Il bullismo (in inglese bullying) è un fenomeno di cui si è molto discusso negli ultimi anni e che tutt’oggi è di scottante attualità. Ne esistono numerose definizioni, alcune praticamente sovrapponibili, altre più o meno complesse e articolate; una di queste è quella discussa dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia che commentiamo più avanti nel paragrafo Bullismo: alcune considerazioni.
Essenzialmente potremmo definire il bullismo come una forma di violenza caratterizzata da sistematiche azioni di sopruso e prevaricazione che vengono messe in atto da un bambino (o da un adolescente), che viene quindi definito bullo, nei confronti di un altro bambino o adolescente che viene considerato come debole; questo secondo soggetto è quindi la vittima del bullismo. Le azioni di bullismo possono essere messe in atto sia da un singolo soggetto sia da un gruppo (spesso definito branco).
Bullismo: definizione
È possibile distinguere il bullismo in due tipologie: bullismo diretto e bullismo indiretto.
Nel primo caso si fa riferimento ad azioni violente, che possono essere di tipo fisico o verbale, caratterizzate da un attacco esplicito nei confronti della vittima; nel secondo caso si fa riferimento ad azioni che mirano a danneggiare la vittima nelle sue relazioni con gli altri; tipici esempi di bullismo indiretto sono la diffusione di calunnie o notizie false nei confronti di una persona, la sua esclusione da un gruppo, il suo sistematico isolamento ecc.
Si parla invece di cyberbullismo quando gli atti di bullismo vengono perpetrati tramite Internet (chat, social network, blog ecc.) o attraverso il telefono cellulare.
Secondo vari studiosi, affinché si possa parlare di bullismo devono essere soddisfatti determinati requisiti:
- i protagonisti, sia chi commette il sopruso, sia chi lo subisce, devono essere in età scolare e condividere lo stesso contesto sociale (generalmente, anche se non sempre, si tratta dell’ambiente scolastico);
- gli atti violenti (molestie, aggressioni, prepotenze) devono essere intenzionali;
- ci deve essere persistenza nel tempo; gli atti di bullismo devono cioè avere un carattere di continuità (può trattarsi di settimane come di mesi o addirittura anni);
- la relazione tra bullo e vittima deve essere caratterizzata da asimmetria; deve cioè esserci uno squilibrio di potere fra le parti in causa, squilibrio che può essere, per esempio, legato all’età oppure alla forza o alla prestanza fisica;
- la vittima non è in grado di opporre resistenza e deve trovarsi in una situazione di isolamento, accentuata dalla paura di denunciare gli episodi di bullismo in quanto teme ritorsioni da parte del bullo.
Basandosi su questi requisiti, ovviamente opinabili, non vengono considerati atti di bullismo gli scherzi, talvolta anche pesanti, ma fatti con l’intento di divertirsi in gruppo e neppure conflitti tra coetanei a carattere episodico.
Bullismo: diffusione
Non è semplice, nonostante l’attenzione rivolta al bullismo negli ultimi anni, quantificare esattamente la portata del fenomeno; è piuttosto facile, infatti, immaginare che molti episodi di bullismo rimangano nascosti.
Alcuni anni fa (2007), alcuni rappresentanti di vari Paesi si riunirono a Kandersteg, una località montana svizzera, allo scopo di mettere a fuoco il problema bullismo e dare suggerimenti per contrastare al meglio il fenomeno; dalla cosiddetta Dichiarazione di Kandersteg contro il bullismo emersero dati piuttosto preoccupanti: sembra infatti che, a livello mondiale, l’incidenza media del fenomeno si aggiri intorno al 10%. Dagli studi effettuati emersero vari dati; fra questi quelli che le azioni di bullismo vengono messe in atto da entrambi i sessi, ma che le forme utilizzate sono diverse; di norma i maschi mettono in atto azioni di bullismo diretto nei confronti di entrambi i sessi, mentre le femmine agiscono solitamente, tramite azioni di bullismo indiretto, verso soggetti dello stesso sesso.
Dati più recenti sono quelli pubblicati dall’ISTAT nel gennaio del 2016 (il riferimento è all’anno 2014).
Nel 2014, poco più del 50% degli 11-17enni hanno subìto un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti.
Il 19,8% è vittima assidua di una delle caratteristiche azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale.

Oltre il 50% dei ragazzi tra gli 11 e 17 anni ha subito episodi di bullismo (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale )
Hanno subìto ripetutamente comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti più i ragazzi 11-13enni (22,5%) che gli adolescenti 14-17enni (17,9%); più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%). Tra gli studenti delle scuole superiori, i liceali sono in testa (19,4%); seguono gli studenti degli istituti professionali (18,1%) e quelli degli istituti tecnici (16%).
Le vittime assidue di soprusi raggiungono il 23% degli 11-17enni nel Nord del paese. Prendendo in considerazione anche le azioni avvenute sporadicamente (vale a dire qualche volta nell’anno), sono oltre il 57% i giovanissimi oggetto di prepotenze residenti al Nord.
Tra i ragazzi che utilizzano il telefono cellulare e/o Internet, il 5,9% denuncia di avere subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o sui social network.
Le ragazze sono più di frequente vittime di cyberbullismo (7,1% contro il 4,6% dei ragazzi).
Le prepotenze più comuni consistono in offese con brutti soprannomi, parolacce o insulti (12,1%), derisione per l’aspetto fisico e/o il modo di parlare (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione per le proprie opinioni (4,7%), aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%).
Il 16,9% degli 11-17enni sono rimasti vittime di azioni di bullismo diretto, caratterizzato da una relazione faccia a faccia tra la vittima e bullo e il 10,8% di azioni indirette, prive di contatti fisici. Tra le ragazze è minima la differenza tra prepotenze di tipo “diretto” e “indiretto” (rispettivamente 16,7% e 14%). Al contrario, tra i maschi le forme dirette (17%) sono più del doppio di quelle indirette (7,7%).
Interessanti anche i dati forniti da Telefono Azzurro.
In base ai dati raccolti dall’associazione nel biennio 2013-2014, a fronte di un totale di 3.333 consulenze su problematiche riguardanti la salute e la tutela di bambini e adolescenti, le situazioni di bullismo e cyberbullismo riferite sono state 485, vale a dire il 14,6% del totale.
Analizzando l’andamento annuale degli interventi dell’associazione che riguardano tali episodi, si osserva che si è passati dall’8,4% del 2012, al 13,1% del 2013, per arrivare al 16,5% del 2014.
I bambini e gli adolescenti rimasti coinvolti sono principalmente le ragazze di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, anche se è presente un’alta percentuale di adolescenti. Il 10,2% dei bambini e adolescenti coinvolti è di nazionalità straniera.
In base all’indagine “Osservatorio adolescenti” presentata da Telefono Azzurro e DoxaKids nel mese di novembre 2014, condotta su oltre 1.500 studenti di scuole italiane di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, il 34,7% dei ragazzi riferiscono di aver assistito o di essere stati vittime di episodi di bullismo (alle scuole medie ne è vittima il 30,3%, alle scuole superiori la percentuale sale al 38,3%).
La scuola risulta essere il luogo prevalente in cui è presente il bullismo (il 34,3% dei ragazzi intervistati, infatti, vorrebbe che la scuola offrisse più protezione da violenza o bullismo), ma non è comunque l’unico: se, infatti, per il 67,9% degli intervistati gli episodi di bullismo si sono verificati in ambito scolastico, il 10% del campione intervistato ha invece dichiarato di essere stato vittima di bullismo in ambito sportivo (13,3% dei maschi vs 6% delle femmine).
Il 31,3% dei ragazzi rimasti vittime di bullismo ha reagito lasciando perdere; il 29,9% ha invece cercato di difendersi.
Più di 1 su 5 (22,8%) ha avvisato i genitori, con percentuali quasi doppie tra le ragazze (30,4%) rispetto ai ragazzi (16,4%), mentre il 22,7% (21% dei maschi e 24,7% delle femmine) non lo ha riferito a nessuno e ha tenuto segreto quanto accaduto.
Dalla medesima indagine è comunque emerso che di fronte a una situazione di bullismo o cyberbullismo gli adolescenti, in particolare le ragazze, ritengono che gli aiuti da parte degli adulti siano i più utili (48,2% sul campione totale, a fronte del 20,9% che ritiene più utile un aiuto da parte degli amici).

Il bullismo può avere conseguenze serie sulla personalità sia dei bulli che delle vittime
Dalla definizione alle conseguenze
Il bullismo dovrebbe essere un argomento che ha come oggetto i bambini e i ragazzi; invece penso che sia l’espressione di una società in cui l’adulto è ancora lungi dall’essere civile. Di questo mi sono reso conto leggendo gli articoli di “esperti” dell’argomento, in cui compaiono frasi che a mio parere rilevano una sostanziale arretratezza etico-sociale di chi le esprime. Probabilmente molte di queste frasi sono inconsce, senza una reale comprensione di ciò che significano.
La definizione – Leggiamo la definizione di bullismo, discussa dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia:
Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo, o un gruppo di ragazzi, gli dicono cose cattive e spiacevoli, sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola e altre cose di questo genere. Questi fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta sempre di prepotenze quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca della stessa forza, litigano tra loro o fanno la lotta.
Quindi il bullismo sarebbe, in soldoni, una prepotenza di qualunque genere perpetrata da uno o più ragazzi nei confronti di altri ragazzi.
Fin qui si può condividere. L’ultima frase a mio avviso è però agghiacciante. Non si tratterà di prepotenza, ma si tratta pur sempre di tentare di costringere l’altro ai propri voleri; ciò che cambia è la dose di forza impiegata e il risultato. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a una violenza fra minori.
E questo è il punto:
se si ammette come normale la violenza fra bambini e ragazzi, ogni discorso sul bullismo cade a priori e deve essere accettato come naturale perché non si può pretendere che tutti i ragazzi abbiano la stessa forza e sappiano difendersi.
L’accettare la violenza fra ragazzi, purché siano di pari forza, predispone all’escalation della situazione (per esempio al fenomeno delle bande nelle zone a maggiore criminalità). Infatti è banale il passo per cui uno dei due contendenti di pari forza pensi di prevalere sull’altro rinforzandosi, acquisendo maggiori risorse, per esempio un’arma.
A questo punto diventa un bullo rispetto a chi l’arma non ce l’ha.
Per dare un contributo al problema, voglio affrontarlo da un punto di vista nuovo e creativo.
Smettiamola di considerare un bambino (o un ragazzo) come qualcosa che necessariamente deve essere puro. Come gli adulti, i bambini in età scolare hanno già sviluppato una loro personalità: ci sarà il debole, il fobico, il violento.
Il bullismo non è che la traduzione negli ambienti dedicati all’infanzia e all’adolescenza di ciò che accade nella società. Le differenze principali sono che
- le vittime non hanno ancora imparato a difendersi (per esempio con la legge);
- i “carnefici” godono (in quanto minori) di ampie garanzie di impunità.
Dall’analogia con la società si comprende come
- non sia vero che il bullismo sia “per forza di cose” in crescita; come la criminalità in una società di persone adulte, può aumentare o diminuire;
- occorra rinforzare i deboli senza trasformarli a loro volta in violenti;
- occorra punire i bulli con punizioni (anche “non classiche”) che possano comprendere.
Oggetto di questo paragrafo non è però l’analisi del fenomeno, le sue cause e le sue soluzioni, ma la comprensione di come il bullismo sia legato al substrato adulto in cui il bambino cresce.
Se si ammette che il bambino abbia già la sua personalità, è ovvio che l’interazione con modelli comportamentali adulti (media compresi) concorre alla formazione di essa, quasi che il piccolo sia una spugna che assorbe concetti senza ancora la facoltà di elaborarli autonomamente e di creare una strategia coerente di vita (cosa che spesso non riesce nemmeno agli adulti!).
Una piccola necessaria digressione. Il test di personalità di Albanesi è in rete da circa sei anni; in tale periodo è stato perfezionato, tant’è che ricevevamo quasi 100 mail mensili nei primi due-tre mesi contro le 2-3 odierne (e gli amici che lo provano sono più che triplicati). Ebbene, le uniche mail che oggi riceviamo riguardano la pagina dei violenti. Non riceviamo più lamentele di deboli che sono stati giudicati tali, ma non si ritengono affatto deboli, di fobici, di mistici ecc. Solo di violenti che si arrabbiano (sono violenti…) di essere stati giudicati violenti, mentre si ritengono le persone più buone del mondo. Nonostante nel gioco si spieghi chiaramente che violento non vuol dire “criminale”, che esistono i violenti “buoni” ecc., le mail continuano ad arrivare. Queste persone non capiscono che violento non è solo chi ruba, chi uccide o chi prende a pugni un suo simile, ma anche:
- chi tende a farsi giustizia da solo ignorando la legge;
- chi pretende di avere qualche titolo (genitore, coniuge ecc.) per dominare la vita di un’altra persona;
- chi è geloso o pretende di farsi amare;
- chi è competitivo ogni oltre ragionevole limite;
- chi combatte guerre “per un principio”
- chi pensa che la violenza a un debole (per esempio una sberla a un figlio) sia qualche volta giustificabile;
- chi manifesta idee anche velatamente razziste;
- chi pensa che sia giusto agire per conto di un’altra persona, se è per una buona causa;
- chi esalta la forza, le armi ecc. senza nessun rispetto per la vita umana.
ecc.
Se un figlio
- sente da un padre che assiste a un incontro di boxe o di wrestling un “dai, ammazzalo!”;
- sente i genitori litigare senza nessun rispetto l’uno dell’altro;
- sente la delusione del padre perché non ha vinto la garetta della scuola;
- impara dai genitori come fare il furbo e ottenere qualcosa a spese degli altri;
ecc.
come si può pretendere che poi non applichi ai suoi coetanei un mondo dove hobbesianamente homo homini lupus (ogni uomo è lupo nei confronti di un suo simile)?
Una piccola prova di ciò? Da un sito antibullismo (consiglio ai genitori, sigh!):
Non chiamate i vostri figli con nomi svalutativi o umilianti e non permettete a nessun altro di farlo.
La seconda parte è violenza pura. Se una persona (adulto e bambino) chiama mio figlio con un nome umiliante, non devo permetterglielo! La logica conclusione: se quello insiste, gli sparo! Una persona non violenta avrebbe spiegato al figlio che una parola non uccide nessuno e che l’arma migliore contro chi usa parole è la forza calma. Ma questo vorrebbe dire avere genitori top e, ricordiamolo, le persone top non sono più del 3%.
Quindi sociologi, educatori, politici, insegnanti, prima di parlare a vanvera di bullismo, verifichiamo di aver strappato ogni violenza dai nostri cuori.
Lo scopo dei genitori dovrebbe essere quello di
- creare nei propri figli una personalità forte, seppur non violenta;
- rendersi conto della situazione dei figli, sia che questi siano vittime sia che siano carnefici;
- aiutare (cioè opporsi al bullo, direttamente o tramite le istituzioni) l’eventuale vittima tanto più quanto questa è lontana dalla maggiore età.
Il ruolo degli insegnanti
Qual è il ruolo della personalità dell’insegnante nel problema bullismo? Tutti concordano che la scuola può e deve fare molto, ma le ricette sono impersonali, quasi che si possano applicare in modo automatico e continuo. In realtà qualunque ricetta è destinata a fallire se l’insegnante ha una personalità debole o sopravvivente.
L’insegnante sopravvivente che fa il suo lavoro giusto per tirare a campare, non sarà mai motivato a rischiare nulla più del dovuto e “chiudere un occhio (se non due)” sarà la sua strategia per “sopravvivere” il meglio possibile.
Ben più grave il caso dell’insegnante debole che magari investe molte energie nel suo lavoro, ma non sa controllare la sua classe. Purtroppo di insegnanti deboli ce ne sono tanti perché tante sono le persone deboli. Nessun ragazzo potrà trovare in lui un valido scudo e i “bulli” lo useranno come dimostrazione che la loro strategia è vincente perché potranno fare quello che vogliono.
Analizziamo il termine “bullo”: non è un incallito criminale, ma è solo un deficiente che si crede invincibile perché nessuno gli ha mai dimostrato il contrario. Ecco perché un insegnante debole fa danni enormi nella vita scolastica: non fa altro che rafforzare la sicurezza dei bulli che si divertiranno alle spalle di professori e compagni.
Se il compito di un insegnante dovrebbe essere la preparazione dell’alunno alla vita, dovrebbe dare massima importanza a rafforzare la personalità dei ragazzi più fragili e a smussare l’esagerata violenza di quelli più difficili. Questo prima ancora di aprire il libro e spiegare (spero non a memoria) la lezione del giorno. E purtroppo può riuscirci solo se è una persona forte ed equilibrata. Ecco perché sono pessimista sul problema “bullismo”.