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Storia della musica

L’idea della musica risale alle prime civiltà umane, intesa come ritmo individuabile nella natura e suono emanato dai meccanismi della creazione e dello sviluppo del mondo; ritmi e suoni che venivano imitati già dalle popolazioni primitive nei riti, nei canti e nelle danze che sostanziavano le comunità. Anche l’invenzione dei primi strumenti musicali oltre le semplici percussioni è legata a funzioni rituali e magico-simboliche.

Dalle origini al rinascimento

Le testimonianze storico-letterarie e i reperti archeologici permettono di individuare le prime tracce di una musica vera e propria nelle civiltà urbane arcaiche, ossia quella sumero-babilonese e quella egizia. Successivamente la musica ebbe un ruolo fondamentale nella civiltà ebraica, per la quale era indispensabile per la preghiera e per la lettura dei testi sacri.

Presso la civiltà greca la musica ebbe sicuramente un’importanza notevole, infatti essa rivestiva un ruolo centrale nel sistema di studi e nelle cerimonie religiose o ludiche, le veniva riconosciuta una funzione etica nella formazione del cittadino e soprattutto accompagnava sin dalle origini l’arte più elevata per la cultura greca, la poesia: i poemi omerici venivano cantati dagli aedi con l’accompagnamento della cetra, i poeti lirici accompagnavano i loro componimenti con la musica e nelle tragedie un’ampia parte era occupata dalle strofe cantate del coro. A Roma, invece, la musica non ebbe mai la considerazione e la dignità sociale che possedeva presso i greci e si sviluppò attraverso una mescolanza di influenze etrusche, greche e orientali.

La musica assunse importanza a Roma con l’affermazione del cristianesimo, per il quale essa costituiva parte integrante della liturgia. Le prime forme della liturgia cristiana, infatti, erano tutte basate sul canto e caratterizzate da un bilinguismo latino-greco e da formule e melodie di origine ebraica. Progressivamente assunsero un rilievo particolare all’interno della liturgia cristiana due generi musicali, la salmodia e l’innodia.

La storia del canto, per la musica occidentale, parte proprio dai canti liturgici cristiani, che per primi diedero luogo alla formazione di un repertorio organizzato di melodie nel medioevo. Si distinguono i canti liturgici occidentali, in latino, accompagnati dall’organo, e i canti liturgici orientali, nelle lingue dei singoli Paesi, accomunati dalla stessa ritmica (divisione del tempo) e dall’accompagnamento delle sole percussioni, oltre che, talvolta, della danza.

Fra i canti orientali il più influente risultò quello greco-bizantino, perché nato a Costantinopoli, sede dell’impero d’Oriente; esso preferì gli inni ai salmi, rifiutò la polifonia ed elaborò melodie molto complesse che influenzarono anche i canti occidentali. Di questi ultimi sono noti soprattutto il canto ambrosiano (o milanese) e il canto gregoriano.

Il canto ambrosiano fu introdotto da Sant’Ambrogio nel IV sec. d.C., si affermò a partire dal VI ed è in uso ancora oggi. Ambrogio legò la nuova religione alla cultura greco-romana, a cui essa si stava sostituendo, introducendo nelle composizioni liturgiche la metrica classica al posto del consueto ritmo libero. Un’altra novità introdotta dagli inni del vescovo milanese fu l’antifona, cioè l’alternanza del canto fra due cori.

Le origini e le prime caratteristiche precise del canto gregoriano invece sono oscure: sappiamo che esso fu in uso a partire dal VI secolo circa e che quando ebbe il sopravvento su tutti gli altri riti assunse il nome di papa Gregorio Magno, che secondo la tradizione avrebbe provveduto alla sistemazione e all’ordinamento del repertorio delle melodie e alla fondazione di una Schola Cantorum. Ciò che si sa del canto gregoriano è che esso ebbe origine da materiali e influenze molto eterogenei, resi più omogenei dalla sistemazione di età carolingia; tuttavia le diverse influenze emergono ancora oggi nell’insieme di canti monodici (cioè a una sola voce) in latino e a ritmo libero giunti fino a noi.

A partire dall’XI secolo, insieme al canto liturgico si svilupparono anche forme profane di musica, fino a quel momento diffuse solo oralmente e occasionalmente a causa della censura ecclesiastica. Con l’affermarsi delle città, e in esse dei nuovi centri di cultura laici, la formazione intellettuale e anche la musica uscirono dai monasteri. Iniziarono quindi a essere composti e diffusi canti monodici profani in latino, raccolte elegiache di lamento, canti di studenti e canti goliardici. Anche le chansons de geste, i poemi epici cavallereschi francesi, nacquero come canti in lingua dialettale trasmessi oralmente da menestrelli, per poi diventare vere e proprie opere letterarie scritte e musicate da poeti e compositori, i trovatori. Sul modello dell’arte trobadorica francese si sviluppò in Germania la scuola dei Minnesänger, cavalieri poeti e musici, autori di canti d’amore.

Anche nell’ambito più strettamente musicale, nello stesso periodo si manifestarono novità importanti, prima fra tutte, dalla fine del IX secolo, la polifonia, ovvero la presenza simultanea di più suoni o voci diversi sviluppati contemporaneamente, in luogo della monodia. Le prime forme di scrittura polifonica nacquero nell’ambito della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, quindi inizialmente riguardarono testi sacri in latino, poi si svilupparono testi profani in lingue diverse in cui ogni voce era distinta dall’altra senza relazioni. Anche il musicista iniziò progressivamente a legarsi alla corte e alla nobiltà feudale invece che al clero. L’elaborazione della polifonia, soprattutto in Francia e in Italia, fu di grande influenza per la crescita musicale europea dei secoli successivi.

Le origini della polifonia in Italia vedono la figura di Guido d’Arezzo come il massimo teorico musicale di tutto il medioevo: fu il primo a usare in modo razionale il rigo musicale, con l’uso delle chiavi per stabilire chiaramente la posizione delle note e gli intervalli. Dai suoi studi sugli esacordi e dal rigo musicale a quattro linee, nacque la notazione moderna del pentagramma.

Nel Quattrocento avvenne il passaggio dal medioevo al rinascimento, ed esso per la musica, diversamente che per le altre arti, non fu caratterizzato da una rottura, ma da una continuità, poiché non era possibile intraprendere nuovi percorsi sulla base dei modelli della classicità greco-latina, dal momento che di questi ultimi non restavano documenti. Anzi, ci fu lo sviluppo più pieno della polifonia e del contrappunto, interpretato in modo diverso nelle varie nazioni. Massimo rappresentante della musica rinascimentale fu Josquin Des Prés, autore di messe, mottetti e canzoni profane. Tradizionalmente gli viene attribuita l’invenzione della partitura moderna, con tutte le linee delle voci scritte simultaneamente in parallelo sulla pagina.

Il fenomeno predominante nella musica quattro-cinquecentesca fu la scuola fiamminga, originaria della Francia settentrionale e del Belgio, il cui stile si diffuse in tutta Europa mescolandosi con le diverse tradizioni nazionali. La caratteristica comune di questa scuola era l’utilizzo delle più complesse tecniche contrappuntistiche nella definizione delle diverse parti del canto polifonico.

In Italia lo sviluppo della musica rinascimentale avvenne soprattutto grazie al mecenatismo delle corti signorili e si configurò in particolare come fioritura del madrigale. Il madrigale nacque dall’incontro fra i canti popolari italiani, caratterizzati dalla semplicità della struttura melodica e dalla prevalenza della voce superiore, e le tecniche contrappuntistiche fiamminghe. Fondamentale era inoltre lo stretto legame tra la musica e il testo, ispirato alla lirica colta petrarchesca.

In Germania, a partire dai canti monodici dei Minnesänger, si sviluppò il genere del lied polifonico e nel Cinquecento la riforma protestante produsse un nuovo repertorio liturgico autonomo.

In Francia, accanto alla scuola fiamminga, si sviluppò un nuovo genere di grande successo, la chanson parisienne e alla fine del Cinquecento esordì il balletto rappresentativo.

In Inghilterra l’età elisabettiana rappresentò un periodo di fioritura anche per la musica, grazie all’incoraggiamento della regina che, favorendo i contatti con le scuole italiane, permise lo sviluppo del madrigale inglese, senza escludere una parallela produzione specificamente religiosa.

La musica rinascimentale spagnola, invece, fu quasi esclusivamente musica sacra, soprattutto per organo.

 

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