Molti runner corrono senza mai porsi il problema di prevenire l’infortunio. Vivono, infatti, nell’assurda convinzione che a loro non toccherà mai o che, se succederà, basterà rivolgersi a un qualunque terapeuta per risolverlo in poco tempo; oppure pensano che a loro non dovrebbe succedere perché “un organismo sano deve poter correre senza problemi”. La prima posizione è assurda: chi pratica sport sa che non è immune da infortuni. Personalmente posso dire di essere stato fortunato perché in trentacinque anni ho avuto solo quattro o cinque infortuni veramente seri, fra cui due operazioni, al rotuleo (basket) e al tendine d’Achille (corsa). Per “infortunio serio” intendo quello che blocca almeno per 30 giorni la normale pratica sportiva, innescando i processi di deallenamento tanto temuti da chi ricerca un allenamento ottimale. Altri meno fortunati di me quasi annualmente hanno un periodo di stop. Quindi, primo fondamentale concetto:
se fai sport, sai che prima o poi ti infortunerai.
La seconda cosa importante da capire è che
l’infortunio nella corsa nasce da un’esagerazione quantitativa o qualitativa.
Cosa vuol dire? Che le probabilità di infortunio sono minime se io corro per un km al giorno (pochissima quantità) o se non faccio mai scatti, balzi, ripetute ecc. (pochissima qualità). Prendiamo anche la classica e banale vescica: se esce per esempio dopo 7-8 km, sicuramente le scarpe non avrebbero creato problemi per un corsettina di 10′.
Ovvio che ci siano fattori che spostano la soglia d’allarme (cioè che consentono una maggiore o minore qualità/quantità prima che si verifichi l’infortunio), ma questo è un altro discorso. Questi fattori sono quelli che in questo articolo vengono denominate “cause”.
La prevenzione dell’infortunio
La strategia migliore è rimandare il più possibile quel momento. Per farlo occorre sapere come si fa. Spesso ci si preoccupa delle scarpe, del terreno su cui si corre, del tipo di allenamento ecc. In realtà l’esperienza ha dimostrato che
le cause d’infortunio sono diverse decine e, sorpresa, quelle più gettonate spesso non sono le più importanti.
Consideriamo per esempio le scarpe. Un runner che si allena tre volte alla settimana facendo una decina di km per volta e che corre con un qualsiasi paio di scarpe di marca non può attribuire un eventuale infortunio alle scarpe. Sì, correrà male, sarà pronatore o supinatore, ma molti pronatori o supinatori con quel carico sportivo corrono tranquillamente per anni con scarpacce ben peggiori di quelle del nostro amico. Per cui non fermatevi alla spiegazione più banale, ma cercate di verificare se “regge”.
Spesso infatti le cause sono più d’una, concomitanti. Per questo è importante conoscerle tutte.
Per esempio, chi ragiona in modo astratto e senza competenze è spesso portato a ritenere che un infortunio sia dovuto a un deficit muscolare (devi rinforzare i muscoli!); in realtà, come sottolineano i migliori ortopedici sportivi, non è il deficit muscolare responsabile dell’infortunio bensì il fatto che l’atleta abbia corso con i muscoli stanchi, cioè il mancato recupero muscolare. Apprezzate la differenza. Se io attribuisco l’infortunio al deficit, andrò in palestra mi rafforzerò (ammesso che sia possibile, cioè che la mia muscolatura non sia già al top), ma poi, seguendo lo stesso piano di allenamento, continuerò a eseguire sedute di allenamento con i muscoli più forti, ma sempre stanchi e quindi non potrò che infortunarmi nuovamente.
Per l’atleta infortunato
Potrebbe sembrare inutile piangere sul latte versato, ma è fondamentale capire la causa dell’infortunio perché da essa dipendono le cure (se un’infiammazione è causata da un’anomalia anatomica è abbastanza inutile sperare che il riposo risolva la situazione mentre se è dovuta a sovraccarico, il riposo sportivo è la terapia principale), la possibilità di recidive, la programmazione futura ecc.
Sinteticamente, le cause principali dell’infortunio sportivo, sia dal punto di vista pratico sia psicologico, possono essere riassunte in:
- cause anatomiche
- cause fisiologiche
- sovrappeso
- scarpe
- superficie
- pendenze
- sovraccarico quantitativo
- sovraccarico qualitativo.
Cause anatomiche – Sono decisamente sopravvalutate soprattutto in runner che hanno corso per anni senza problemi; in ogni caso la loro correzione (come per esempio l’impiego di un plantare) deve essere successiva alla guarigione. Troppi terapeuti perorano la loro correzione durante la patologia, dimenticandosi che il soggetto da sedentario non aveva problemi. Quindi il flusso logico di operatività è:
1 guarigione della patologia – 2 correzione dell’anatomia – 3 ripresa.
Questo perché in moltissimi casi la correzione dell’anatomia è solo un’ultima spiaggia in casi che il terapeuta non sa risolvere e non fa altro che far perdere ulteriore tempo, non essendo la vera causa del problema.
Cause fisiologiche – Poiché sono simili a quelle anatomiche, anche in questo caso vale il flusso 1 guarigione della patologia – 2 correzione dell’anatomia – 3 ripresa. Se, per esempio, si pensa che un infortunio sia insorto per una carenza muscolare, prima si cura l’infortunio, poi si cura la carenza, poi si riprende. Moltissimi terapeuti attribuiscono (a caso) infortuni a carenze muscolari e inseriscono come cura il potenziamento, dimenticando che un sedentario sano non ha bisogno di potenziamento: se sono bravi e hanno capito la patologia devono far guarire l’atleta senza confondere la causa con la cura, il potenziamento non cura, al più previene una recidiva. Le principali cause fisiologiche sono:
- insufficienza del tono muscolare
- insufficienza del tono elastico.
Sovrappeso – Dovrebbe essere una causa anatomo-fisiologica, ma è stata messa a parte perché molti terapeuti non hanno il coraggio di dire al paziente che non sono le ginocchia o la schiena che non vanno quanto il fatto che, poverette, debbono sopportare un carico eccessivo. Il problema è poi aggravato dal fatto che ogni atleta amatore ritiene di essere in perfetto peso forma…
Scarpe – Basta un po’ di buon senso e la scelta delle scarpe non può essere critica. Molti atleti danno la colpa dei loro infortuni a questo o a quel modello di scarpa, quando invece dovrebbero porre attenzione ai sovraccarichi quantitativi o qualitativi. La scarpa è da indagare quanto più l’atleta si allena (ovviamente “allenarsi di più” non vuol dire necessariamente sovraccaricare qualitativamente o quantitativamente: basta allenarsi tanto, ma bene!).
Superficie – Stesso discorso vale per la superficie. Un atleta che necessita di un soffice manto erboso per non avere problemi (rispetto per esempio all’asfalto) non può essere definito un “atleta sano”. Molto spesso gli allenamenti in pista creano problemi perché vengono affrontati con troppo impegno su una superficie “nuova” (sovraccarico qualitativo): basterebbe un po’ più di gradualità e non ci sarebbero problemi.
Pendenze – Un punto decisamente sottostimato da runner che si sentono indistruttibili e si buttano a rotta di collo giù per le discese, dimenticando che i cambi repentini di pendenza sono una delle cause più frequenti di infortunio.
Come detto in precedenza, questi fattori acuiscono un sovraccarico qualitativo e/o quantitativo, sarebbero cioè poco influenti se il runner non esagerasse, cosa comunque non facile se si vuole per esempio ottimizzare la prestazione. A dimostrazione di quanto detto, ci sono casi in cui il runner ha fatto tutto per bene eppure si infortuna lo stesso; questi casi si possono ricondurre ai due ultimi fattori che tratteremo.
Sovraccarico quantitativo – Troppe gare, un carico di allenamento troppo elevato oppure una variazione brusca nel carico allenante (per esempio chi passa da gare su 10 km alla maratona in un paio di mesi!).
Sovraccarico qualitativo – Gare e allenamenti sempre tirati al massimo oppure allenamenti di nuovo tipo affrontati al massimo delle proprie possibilità.
Sembra incredibile, ma solo il 23% dei runner che praticano agonismo dura più di cinque anni, un tempo paragonabile al periodo di massimo rendimento di grandi atleti. Il 42% continua comunque con un netto calo del rendimento e un 35% smette del tutto o passa fra le file dei jogger domenicali.
Se per un professionista la fine della carriera ha come causa principale la motivazione psicologica e solo in secondo ordine l’infortunio, per il runner amatore, sempre desideroso di correre, l’infortunio rappresenta la causa principale di un allontanamento dalla corsa.
Uno degli scopi di questo articolo è descrivere percentualmente (su un database di oltre 1.250 casi) le cause principali di infortunio. Per la terminologia riferirsi al dizionario dell’infortunio.
Gli infortuni rientranti costituiscono il 75% del totale. Confrontando i tempi di guarigione con quelli previsti in letteratura per le terapie indicate per la patologia, l’indice di efficienza media delle terapie è del 30% circa, cioè un infortunio che guarisce spontaneamente in tre mesi, con le terapie guarisce in due.
Del restante 25% di infortuni permanenti, nel 70% dei casi la situazione era degenerata a causa della strategia del runner di correre sul dolore. Quasi il 50% degli infortuni permanenti non si è risolto (sono compresi anche coloro che non si sono sottoposti a un possibile intervento chirurgico).
Gli infortuni recidivano nel 36% dei casi. Le recidive sono dovute nel 72% al fatto che non è stata rimossa la causa dell’infortunio e nel 28% al fatto che postumi asintomatici del primitivo infortunio non sono stati gestiti correttamente.
Veniamo alle cause.
Errori nell’allenamento – 40%. Troppe gare; allenamenti qualitativamente sbagliati; pendenze e superfici; scarpe inadatte; brusche variazioni nell’allenamento ecc.
Sovrappeso – 24%. Inutile illudersi che il peso non conti. Un runner dovrebbe avere un IMC inferiore a 22 (20 per le donne). Nella fascia da 22 (20) a 25 (23) rischia. Oltre, in caso di infortunio, la prima cosa da fare è dimagrire!
Distanza critica – 22%. Non tutti possono illudersi di correre maratone per sempre. Nel caso abbiate il sospetto di avere una distanza critica limitata, guarite, ricominciate umilmente dal principio di efficienza e scoprite la vostra distanza critica.
Cause anatomiche e posturali – 14%. Una percentuale tutto sommato bassa, una volta eliminati i primi tre fattori. Ricordarsi che comunque prima si guarisce la patologia: se ho una tendinite, prima di mettere il plantare o correggere la postura, il terapeuta mi deve far tornare un normale sedentario.
Sugli errori nell’allenamento alcune riflessioni.
Gare (quantità) – Chi gareggia quasi ogni settimana per più di 25 gare all’anno e si allena duramente fra una gara e l’altra di solito dura poco. In genere l’unico modo di gareggiare ogni domenica consiste nel riposare durante la settimana, ma in questo modo non si ottimizzano le prestazioni.
Allenamento (quantità) – Purtroppo fra gli amatori è comune credere che con l’allenamento si possa arrivare ovunque. In realtà non è così perché la macchina-uomo ha limiti anche nel telaio cui la mente non può sopperire. Finché tutto va bene ci si crede indistruttibili, poi si entra nel tunnel degli infortuni e rivedere la luce è impresa ardua.
Gare (qualità) – Correre una distanza senza esserne pronti (maratona o, peggio, 100 km) è il miglior modo per chiudere la carriera o per iniziare quella di “zombi strisciante”.
Pendenze e superfici – Un’altra credenza comune è che il collinare sia il miglior terreno d’allenamento. In realtà è anche il miglior terreno per accorciare la vita agonistica. Le discese sono la causa più traumatica in assoluto. Idem dicasi degli sterrati non scorrevoli che comportano uno sforzo muscolare notevole. L’asfalto e la pista devono essere assaggiati con cura da chi ha problemi tendinei.
Scarpe e plantari – Le prime raramente sono le vere responsabili (a meno che non si abbia l’abitudine di usare le superleggere su lunghe distanze o su terreni impossibili o le chiodate in pista); i secondi, anziché guarire, spesso ingenerano problemi in altri distretti del corpo: si mette un plantare per il tendine e crolla il ginocchio.
Variazioni nell’allenamento (quantità) – Variare quantitativamente senza continuità (per esempio fare un fondo di 20 km quando da mesi non se ne fanno più di 10) è il miglior modo per colpire sicuramente il fisico, soprattutto se le capacità di recupero del soggetto non sono eccelse.
Variazioni nell’allenamento (qualità) – Quando si esegue per la prima volta un nuovo tipo di allenamento (tipo ripetute brevi in salita) occorre farlo in scioltezza, senza dare il massimo, abituando il corpo ai nuovi stimoli.