Sono andato a fare la denuncia per il furto della targa della mia auto; il carabiniere che mi ha accolto ha cercato di minimizzare con una frase che lì per lì mi è sembrata assurda, ma che probabilmente era il frutto di una sua riflessione personale su quello che gli stava capitando nella vita o su qualche dramma del quale era stato recente spettatore; “eh, se fossero tutti questi i problemi della vita…”. Con calma gli ho fatto presente che io la denuncia dovevo farla, altrimenti un’altra targa non me la davano. E lui si è messo al lavoro.
Anni fa, ero prima nazionale di scacchi e nel torneo sociale ero opposto a un mio pari grado; quella sera vinsi in 13 mosse e mi parve di essere un campione. Peccato che dopo pochi giorni seppi che il mio avversario si stava separando.
Due episodi lontani negli anni per capire come la valutazione negativa (o positiva) di una situazione spesso è fortemente soggettiva e che possiamo perdere di vista l’oggettiva gravità.
Ecco un racconto immaginario dedicato a tutti quelli che amano lo sport, invitandoli a evitare di farne fonte di dramma o di eccessiva esaltazione.

Un match di pallacanestro si svolge tra due squadre composte da cinque giocatori ciascuna; ognuna delle due squadre ha poi a disposizione un numero di riserve che varia, a seconda del tipo di campionato, da 5 a 7; le riserve possono subentrare, senza alcuna limitazione, ai giocatori titolari.
Il campione
Era stata una stagione stupenda: alla fine della sua carriera con una squadra di ragazzini era arrivato in finale e, se avesse vinto, avrebbe stabilito il record assoluto di anelli. Non erano bastati sei incontri per stabilire la squadra migliore e quel decisivo settimo incontro sembrava ricalcare la storia dei precedenti: all’ultima azione erano sotto di due e lui decise di andare da tre punti, perché gli sembrava la soluzione più nobile per quell’epica sfida e perché aveva il 62% di possibilità di farcela, visto che quella era la sua grande media stagionale.
Lo schema lo portò al tiro a tre secondi dalla fine. La parabola fu alta e lenta, incredibilmente lenta perché tutti sugli spalti e in campo la vissero al rallentatore. Quando la palla colpì il primo ferro qualcuno sperò che scivolasse comunque nel canestro, ma il beffardo rimbalzo sul secondo ferro la proiettò fuori, lontano, non importa dove: era fuori.
In campo gli avversari si abbracciavano dalla gioia, mentre sugli spalti il gelo dei tifosi di casa ovattava con il brusio della delusione la gioia incontenibile dei pochi tifosi della squadra ospite. Nessuno fece caso a lui, che era rimasto immobile sul posto a rivivere quel tiro. Dopo qualche interminabile secondo, scosse la testa, forse capendo l’errore, e la sua figura si animò nuovamente. Con i lunghi passi da gigante si diresse a bordo campo, scavalcò le transenne e si avvicinò a un ragazzino su una sedia a rotelle. Si tolse la maglia e gliela donò dicendogli: “Ti ricordi? Te l’avevo promessa”. Il ragazzo sorrise, prima con gli occhi e poi con le labbra.
Anche il campione sorrise, mentre i suoi compagni ancora si disperavano sul campo. Erano bravi, ma dovevano ancora crescere…