L’eremita è un soggetto che si apparta dal mondo, per vivere solitario in luoghi remoti o deserti. Questo breve racconto vuole dimostrare come sia difficile trovare un giusto compromesso tra amore per il proprio corpo, qualità della vita e interazione con tutto ciò che ci circonda. Per fortuna non tutti si comportano come il nostro protagonista, ma sicuramente sono molti, forse troppi, coloro che vivono una delle tappe sbagliate percorse dal nostro uomo. Scegliere strade penalizzanti non è mai la soluzione migliore.
Fuga dal mondo
Era ormai l’una quando quella domenica mattina si svegliò con un fortissimo mal di testa, una nausea incredibile e con la voglia di non alzarsi mai più dal letto. Rimase a fissare il soffitto per ore finché, verso sera, un pensiero, forse il primo lucido dopo migliaia di altri nebulosi, lo scosse dal suo stato quasi vegetativo: decise di cambiare vita. Niente più alcol, niente più sigarette, niente più notti insonni a cercare una felicità che durava troppo poco, niente più mitiche abbuffate, niente… L’elenco continuava all’infinito nella sua testa e a ogni voce già si sentiva più leggero.
E cambiò davvero. La sua ragazza ne fu così felice che pensò finalmente di poter vivere con lui tutta la vita e, con orgoglio, si convinse che il merito di quel miglioramento fosse anche un po’ suo.
Il giorno del matrimonio se lo mangiava con gli occhi: pareva avesse dieci anni di meno, nuovamente asciutto, dinamico, riposato. Pochi mesi prima si era messo anche a fare sport e lei sapeva che in viaggio di nozze non avrebbe potuto negargli la corsetta quotidiana: era veramente orgogliosa del suo uomo.
Arrivò subito un figlio; lui divenne ancora più intransigente con sé stesso: niente più carne perché fa venire il cancro, almeno dodici chilometri di corsa ogni giorno, niente più medicine per curare i piccoli malanni di stagione. Lei apprezzò anche questo, interpretandolo come un grande senso di responsabilità verso il figlio.
Leggeva molto, ma, come spesso accade a chi non ha spirito critico, assimilava più il sensazionale che il vero e il suo estremismo peggiorava di giorno in giorno. Abolì ogni alimento animale, ma la moglie incominciò a preoccuparsi quando lui decise di digiunare una settimana per purificarsi. Poco dopo abbandonò anche il lavoro perché non poteva certo sentirsi sicuro in mezzo a tutti i prodotti chimici che doveva usare. La moglie lo assecondò e aprirono con entusiasmo un negozio di alimenti naturali. Dopo poco lo stress per la tenuta della contabilità, i contatti con i fornitori, i clienti impossibili lo convinsero che anche quello era un lavoro disumano e si trasferì con la famiglia in campagna, in un piccolo podere.

In Italia vivono circa 200 eremiti
Finalmente poteva vivere come voleva, un’esistenza naturale, senza pericoli di inquinamenti, di terribili malattie (il cancro era il suo incubo!), senza ansia. La moglie e il figlio cercavano di adattarsi a quello stile di vita, ma la malattia dell’uomo peggiorava sempre più. Una sera, mentre la moglie stava cucinando il solito minestrone, posò il libro che stava leggendo, le si avvicinò, spense il fuoco e le spiegò che fino ad allora non avevano capito nulla: gli alimenti vanno consumati crudi, perché solo così possono fortificare e difendere! La moglie lo guardò esterrefatta e capì che era finita.
Pochi mesi dopo lo lasciò e con il figlio ritornò a vivere in città. Lui non si preoccupò, felice della sua vita contadina; ogni tanto raggiungeva a piedi il paese per vendere i prodotti del suo piccolo podere in cambio di qualche soldo con cui si comprava un libro o un giornale, unica sua fonte di contatto con il mondo esterno, visto che la televisione era stata abolita ormai da tempo come pericolosa fonte di radiazioni.
Erano ormai anni che sembrava aver raggiunto un equilibrio e una sicurezza accettabili quando un giorno ricevette la solita visita del vicino (in bicicletta, perché non permetteva alle auto di entrare nel suo podere). Si fermarono sotto il porticato a parlare della terra, degli uomini, forse anche di Dio, ogni tanto assaggiando uno dei magnifici fichi che l’uomo aveva raccolto quella mattina. Poi scoppiò il dramma. Un suono acuto e ripetitivo ruppe l’aria. Il vicino ficcò una mano nell’ampia tasca del giubbotto da pesca ed estrasse una scatola nera, l’aprì e incominciò a parlare. L’uomo realizzò subito che era uno di quei terribili telefoni cellulari di cui aveva letto sul giornale e di cui aveva visto qualche fotografia. Appena il vicino terminò la conversazione, l’uomo gli chiese se non avesse paura per la sua salute a usare un aggeggio simile. La domanda era ingenua e fatta con la calma di chi sa di essere al sicuro, ma la risposta fu devastante.
“Sì, in effetti alcuni dicono che può far male, ma io lo uso molto poco e poi, con questi aggeggi, le radio, le televisioni ormai viviamo immersi nei campi magnetici. I primi cellulari coprivano poco territorio, oggi sono come le radio: arrivano dovunque.”
Quel dovunque gli procurò subito un’angoscia terribile, liquidò il vicino con una scusa e corse in casa a pensare. l’indomani andò in paese, si comprò un libro sui mezzi di comunicazione via etere e una radio. Lesse il libro d’un fiato, documentandosi su tutti i pericoli di quegli oggetti; poi prese la radio e andò nel punto più selvatico del suo podere, un piccolo bosco di robinie che non aveva mai voluto tagliare. Incurante degli spini, dei rovi e delle ragnatele vi si gettò dentro e quando fu al centro si accovacciò a terra. Accese la radio: si sentiva benissimo!
Capì subito che doveva fuggire; tornò in paese proprio mentre l’unica libreria stava quasi chiudendo, ma fece in tempo a comprarsi una cartina della provincia, sufficientemente dettagliata da permettergli di decidere la sua nuova dimora.
Qualche settimana dopo iniziò a costruirsi una piccola baracca, in parte sfruttando una grotta naturale sui monti dell’Appennino. Quando finì l’inaugurò con la prova della radio: andò sul fondo, si appiattì a terra contro la parete di roccia e l’accese. Un incomprensibile rumore di fondo sancì il suo trionfo e ancora una volta la pace entrò nel suo cuore.
Visse ancora ventidue anni, ogni mattina rassicurato dal rito con il suo piccolo congegno elettronico. Poi, un inverno più rigido degli altri, il suo cuore non resse alle fatiche quotidiane e se ne andò a sessantasette anni, qualcuno in meno della media degli uomini di città.