La motivazione è l’insieme dei fattori che orientano il comportamento di un soggetto verso un certo obiettivo. Ogni attività umana ha una motivazione, più o meno conscia. Secondo la psicologia classica si distingue una motivazione intrinseca (quella in cui l’obiettivo è stimolante e gratificante di per sé) da quella estrinseca (quella in cui lo scopo è esterno all’obiettivo (come la ricerca di riconoscimenti oppure l’evitare una punizione o un biasimo).
In questo articolo proponiamo una diversa visione del concetto. Durante la nostra giornata compiamo gesti con motivazione primaria e gesti con motivazione secondaria.
NOTA IMPORTANTE – Per una piena comprensione di questo articolo è necessario conoscere in dettaglio molti concetti (i vari link approfondiscono i termini proposti).
Motivazione primaria
La motivazione primaria è una motivazione a cui nessuno ovviamente è immune, anche se la locuzione può non essere chiara. Si tratta della motivazione alla base di attività che sono necessarie (o che si ritengono necessarie) alla sopravvivenza e al mantenimento della propria qualità della vita: mangiare, lavarsi, lavare i vestiti, pulire la casa ecc. A sua volta si suddivide in motivazione da gestione e in motivazione da riempimento.
La gestione è di per sé una motivazione “neutra” nel senso che il soggetto la vive senza piacere né dolore; è una motivazione forte in molte attività e spesso si accompagna ad altre motivazioni in cui il piacere è presente. Per esempio, per un amante del giardinaggio, comprare un attrezzo per sistemare il proprio giardino è un’attività di gestione, ma la motivazione è in realtà composta da quella primaria (necessità dell’acquisto) e da quella secondaria (amore per il giardinaggio).
Spesso le attività di gestione della propria vita non sono affatto realmente necessarie: il soggetto (senza essere un ossessivo che per esempio ricerca l’ordine in forma nevrotica) deve riempire la propria vita con qualcosa e lo fa con azioni che non sono necessarie, ma sufficienti a tenerlo occupato; ovviamente lui le ritiene “assolutamente necessarie”. È il caso della casalinga maniaca (nel senso non patologico, ma comune del termine) dell’ordine, di chi alla domenica lava la macchina anche se è pulitissima, di chi costruisce le proprie giornate con una sfilza di compiti nessuno dei quali è veramente fondamentale e che potrebbero essere svolti in modo più veloce e produttivo. La persona si crea cioè dei “problemi” (a volte anche soggettivamente gravi), delle “scocciature”, degli “impedimenti” che la tengono occupata.
Quasi sempre il riempimento è una motivazione inconscia, anzi il soggetto tende ad allontanare da sé l’analisi della motivazione per non scoprire il proprio fallimento esistenziale, vive in uno pseudo-equilibrio che non gli dà gioia, ma nemmeno disperazione.
Alta o bassa? – A parte gli svogliati, gli insufficienti, gli indecisi e i vecchi per i quali la motivazione primaria può essere comunque deficitaria (rispettivamente per una carenza di forza di volontà anevrotica, di sufficienza, di potere decisionale e di energia vitale), in genere le persone non hanno grandi problemi a gestire la motivazione primaria, salvo i casi in cui il soggetto si presenta depresso, stressato o ansioso (la depressione, lo stress e l’ansia possono essere comuni a molte personalità critiche del Personalismo).
Le persone più positive ed equilibrate minimizzano (l’operazione di minimizzazione rende più coscienti sulla reale necessità dell’operazione che si sta compiendo e ciò aumenta la motivazione a farla) le risorse dedicate alle attività di gestione (e ovviamente sono immuni dalle attività di riempimento), evitando di arrivare a un surmenage da gestione (indicato dal fatto che manca la motivazione primitiva a fare le cose necessarie); quindi, se vi ritenete equilibrati, chiedetevi se tutto quello vi sta pesando è veramente “necessario” o non è frutto di condizionamenti non ancora rimossi.
Motivazione secondaria
La motivazione secondaria è quella che ci diamo per svolgere compiti che sappiamo non essere necessari. In genere tali compiti possono essere suddivisi in compiti da altri, compiti facilitanti, compiti spontanei.
I compiti da altri riguardano l’interazione con il mondo esterno e la loro gestione dipende molto dalla personalità del soggetto. In genere sono un buon indicatore di quanto il soggetto non sia equilibrato e possieda personalità critiche: se ci pesano e ci mancano le motivazioni a svolgerle, probabilmente non siamo ancora liberi da condizionamenti che a loro volta innescano personalità critiche. Un caso classico (personalità debole) è dover portare la suocera dal dentista proprio il giorno in cui avremmo avuto qualcosa di molto piacevole da fare.
I compiti facilitanti riguardano gli sforzi che noi facciamo per raggiungere condizioni facilitanti come la ricchezza o un titolo di studio. Da notare che in alcuni casi (fama, successo, carriera) le condizioni facilitanti possono essere vissute in maniera totalmente acritica e asservita, convinti che il traguardo sia sempre e comunque positivo (ritenere qualcosa sempre e comunque positivo è indice di condizionamento). In questo caso, la motivazione può essere alta o bassa, siamo noi che ce la diamo; e sicuramente può essere variabile: per esempio un successo può alzarla, un insuccesso può deprimerla.

Lo slogan di Barack Obama (Yes, We can) è un esempio di motivazione sociale
Nella sua intensità entrano diverse componenti:
- la forza di volontà nevrotica – Il soggetto vuole “a ogni costo” raggiungere la meta; in genere la personalità non è equilibrata (per esempio un romantico la cui idea dominante è il lavoro e che si impegna 24 ore al giorno o un apparente per cui il successo è alla base della sua autostima ecc.).
- La forza di volontà anevrotica (FVAN) – Per chi non è schiavo della meta (per cui non scatta il primo tipo di forza di volontà), la FVAN serve per superare tutto ciò che noi avvertiamo come “temporaneamente” pesante, per esempio la preparazione di un esame che non ci piace oppure una particolare fase del nostro lavoro.
- L’autostima – Chi ha un’autostima da risultato (e quindi equilibrato non è) avrà motivazioni molto altalenanti.
- La capacità d’amare – Se si riesce ad amare almeno un po’ quello che si fa, ovvio che pesi di meno. I soggetti con scarsa capacità d’amare (che cioè non sanno trovare il positivo in ciò che li circonda) possono soffrire di cali di motivazione notevoli.
- Le strategie esistenziali adottate – Per esempio, il debole (strategia del compromesso) potrà limitare la propria motivazione una volta raggiunto il compromesso; l’insofferente potrà addirittura azzerarla se, utilizzando la strategia della fuga, non reputa più facilitante il target (il caso classico della favola della volpe e dell’uva).
I compiti spontanei sono quelli che riguardano i nostri hobby o i nostri oggetti d’amore. In questo caso la motivazione dipende dal nostro amore per la vita e per ciò che facciamo, dalla nsotra energia vitale. Una persona con un tono dell’umore basso avrà spesso cali di motivazione che chi ama la vita non avrà.
Motivazione alta?
Chi ha letto attentamente l’articolo non avrà difficoltà a comprendere che un’alta motivazione esiste solo in due tipi di persone:
- persone nevrotiche – In genere la loro motivazione è altissima solo sull’oggetto della nevrosi; oggetto che può essere mutevole; per esempio il supercompetitivo (“io non ci sto a perdere”) può avere come target una competizione nella sua vita privata (per esempio una gara sportiva) o un obiettivo di lavoro.
- Persone equilibrate – Per chi non conosce la teoria del Personalismo vedasi l’articolo sulle personalità e il test di personalità di Albanesi). In queste persone la motivazione sarà massima quanto più l’autostima sarà libera dal risultato, quanto maggiore sarà la loro capacità d’amare (e avranno oggetti d’amore) e quanto maggiore sarà la loro forza di volontà anevrotica.