Per il Personalismo studiare è fondamentale (per la parte pratica si veda l’articolo Come studiare bene e velocemente). In fondo questo sito insegna molte cose, in maniera sostanzialmente diversa da come avviene a scuola. Penso sia proprio la carenza formativa della scuola attuale che allontana dallo studio i ragazzi, che poi, una volta grandi, capiscono come invece sarebbe stato importante utilizzare al meglio gli anni scolastici. Riprendiamo il diagramma dell’intelligenza acquisitiva:
Sicuramente,
essere equilibrati (intelligenza psicologica) è una condizione facilitante per l’esperienza da sé e per quella da altri diretta.
Questo significa che un’esperienza può essere del tutto inutile oppure dannosa se, per esempio, in un soggetto fobico si trasforma in un trauma. Pensiamo a una persona che viene morsa da un cane; se l’evento è traumatico e il soggetto è fobico ecco che fuggirà da ogni cane, anche da quello più microscopico. Tale atteggiamento è ritenuto “normale”, ma è del tutto equivalente a quello della persona che, subita una rapina, rifugge da ogni uomo e si ritira su un monte a fare l’eremita! Anche per l’esperienza da altri indiretta avere una buona intelligenza psicologica aiuta, ma in modo molto più limitato rispetto a quanto visto per le altre esperienze. Il motivo è che interviene un secondo fattore veramente fondamentale: lo studio.
Lo studio finalizzato all’esperienza non è né quello scolastico (che è finalizzato alla formazione di una cultura o di una figura professionale) né quello hobbistico (che è finalizzato alla conoscenza di un oggetto che può essere una propria passione o semplicemente un hobby); per la raziologia
lo studio finalizzato all’esperienza è quello che serve per costruirsi una coscienza della materia.
Sinteticamente, farsi una coscienza di una materia significa conoscerne le basi che poi sono applicabili da tutti nella normale vita quotidiana. Esistono materie dove la coscienza riguarda un grande numero di informazioni (per esempio, la matematica, le lettere, il diritto ecc.) e altre per le quali le informazioni di base sono veramente minime, riguardando solo l’aspetto professionale o quello hobbistico.
Da quanto appena detto (importanza delle basi) discende che
chi si fa una falsa cultura non sa studiare.
La falsa cultura è spesso solo una scorciatoia per evitare di studiare sul serio. Personalmente sono convinto che didatticamente anche la scuola debba dare una maggiore importanza alle basi, ma purtroppo molti insegnanti non sanno minimamente distinguere le basi da ciò che “quotidianamente non serve” (in Studiare per la scuola o per la vita? è possibile trovare alcuni esempi). In rigoroso ordine di priorità, gli obiettivi di uno studio scolastico dovrebbero essere quelli di:
- creare una coscienza della materia.
- Preparare al lavoro.
- Costruire una cultura.
Definito lo studio, come si studia? Con tre armi:
- la propensione a studiare
- il metodo
- le fonti.
Si parla di propensione anziché di predisposizione perché, stranamente, nella popolazione si osserva che la priorità dello studio muta nel corso della vita di un soggetto. Nella personalità che il Personalismo definisce statica si ha addirittura un brusco passaggio da una condizione di notevole importanza a un’altra in cui lo studio viene praticamente ignorato: il soggetto si laurea, si specializza, ma poi, a un certo punto della sua vita, tira i remi in barca e diventa, a poco a poco, obsoleto e superato. Analogamente, nella personalità del vecchio c’è un blocco dovuto semplicemente all’età psicologica del soggetto che ha abbandonato non solo lo studio, ma anche altri comportamenti giovanili. Infine, nel contemplativo esiste una spiccata attitudine allo studio, ma sovente tale predisposizione è particolare, dedicata ad alcune materie con il disinteresse totale per altre, magari più pratiche e utili per farsi un’esperienza di vita.
Viceversa, è possibile trovare molti soggetti di cultura medio-bassa che, capita l’importanza dello studio o per un semplice e innato senso di curiosità, decidono di studiare questo o quello.
Poiché la propensione allo studio è una scelta di vita, occorre coltivarla e farla crescere. Se una persona vuole studiare veramente bene una lingua come l’inglese è abbastanza inutile che ci provi da sé, saltuariamente e distrattamente; dovrebbe aver coscienza che sei mesi passati in Gran Bretagna valgono quanto anni di tentativi fra le pareti della propria casa. La propensione si deve cioè sposare con il metodo scelto.
Il metodo migliore è quello che consente l’apprendimento più rapido.
Quindi, non è solo importante il mezzo utilizzato, ma anche le modalità con cui lo si può utilizzare e con cui vi si può interagire. Si legga anche Come studiare.
Chiedere o studiare?
L’ultima affermazione circa il metodo migliore di studio può essere facilmente fraintesa da chi ha una bassa propensione allo studio.
Nella popolazione esiste un’ampia fascia di persone che hanno scelto come metodo quello di chiedere anziché studiare. Premesso che già nella definizione di tale “metodo” è evidente che non si tratta di studio e che è evidente una bassissima propensione allo studio stesso, tale strategia non è che una pseudoscorciatoia che si rivela una strada a fondo chiuso.
Pensiamo a chi si è rovinato perché, per evitare di farsi una coscienza economica (“io non ci capisco nulla”), si è rivolto a promotori finanziari incapaci o senza scrupoli oppure a chi, non avendo una normale coscienza medica, ha sottovalutato sintomi di patologie che poi si sono rivelate gravissime (ha “chiesto” quando era troppo tardi!). Esempi meno tragici sono offerti da tutti coloro che non leggono mai i manuali e utilizzano solo al 30% ciò che hanno fra le mani, accontentandosi di farlo funzionare, provando e riprovando.
Chi chiede e non studia non potrà che sopravvivere.
Purtroppo la scuola avvalora la strategia per il semplice motivo che, non facendo capire ai ragazzi ciò che serve veramente, di fatto mette sullo stesso piano ogni nozione e azzera l’importanza dello studio che diventa solo una noiosa imposizione.
Forse un esempio sarà illuminante.
T. è un amico che è appena andato in pensione, è appassionato di computer e vorrebbe darmi una mano. Le sue competenze informatiche non sono pari alle mie, ma so per esperienza che conta molto di più il tempo a disposizione su un problema che non le competenze teoriche generali. E T. di tempo ne ha da vendere. Gli spiego che potrebbe essermi utile se acquisisce un’esperienza professionale nel realizzare pagine Web. Visto che le pagine del sito sono molto semplici, non è un’impresa impossibile, richiede solo una perfetta padronanza degli strumenti utilizzati. Gli passo il poderoso manuale dello strumento software che dovrebbe usare e il materiale per un test.
Penso che si rifarà vivo fra un paio di settimane; invece la sera dopo mi chiama e mi sottopone una serie di quesiti. In effetti ha prodotto qualcosa, ma si è incagliato su tanti semplici e facili problemi. Gli risolvo i dubbi, facendogli presente che nel manuale erano tutti ben trattati. La sera dopo mi richiama: altri dubbi. Alla fine svela la sua strategia: “se mi spieghi tu come si fa, faccio prima”.
Mi tocca fargli presente che così non funziona, che il semplicistico è
quello che non studia e si fa dire le cose.
La strategia è disastrosa. Perché?
T. crede veramente che la stesura di una pagina Web, per quanto facile, si possa ricondurre a dieci, cento facili quesiti (in quest’ottica è semplicistico) mentre in realtà i “problemini” che si incontrano sono sempre diversi, migliaia, per non dire milioni. Non ha nessun senso pensare che le risposte (e trovare qualcuno che te le dia) siano la parte più importante del lavoro. L’importante è acquisire la coscienza del problema per
- diventare autosufficienti;
- risolvere velocemente problemi nuovi;
- ottenere il massimo da ciò che si maneggia.
Queste regole valgono per ogni campo della vita. Per ogni oggetto d’amore ci vuole la coscienza di esso e la coscienza non passa attraverso la soluzione sbrigativa dei problemi principali, ma passa attraverso lo studio personale.
Il ruolo dell’esperto (e mio nel sito) non è quello di “dare risposte”, ma quello di
- fornire il materiale per lo studio
- spiegare ciò che non è chiaro
- risolvere casi particolari non trattati nell’ambito generale.
Cosa capita quando non abbiamo l’esperto di turno che ci dà la risposta? La nostra dieta fallisce, quello che abbiamo ottimisticamente firmato si trasforma in un boomerang, la scelta che abbiamo fatto si rivela disastrosa perché non abbiamo capito la differenza con un’analoga scelta fatta da un nostro amico. Insomma, siamo bocciati nella vita.
Poiché Kant riteneva che minorità fosse l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, la strategia di chiedere senza studiare può essere definita la strategia del minorato.