere qualcosa da amare!
Questo però è il primo passo. Chi ha capito il concetto capacità d’amare avrà compreso che non basta amare qualcosa perché la possibilità di perdere l’oggetto d’amore (lutto) esiste sempre.
La parte sull’indipendenza dovrebbe essere ben recepita da tutti coloro che ritengono (erroneamente) l’avere un oggetto d’amore quale condizione sufficiente alla felicità stabile. Senza ricorrere agli esempi drammatici di chi perde una persona cara, tutti i giorni mi capita di ricevere mail di chi non può più fare sport e “cade in depressione” o nello sconforto. Ha perso il suo oggetto d’amore (che erroneamente riteneva eterno) e si trova smarrito.
L’ovvio (per chi conosce il Personalismo) riferimento alla capacità d’amare per costruirsi nuovi oggetti d’amore spesso non sortisce effetto a breve perché il soggetto non ha mai esercitato la sua capacità d’amare, convinto che bastasse quell’unico oggetto per assicurargli la felicità perenne (è, se vogliamo, un comportamento un po’ immaturo, come quello dell’adolescente che s’innamora e crede nella felicità perenne del suo innamoramento).
Senza voler fare l’uccello del malaugurio, dobbiamo essere preparati a perdere il nostro oggetto d’amore e quindi è opportuno esercitare la nostra capacità d’amare su più fronti.
Ovviamente non dobbiamo cadere dalla padella nella brace e avere troppi oggetti d’amore, vissuti tutti superficialmente (ma allora che oggetti d’amore sono?) per mancanza di tempo o di risorse. Il problema l’ho già affrontato in La felicità è possibile (L’analisi dei conflitti) e anche nel commento allegato all’articolo sugli oggetti d’amore.
Supponiamo però di avere due, tre, quattro o più oggetti d’amore che riusciamo a gestire abbastanza bene. Come sceglierne la priorità nella nostra vita? Appare ovvio, per esempio, dedicare più tempo alla persona che si ama che a un oggetto d’amore, e fra due oggetti d’amore dare più spazio a quello che sentiamo darci di più.
La priorità non può prescindere dal concetto di rotazione degli oggetti d’amore. Quando facciamo entrare qualcosa nella nostra vita con l’importante attributo di oggetto d’amore è necessario che decidiamo la quantità di risorse (e il tempo dedicatogli è una di queste) che vogliamo assegnargli. Fin qui tutto chiaro.
La rotazione è frutto della consapevolezza che l’assegnazione delle risorse deve essere dinamica, non statica e immutabile.
Periodicamente nella nostra vita (spesso in concomitanza a cambiamenti significativi) si ridiscute l’assegnazione delle risorse e gli oggetti d’amore ruotano, cambiando priorità.
Un esempio interessante è quello che si collega a una concezione moderna della vecchiaia. Chi ha per esempio messo i figli fra gli oggetti d’amore prioritari della propria vita durante la parte centrale dell’esistenza (quando i figli andavano educati e cresciuti), se interpreta correttamente il distacco, quando i figli diventano autosufficienti, li lascerà andare, ridiscuterà i suoi oggetti d’amore e aumenterà per esempio il tempo dedicato al partner o agli oggetti d’amore, senza che questo significhi che è diminuito l’affetto per le proprie creature.
L’errore classico – Un errore classico consiste invece nell’avere presente il concetto di rotazione, ma nell’eliminare l’oggetto d’amore, rimandando a tempi più lontani il suo eventuale recupero. Questo fanno tante persone a causa del lavoro, della famiglia o di un oggetto d’amore che cannibalescamente uccide tutti gli altri. Oltre a predisporsi al dramma del lutto (la perdita dell’unico oggetto su cui avevamo investito), capita che non si abbiano più le forze fisiche o psicologiche per riprendere ciò che si amava e che è stato abbandonato. Se vogliamo prendere una laurea, meglio dare un esame all’anno piuttosto che rimandare questo nostro desiderio “a quando avremo tempo”; spesso quando lo avremo ritrovato, si sarà così arrugginiti nello studio che rimettersi a studiare comporterà difficoltà inimmaginabili. La cosa vale anche dal punto di vista fisico ed è dimostrata da tutti coloro che abbandonano lo sport per mancanza di tempo e si illudono di riprendere “quando saranno più tranquilli”. In sovrappeso, più anziani, con muscoli ridotti al minimo, spesso la ripresa è così penosa che dopo diversi tentativi si convincono che “non hanno più l’età”.

L’importante non è cosa amare, ma avere qualcosa da amare!
La rotazione – Come un buon gestore delle proprie finanze diversifica gli investimenti, modificando periodicamente nel tempo l’allocazione del suo patrimonio, così noi dobbiamo imparare a:
- scegliere gli oggetti d’amore;
- ruotarli a seconda delle situazioni che viviamo.
L’oggetto non deve essere unico (per avere stabilità), ma non dobbiamo nemmeno averne troppi (per evitare conflitti o superficialità); gli oggetti d’amore devono essere “tenuti in vita” (rotazione, non eliminazione) anche nei momenti più difficili, con quelli a più bassa priorità che comunque entrano qui e là nelle nostre giornate.
IL COMMENTO
Qualcosa da amare
Vorrei che coloro che hanno letto l’articolo sulla rotazione riflettessero sulla loro situazione, in particolare coloro che stanno investendo troppo sull’attività sportiva vista come unico mezzo di gratificazione della vita.
A completamento del pezzo, vi indico la mia personale rotazione negli ultimi 15 anni della mia vita, facendo un’analisi di tre miei oggetti d’amore. Quindici anni fa la corsa era sicuramente l’oggetto d’amore più importante: avevo un gruppo di amici che andava veramente forte, con loro ho vissuto la fase del recordman, scoprendo i miei limiti, ben oltre i 40 anni. La caccia era limitata a un paio di mesi all’anno; avevo un cane bravo, ma non bravissimo, ubbidiente come la normalità dei cani da caccia (che non lo sono poi molto…) e purtroppo un po’ limitato fisicamente; io venivo dalla caccia alla lepre con i segugi e non avevo certo capito come si cacciavano i fagiani, come trovarli anche quando sembrava che non ci fossero più. Così cacciavo da metà settembre ai primi di novembre, non disdegnando di perdere qualche domenica per la corsa con il gruppo in giro per la provincia. Inoltre c’erano gli scacchi, dopo essere diventato maestro li avevo riposti perché non vedevo possibilità di ulteriore miglioramento; ma non li avevo abbandonati, qualche partita in Rete, un torneo ogni anno a Nizza: anche se il livello peggiorava, la consapevolezza che fosse importante non lasciarli me li faceva apprezzare.
Poi arrivò Cassie, un cane a cui mancava solo la parola. Il gruppo della corsa si sfaldò (un po’ per gli errori che racconto nel sito della corsa; solo uno dei vecchi amici corre ancora, con gli altri non posso che ricordare i vecchi tempi…) e il più delle volte mi toccava correre da solo. Per la maratona del 2003 la preparazione (per me che non sono un maratoneta) fu dura; l’aver centrato l’obiettivo doveva rendermi oltremodo felice, ma subito dopo l’arrivo non vedevo l’ora di tornare a casa (da Alessandria) per poter andare a caccia (era fine ottobre) con Cassie che aveva solo sei mesi, ma era già bravissima. Quel pomeriggio presi un fagiano, ma il Castoldi mi raccontò di come la mattina, sul tardi, ne aveva presi un paio perché “la giornata era buona e si capiva che sarebbero usciti dal canneto”. Capii che era ora di ruotare, con la caccia che sorpassava la corsa. Di questa avevo capito anche i più fini segreti e le più profonde emozioni, della caccia no, dovevo ancora arrivare in cima.
Nel 2008 lessi in rete di un libro di Aagaard, mi informai e scoprii che la didattica scacchistica negli ultimi anni aveva fatto passi da gigante. Mi sembrò che ci fossero le premesse per migliorare; lo lessi e alla fine cercai di risolvere gli esercizi che proponeva. Ci riuscii solo in 3 casi su 12, ma una nuova sfida mi stimolava e la corsa passò al terzo posto.
Tranquilli, occupa sempre un posto molto importante, ma diverso. Ora corro tre o quattro gare all’anno, ma quasi per caso, le mie sfide ormai sono con le bici del paese o con gli amici, magari ad handicap, sul percorso dell’argine: non si vince niente, non si fanno record, ma si sta bene.
Il tempo che dedico ai miei oggetti d’amore è notevole nel complesso, ma basato sul principio Personalismo della rotazione. Tuttavia mi sembra di aver capito che in questo contesto si parli di “cicli” (per esempio della corsa che cede il posto a quello della caccia che a sua volta lo cede a quello degli scacchi), la situazione nella mia quotidianità è un po’ diversa. La frequenza con cui mi dedico a un’attività condiziona anche il mio impegno, il quale inizia a calare non appena si supera una certa soglia di tempo dedicato all’attività stessa.
Approfondiamo il concetto di rotazione.
a) Un oggetto d’amore non viene mai abbandonato. Se si arriva alla nausea o alla saturazione vuol dire che il proprio approccio non è stato ottimale (come quello di tanti runner che si massacrano per 2 o 3 anni come professionisti e poi non corrono più!). Cala la sua priorità, cioè il tempo dedicato a esso, ma viene comunque gestito per “i tempi migliori”; gestirlo significa usare periodi di mantenimento, di rigenerazione ecc. Questi termini sono derivati dall’attività sportiva, ma hanno un senso per ogni oggetto d’amore, almeno fintanto che esso resta tale.
b) Se fa piacere (non deve essere mai un dovere!) massimizzare i risultati in un proprio oggetto d’amore, la strategia di non abbandonarlo (strategia della continuità) è quella che paga sicuramente di più. L’anno scorso ho ripreso a giocare a scacchi intensamente, ma nei dieci anni precedenti continuavo a fare almeno un torneo all’anno, magari con scarso allenamento, tanto per rimanere nell’ambiente, leggevo le riviste. Ora dedico dieci volte più tempo, ma sono sicuro che se avessi smesso del tutto dicendomi “tanto prima o poi tornerò”, sarebbe stata più dura. Molti oggetti d’amore muoiono perché vengono rimandati a “data da destinarsi”.