Partendo dall’articolo pubblicato sul sito (Adozione) che spiega brevemente l’iter adottivo, volevo entrare un po’ più nel merito degli aspetti psicologici e razionali che portano alla scelta di adottare un bambino riportando anche la mia esperienza di genitore adottivo.
Questo articolo è dedicato a tutte le persone che si stanno avvicinando al mondo dell’adozione o che sono in dubbio se affidarsi alle tecniche di procreazione assistita, ma alcuni degli spunti sono validi anche per chi affronta una genitorialità “biologica” in maniera equilibrata e consapevole.
Incredibilmente, il percorso adottivo è un esempio di genitorialità molto vicino alle posizioni espresse in più parti nel sito e può aiutare a mettere in pratica alcuni concetti del Personalismo in quanto è un percorso che:
- porta a superare in maniera costruttiva delle problematiche inaspettate (l’impossibilità di avere dei figli);
- implica un ragionamento sulla volontà di avere un figlio;
- porta a crescere come persona e come coppia.
Non tutte le coppie che adottano sono formate da persone equilibrate o hanno seguito necessariamente questo iter, infatti esistono i fallimenti adottivi, esistono anche le separazioni post-adozione ed esiste la depressione post-adozione, ma sono persone che hanno avuto la possibilità di farlo.
A questo punto ogni genitore “biologico” potrebbe obiettare sulla faziosità di tali argomentazioni essendo io genitore adottivo, ma quanti genitori “biologici” hanno fatto un percorso di più di due anni in cui si sono posti almeno una volta le seguenti domande (riprese sempre dall’articolo sopramenzionato)?
- Se non avessi un figlio mio (adottato o biologico), potrei essere ugualmente felice?
- Avendo le possibilità economiche e di tempo, se avessi un figlio biologico, ne adotterei uno?
Ovviamente la risposta alle precedenti domande dovrebbe essere un convintissimo “sì“, ma la questione merita di essere approfondita.

Nel 2019, le domande di disponibilità all’adozione nazionale sono state 8.954
La prima domanda è simile a una che gli assistenti sociali fanno alle coppie nel questionario di valutazione (in realtà nel questionario viene richiesto se ci si sente una famiglia anche senza figli). Potrebbe sembrare banale, ma è una domanda complessa sia dal punto di vista razionale che da quello psicologico, la cui risposta racchiude (o dovrebbe racchiudere) un percorso personale e di coppia importante. Una coppia che si avvicina all’adozione è sicuramente passata da un lutto: l’impossibilità di avere figli. I lutti o traumi possono essere diversi: esami diagnostici con esiti negativi, cure non riuscite, fino al fallimento di cicli di fecondazione (cicli che non devono mai sovrapporsi al percorso adottivo). Una persona che vive queste situazioni come può rispondere in maniera corretta alla domanda? Lo può fare solo se è una persona equilibrata e se sta facendo una scelta consapevole. Lo può fare anche se conosce già qual è la risposta da dare, ma in quel caso si tratta solo di un atteggiamento ipocrita finalizzato a destare una buona impressione agli assistenti sociali. Tuttavia il ragionamento dovrebbe essere: come posso vivere in maniera felice con un figlio/a se non sono felice come persona e come coppia? L’adozione, come la genitorialità “biologica”, non è, o non dovrebbe rappresentare, il soddisfacimento di un bisogno, ma una scelta ponderata e consapevole fatta da persone equilibrate che hanno la forza e il tempo per crescere un bambino/a.
La seconda domanda è ancora più complicata perché più intima e direi quasi ancestrale, racchiude in sé un dubbio di quasi tutti i genitori adottivi: sarò in grado di amare una persona che non è sangue del mio sangue? Ci sono differenze tra un figlio biologico e un figlio adottivo? Anche qui viene in aiuto il Personalismo in quanto un figlio dovrebbe essere un “oggetto d’amore” (inteso nell’accezione del sito) a cui dedicare tempo, passione e risorse e in quanto tale dovrebbe essere indipendente dal come il figlio sia entrato nella famiglia. Questo aspetto è vero soprattutto per le mamme, in quanto adottare un figlio preclude quel legame mamma figlio/a che si istaura nel ventre materno e che fa in modo che tutti i papà siano in qualche modo degli estranei e quindi siano per questo aspetto dei genitori adottivi.
Amare un figlio adottivo è in qualche modo meno naturale e diverso che amare un figlio “biologico” si tratta di un amore più profondo, quasi razionale nella sua irrazionalità. Alcuni chiamano questa forma di amore: amore incondizionato, ovvero amare un figlio non generato da te dove non si ha il condizionamento del legame di sangue.
La seconda domanda nasconde un altro aspetto: sarò in grado di prendermi cura di mio figlio? Ovvero avrò le risorse fisiche ed economiche e il tempo per crescere questo figlio? Queste domande sono spesso sottovalutate da tutti i genitori e soprattutto da chi adotta un bambino, l’adozione implica infatti un’amplificazione degli sforzi. Nell’adozione c’è sempre una ferita da rimarginare nel bambino: la ferita dell’abbandono. Questo comporta un lavoro attento da parte dei genitori nel cogliere alcuni segnali, nel saper raccontare al bambino la propria storia, nel non rendere il bambino un diverso, nella creazione del legame e nella gestione della rabbia. Tematiche tipiche dell’adozione a prescindere dall’età del bambino e della nazionalità di provenienza.
Quanto scritto non vuole scoraggiare le persone che leggono questa nota, ma dare il mio piccolo contributo nel rendere la genitorialità adottiva quanto più consapevole possibile e in particolare quanto più vicina allo spirito del Personalismo.
Crediti
Ivan Passiatore
Genitore adottivo.