Il buonismo può essere definito come l’ostentazione eccessiva di buoni sentimenti. A dire il vero, il termine è spesso usato in ambito politico, ma è opportuno vederne una sua applicazione più generale, in ambito psicologico. Per chi ha familiarità con il concetto di apparenza:
il buonismo non è che un’apparenza di bontà.
Chi è affetto da buonismo vuole apparire buono, comprensivo, collaborativo ecc. Perché si parla di apparenza? Perché è spesso facile trovare contraddizioni nel modo di vivere del buonista.
Buonismo: significato e cause
La definizione in italiano è chiara; non altrettanto in inglese; in questa lingua il concetto non è univocamente definito (do-goodism, do-goodery; i gooders in politica sono i buonisti ecc.). In realtà, anche nella definizione italiana stona quell’aggettivo, “eccessiva”: molti buonisti lo sono soprattutto per sé stessi e non si curano di ricevere consensi. Per capire il reale significato di “buonismo” sarebbe quindi opportuno fare dei distinguo.
Falso buonismo – Vi è dolo, il buonismo serve per ottenere risultati con una condotta falsa che ci fa apparire migliori di quello che siamo. Non è oggetto di questo articolo perché non è significativo a livello piscologico.
Buonismo da patosensibilità – Il buonismo scatta quando si vede il dolore; esempio classico il dona 9 euro al mese.
Buonismo da autostima – Il soggetto si rende conto che avere un’autostima buona e stabile è una notevole condizione facilitante e quindi sceglie l’adesione alla bontà, un valore morale molto importante. La sua autostima si basa su valori morali; quando ha anche oggetti d’amore, la sua autostima diventa molto stabile, a meno che non sia anche attratto dal successo. Per capire la relazione fra valori morali, valori esistenziali e successo nella formazione dell’autostima, si veda l’articolo a essa dedicato.
Buonismo da condizionamenti – Il buonismo deriva dall’educazione subita: condizionamenti familiari, sociali, religiosi portano il soggetto a una condotta di vita buonista. A differenza del buonimso da autostima, la scelta buonista è effettuata in giovane età, concorrendo anch’essa a migliorare l’autostima, ma meno significativamente che nel caso precedente.
Il buonismo poi si può distinguere in base all’oggetto della bontà oppure in base ai condizionamenti ricevuti. In questo secondo caso, sono principalmente da citare il buonismo politico e quello religioso.
Gli oggetti principali del buonismo da autostima sono l’amore per tutti i simili, l’amore per la vita degli animali e l’amore per l’ambiente.
L’amore per tutti i simili
La più comune e universale è “io amo tutti i miei simili”. Una posizione che gratifica molto la propria autostima che si poggia proprio su questa presunta bontà. Poiché l’amore si dimostra con le azioni, il grado di buonismo è inversamente proporzionale all’azione fatta. Si va dal santo, che praticamente dà tutta la sua vita per gli altri, all’ipocrita che ama gli altri solo a parole. In mezzo ci sta una gradazione continua: da chi ritiene che per dimostrare di amare tutto il mondo basti dare 2 euro ai bambini africani, a chi scrive sulla sua pagina Facebook parole di solidarietà per chi soffre e per i poveri salvo poi scannarsi alla riunione condominiale con i vicini di casa.
Molti arrivano a capire che la frase “amo tutti i miei simili” è scorrelata dalla pratica (sarebbe corretto dire “non odio nessun uomo”) e dirigono la loro attenzione a insiemi ben specifici per i quali possono agire. Ecco allora che il volontariato diventa il campo in cui molti si gettano per “apparire buoni”. Il buonismo non consiste tanto nel fare volontariato (che è cosa positiva), quanto nel sostenere il volontariato come un plus: se Tizio dedica 10 ore del suo tempo alla settimana agli anziani perché deve essere considerato migliore di Caio che quelle 10 ore le passa con i suoi figli? Una posizione buonista è per esempio quella che porta a dire: “Ah, è una brava persona, fa volontariato!”. Assurdo che si diano medaglie ai volontari e non a chi ha allevato bene i propri figli (curioso il fatto che spesso gente come Tizio abbia una situazione familiare insufficiente).
L’amore per la vita degli animali
Un’altra forma di buonismo che sta prendendo piede è lo stile di vita vegano (vegetariano, anche se quello vegetariano è meno critico) per motivi etici (non uccidere gli animali). Spesso il soggetto pretende che gli altri lo diventino e che la società si conformi alla sua scelta. Spesso fa della sua scelta una crociata.

Una classica definizione di buonismo è “ostentazione eccessiva di buoni sentimenti”
Analizziamo razionalmente il problema: non uccidere un animale perché si spegne una vita, Ok, ma non si toglie la vita anche a una carota (vedasi La tortora, il pesce e la carota)? Ah, la carota non soffre, quindi per cucinarsi un coniglio basterebbe ucciderlo senza farlo soffrire? In sostanza la posizione del vegano regge razionalmente se la vita della carota vale molto meno di quella del pesce o della gallina. Ragionevole, ma è pure ragionevole che si ammetta che per molti la vita di un pesce o di una gallina valga molto meno di quella di un uomo che quindi può cibarsene. Ecco perché il vegano (vegetariano) che fa una crociata non è equilibrato: perché non accetta lo stesso criterio razionale (scala degli esseri viventi) che potrebbe giustificare la sua posizione.
Non a caso molti animalisti non si accorgono della loro mancata coerenza quando fanno crociate contro l’uccisione di mammiferi, ma non fanno nulla contro l’uccisione delle zanzare, sterminate (con gravi danni per gli uccelli insettivori come le rondini) dalle campagne che ogni comune interessato dal fenomeno mette in atto. La zanzara vale meno di un orso o di un lupo? E allora posso dire che un lupo vale meno di un uomo e, se diventa pericoloso, lo abbatto.
Come nel caso del paragrafo precedente, molti capiscono che una scelta troppo drastica (come quella vegana) è impegnativa per la qualità della vita e ripiegano su scelte più parziali; anche in questo caso il volontariato diventa buonismo quando il soggetto lo considera un vanto, un plus etico rispetto agli altri: c’è il volontario che cura meritoriamente animali feriti per la passione per la natura e quello che si occupa di cani randagi non per il semplice amore per i cani, ma perché così si sente migliore, una situazione non molto diversa dal riccone che fa sfoggio della sua auto o della sua megavilla perché così si sente appagato e superiore agli altri. Anche in questo caso ci sono poi vere e proprie crociate come l’assurda pretesa di spingere le persone che vogliono avere un cane (magari di una certa razza che ha caratteristiche perfettamente compatibili con il futuro padrone) a sceglierlo al canile come “gesto di bontà”. Un po’ come spingere aspiranti genitori a non fare un figlio proprio, ma ad adottare uno dei tanti bambini degli orfanotrofi.
L’amore per l’ambiente
La grande attenzione che i cambiamenti climatici hanno attirato sull’ambiente ha portato molti soggetti a identifcare come grande valore la difesa dell’ambiente; può scattare un buonismo da autostima quando la persona si sente buona perché difende un valore che diventa nettamente prioritario rispetto agli altri valori morali ed esistenziali; sono questa priorità, questa unicità che possono portare a contraddizioni o a condotte praticamente inutili. Le contraddizioni sono tanto più marcate quanto più il soggetto da un lato vuole difendere l’ambiente senza se e senza ma e dall’altro vive in una società che concorre a distruggere quell’ambiente e di quella società ne sfrutta comunque i benefici. Condotte inuitli sono tutte quelle di ambientalisti estremamente critici, fino all’integralismo, con la società occidentale, senza accorgersi che per esempio i danni dell’Europa sono un 6% del totale, essendo molto più rilevanti i danni provocati da grandi Paesi come Cina, India, USA, Russia e Brasile. Non si capisce per esempio perché Greta Thunberg manifesti nelle capitali europee e qualche volta negli USA (Paese comunque democratico) e non vada in Cina o in Russia a parlare di cambiamenti climatici.
Buonismo politico
Il buonismo politico è l’applicazione del buonismo in campo sociale. Alla base di questo comportamento esiste l’affermazione che
il debole è sempre buono.
Tutti comprendono che l’affermazione non ha spessore razionale, ma si poggia sulla convinzione più o meno inconscia, che una certa struttura sociale sia la causa dei problemi di tutti i più deboli. Tutti i deboli, gli ultimi, gli scarti (parola usata da papa Francesco per esprimere il concetto) sono sempre buoni e vanno aiutati. Non c’è nessuna indagine sul perché il soggetto sia diventato debole e questa mancanza di indagine evidenzia l’irrazionalità della posizione. Qualche esempio.
Migranti – La gran parte dei migranti che parte dall’Africa è di tipo economico; va da sé che chi cerca un futuro migliore può farlo legalmente (magari venendo sfruttato dai nostri connazionali in lavori pagati malissimo) o illegalmente, andando ad arricchire la manovalanza della droga.
Studenti – Famoso negli anni ’70 il sei politico. Ancora oggi, molti genitori “pretendono” che i loro figli siano promossi, adducendo motivazioni di salute, difficoltà familiari, incomprensione con i professori: l’ultimo della classe non lo è per colpa sua!
Disoccupati – Le polemiche sul reddito di cittadinanza (abolito nel 2023 e sostituito con forme molto più restrittive di supporto) non sono che lo specchio del buonismo politico. Per capire il problema un semplice test.
Partiamo con 100 “poveri” che non hanno lavoro o ce l’hanno, ma è talmente sottopagato che “non arrivano a fine mese”. In base alla vostra esperienza, guardando in giro, fra conoscenti, stimate quanti sono quelli che:
- pur avendo la possibilità di continuare gli studi, li hanno abbandonati, troppo pesanti o noiosi, proprio come quel lavoro dove ci hanno provato ma che è stato presto abbandonato perché richiedeva più o meno lo stesso impegno, lo stesso stress o la stessa noia dello studio.
- Hanno poca voglia di lavorare, cioè non accetterebbero mai: 1) un lavoro troppo pesante (come in agricoltura oppure in una residenza per anziani); 2) un lavoro che contempli turni al sabato o alla domenica o di notte; 3) un lavoro che non abbia possibilità di far loro guadagnare molto; 4) se hanno un titolo di studio, un lavoro che sia al di fuori dei loro sogni; 5) un lavoro full-time perché li penalizzerebbe troppo.
Quanti sono su 100? X? L’esperienza porta a concludere che X è piuttosto alto.
Drogati – Per il buonista politico il drogato è solo una persona travolta da vicende familiari e sociali. Che vuoi che sia se si fa uno spinello per reggere lo stress, per cercare un momento di evasione, incapace di trovare qualcosa di realmente positivo che innalzi il suo tono dell’umore? Se poi passa a droghe pesanti la colpa è sempre della società che non ha saputo dargli alternative esistenziali.
Onestà – Un cavallo di battaglia del buonismo politico è la lotta all’evasione fiscale. Che senso ha condannare eticamente un pizzaiolo che non rilascia lo scontrino e poi fare acquisti su Amazon? Secondo un indagine de la Repubblica, ammonterebbero a oltre 36 miliardi le tasse non pagate dai colossi del web in tre anni.
Buonismo religioso
La fonte del buonismo religioso è ovviamente diversa da quella del buonismo politico, ma spesso l’oggetto è lo stesso, per esempio i poveri, i migranti, i drogati. Alcuni soggetti affetti da buonismo religioso si orientano anche a chi soffre per malattie.
Il buonismo religioso è la forma dove è più facile evidenziare contraddizioni. Infatti, il soggetto dovrebbe arrivare praticamente ad autoannientarsi se fosse coerente, una specie di San Francesco del XXI sec. Come può chi, per motivi religiuosi, fare volontariato, aderire economicamente a campagne di sostentamento economico per i più deboli e poi andare in vacanza, permettersi una casa molto confrotevole ecc. Se riducesse il proprio tenore di vita a un terzo di quello attuale e vivesse veramente in povertà (come San Francesco) non potrebbe aiutare più persone? Il soggetto in genere replica dicendo che qualcosa è meglio di niente, ma così facendo fissa lui, in modo totalmente arbitrario, l’asticella della bontà dando ad altri il diritto di fissarla a un livello molto più basso del suo.