In Italia gli influencer fanno un fatturato di 300 milioni l’anno e sono 35.000. Quindi la miseria di poco più di 8.000 euro lordi l’anno. Da questo dato sono esclusi i guadagni che i maggiori influencer (diciamo i primi 10 in Italia) riescono a fare con contratti ad hoc con le aziende del settore in cui sono presenti. La media non serve per studiare il fenomeno, occorre studiare quanto rende la caratura di un influencer. Si può fare in base al numero di follower, ma tutti ormai sanno che comprare follower è banale.
Forse è per questo che Facebook ha cessato di essere redditizia per gli influencer. Va meglio su YouTube o TikTok, ma i compensi (forse a causa della concorrenza) in pochi anni si sono dimezzati. Le cifre che girano per i singoli post sono facilmente smentite dai dati globali. Se un influencer con 10.000 follower su Instagram guadagnasse veramente 100 euro a contributo, il mercato degli influencer farebbe almeno 3 miliardi di euro, cosa smentita da tutti i media che danno un volume 10 volte inferiore.
In sostanza, il problema degli influencer è quello che in Rete ha chi vuole vivere di pubblicità: se sei primo nella ricerca Google su un argomento molto richiesto, guadagni, se sei decimo prendi, solo le briciole. Nel caso degli influencer i guadagni derivano soprattutto dai contratti con le aziende che pubblicizzano (per questo il Garante della Pubblicità e della Concorrenza vuole che sia chiaro che il prodotto offerto dall’Influencer è “pubblicità”); per i piccoli influencer non resta che il guadagno offerto automaticamente dalla pubblicità gestita dalla piattaforma; per esempio con un milione di visualizzazioni su YouTube si guadagnano in media 3.000 euro, una miseria se confrontato con il bacino di utenza.
Anche per gli influencer vale quanto cantato da Morandi: “uno su mille ce la fa”. Se si considera poi che un influencer deve essere drogato di popolarità nel senso che non può farne a meno (a differenza del guru), si comprende che per la stragrande maggioranza di loro l’attività è meno redditizia di quella di un qualunque professionista. Chissà se queste considerazioni serviranno a genitori che sperano che i figli diventino come Chiara Ferragni.